giovedì 26 febbraio 2009

EL DORADO (El Dorado,USA 1967)
DI HOWARD HAWKS
Con JOHN WAYNE, ROBERT MITCHUM, James Caan, Charlene Holt.
WESTERN
Penultimo lavoro di un maestro come Howard Hawks, giunto forse troppo tardi per assomigliare ai classici, visto che erano già usciti i film di Leone che avevano rimescolato le carte e scomposto il western: due le star presenti in scena (più un giovane e avviato ad una buona carriera James Caan), personaggi diversissimi anche nella vita, il granitico Wayne e lo strascicato Mitchum.Costruito appunto come un western dello stile più canonico, il che poteva farlo risultare piacevolmente demodè ai tempi della sua uscita nelle sale, presenta un cambio di marcia piuttosto sorprendente in sceneggiatura, più che altro per quel che concerne il personaggio di Robert Mitchum:il quale viene presentato dapprima come ex-pistolero divenuto probo sceriffo, per divenire improvvisamente verso metà film un ubriacone che deve recuperare la sua dignità, dando il via ad un parziale rifacimento di "Un dollaro d'onore", riecheggiando la risalita morale di Dean Martin e ricostruendo l'asserragliamento degli eroi nella prigione come nel classicissimo del '59. Tutto sommato discreto, "El Dorado" dà l'idea di un film cambiato in corsa, che forse presentava un soggetto differente ma per problemi di ignota natura ha subito un riadattamento al volo, che lascia avvertire delle forzature.

MIO CUGINO VINCENZO (My cousin Vinny,USA 1992)
DI JONATHAN LYNN
Con JOE PESCI, Marisa Tomei, Ralph Macchio, Fred Gwynne.
COMMEDIA
Joe Pesci è un attore grintosissimo, elettrizzato permanentemente da una carica positiva che rende simpatico in maniera naturale;probabilmente metterlo al centro di "Mio cugino Vincenzo" è stata la mossa vincente, per decretarne il buon risultato commerciale ottenuto all'epoca della sua uscita.Qualche battuta che fa ridere, ma leggero al limite dell'evanescenza, e con almeno una decina di minuti di troppo, il film di Jonathan Lynn,regista di mestiere ma nulla più, dà troppo spazio a pause nella narrazione.Oltretutto, il filmetto lascia spesso spunti al rango di macchietta.Appena gradevole, e l'Oscar per Marisa Tomei lascia perplessi,visto che non recita male, ma non fa neanche niente di particolare.

mercoledì 25 febbraio 2009

IL GRINCH (How the Grinch stole Christmas, USA 2000)
DI RON HOWARD
Con JIM CARREY, Taylor Monsem, Jeffrey Tambor, Christine Baranski.
FANTASTICO/COMMEDIA
In America vendutissimi, i romanzi di Dr.Seuss sono stati considerati da sempre dei classici per ragazzi, con riconosciuti intenti educativi: da noi non hanno riscosso questa fortuna nemmeno i tentativi di trasporlo al cinema, visto che sia questo "The Grinch" che "Ortone e il mondo dei Chi", in USA campionissimi di incassi hanno richiamato pochi spettatori, e comunque scarsi rispetto alle aspettative. Howard scelse la star Jim Carrey per indossare il pesantissimo, pupazzesco trucco della creatura Grinch, burbero,sbuffante e dispettosissimo essere verde che vuol mandare in fumo i fastosi preparativi per il Natale della vicina cittadina, ma in fondo, grazie ad una bambina dal carattere determinatamente dolce, il poco grazioso umanoide di pelliccia ricoperto si scopre felice di partecipare alla festa. C'è chi lo ha apprezzato non poco, a me è sembrato molto stucchevole, e per niente fluido: va bene il film per ragazzi, va bene la morale edificante, però qui siamo sull'uggioso senza brio. Imbastito con abbondanza di mezzi, il filmetto procede prevedibile e senza divertire: ricordo che al cinema, a luci riaccese, sembrava la Fiera dello Sbadiglio e dell'Occhio Arrossato. Non mi pare un bel traguardo...
EYES WIDE SHUT(Eyes wide shut, GB 1999)
DI STANLEY KUBRICK
Con TOM CRUISE, Nicole Kidman, Sidney pollack, Rade Serbedzjia.
DRAMMATICO
A parte l'avvio pretestuoso, perchè oggi come oggi una donna bella come la Kidman che rimette in discussione la propria vita per un semplice sguardo di un bel giovanotto che le risulta desiderabile si vede solo al cinema,"Eyes wide shut" è un'opera di gran valore.Tra i difetti, mettiamoci anche non strabiliante prova della splendida Nicole, che nella sequenza in cui fuma uno spinello è forzatissima:ma il film che ha chiuso la carriera di uno dei più importanti autori della storia del cinema, è un'opera che resterà .Se si vuole, l'intero lavoro del director di "Barry Lyndon" è uno studio, profondo e lucidamente critico sull'Uomo:un acuto pessimista o un umanista severo, quasi disperato nel rilevare la tendenza a un metaforico cannibalismo della nostra specie?"Eyes wide shut", che si apre con il bellissimo nudo di Nicole Kidman visto da dietro, e si chiude sulla parola "Scopiamo" e sul suo bel volto, è un disincantato apologo sulla vacuità sentimentale del nostro tempo, o una cosiderazione drammatica sul non conoscersi davvero mai, riflessione sull'effettivo grado di solitudine di ogni individuo davanti a un altro?E, ad una lettura più in profondità, ancora più marcato è il teorema sul potere della Massoneria, invincibile ed espanso come un virus, controllore della realtà in cui i personaggi si muovono e si dibattono come in una rete che li lascia sopravvivere ma solo a certe regole, e gli illusi che vivono nell'agio fanno parte di un teatro moralmente orrendo,che si cura di celarsi mettendosi in mostra davanti agli occhi di tutti, come probabilmente è la vera chiave del titolo.E'un film che pone interrogativi pesantissimi, questo, forse quello nella filmografia kubrickiana che sconcerta di più e costringe a dubbi più sentiti lo spettatore.Una notte anche simbolica avvolge il protagonista e lo porta a scontrarsi con la propria ordinarietà e a tuffarlo in una marea di occasioni e di scelte:è molto bravo Tom Cruise ad addossarsi la perplessità fondamentale di quest'uomo al quale il terreno sembra sempre più scivolare sotto i piedi, e che di fronte ai drammatici dilemmi in cui incappa non trova altra soluzione che crollare in lacrime tra le braccia della moglie.

CORVO ROSSO,NON AVRAI IL MIO SCALPO!(Jeremiah Johnson, USA 1972)
DI SIDNEY POLLACK
Con ROBERT REDFORD, Will Geer, Allyn McLerie, Delle Bolton.
WESTERN
Titoli italiani assurdi ne sono stati dati a diversi film , qui però siamo quasi alla fantascienza, anche se effettivamente rimane impresso: il "Corvo Rosso" del titolo nostrano non c'è per niente nella pellicola di Pollack, ma sono particolari. Western assemblato al cinema d'avventura, "Jeremiah Johnson" è uno dei più amati classici del genere del periodo della riconsiderazione dei canoni:cosceneggiato da uno che di liberal non ha mai avuto niente come John Milius, il film con Robert Redford è uno dei più realistici mai girati. L'avventura, per quanto magnifica,epica e emozionante richiede sacrificio, solitudine,paura, coraggio, sofferenza e un pò di pazzia, vi si sopravvive o ci si muore: e l'epopea del trapper pollackiano va oltre sè stessa, perchè i nemici pellerossa avranno tanto timore del combattivo Johnson (che in sottofinale bandisce ogni filosofeggiamento con una frase spiccia a chi gli chiede se è valsa la pena del suo vissuto) da onorarlo per rispettarlo e riconoscerlo come una leggenda. Robert Redford, con un ruolo che ha poche battute, ma riempie l'intero film, e la storia a esso è cucita addosso, dà una prova splendida, la regia di Pollack non perde un colpo.E' uno di quei film che manifesta cultura, ampiezza di idee, concetti enormi e innumerevoli spunti di discussione: l'immagine finale con i due avversari che si salutano a distanza è indimenticabile.
THE COMMITMENTS (The Commitments,GB 1991)
DI ALAN PARKER
Con ROBERT ARKINS, Johnny Murphy, Angelina Ball, Andrew Strong.
COMMEDIA/MUSICALE

Dalla metà degli anni Ottanta a quella dei Novanta, il cinema britannico parve rifiorire,con molti talenti vecchi e nuovi che in terra d'Albione ritrovarono ispirazione,voglia di raccontare storie, raccontando l'oggi di allora, deluso ma in fermento, vivo e attivissimo a discutere i problemi e le tematiche della vita reale. Alan Parker, dopo anni passati in Usa, realizzò a Dublino un film piccolo, "The Commitments", storia di un gruppo di giovani che si barcamenano tra giorni da disoccupati e la voglia di arrivare da qualche parte, che mettono su una band specializzata in musica soul. Di alcun successo commerciale, il film è tra i migliori sulla musica, e forse il più bello di Parker, dotato di una freschezza, di una piacevolezza narrativa e un saper raccontare con modi semplici quel che è un sogno e come lo si può mandare all'aria, che non si dimenticano:recitato con vivacità e simpatia da un gruppo di inediti, vanta una colonna sonora di covers da applauso, su tutte l'esecuzione di "Try a little tenderness".Sospeso tra le speranze di un'inverosimile affermazione delle aspirazioni dei personaggi e gli scorci delle periferie della grande città, il film si conclude intelligentemente senza concedere un banale successo ai suonatori, perchè spesso la manutenzione del sogno è più magica della vicinanza alla concretizzazione dello stesso.

lunedì 23 febbraio 2009

IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON
(The curious case of Benjamin Button, USA 2008)
DI DAVID FINCHER
Con BRAD PITT, CATE BLANCHETT, Taraji P.Henson, Julia Ormond.
DRAMMATICO
Baciato da tredici candidature agli Oscar 2009, atteso perchè molta stampa, non solo di settore, se n'è occupata, "Il curioso caso di Benjamin Button" rischia di laureare con l'Oscar per il miglior regista David Fincher che, a proposito di curiosità, qui ha fatto il suo film meno "fincheriano": non è questione di atmosfere cupe alla "Seven" che qui non tornano, o deliri allegorici alla "Fight Club". E' che il taglio di "Il curioso caso..." è più zemeckisiano ( di cui riprende guarda caso lo sceneggiatore di "Forrest Gump") e spielberghiano (ma vedi le stranezze, dietro alla pellicola ci sono gli abituali Kathleen Kennedy e Frank Marshall del regista di "1941") che nelle corde del director lanciato dal terzo "Alien". Allegoria con grande componente romantica, il film che vede Brad Pitt cimentarsi in un'onestissima e intensa prova attoriale che lo vede bimbo con l'aspetto di un ultraottantenne e adulto con i segni di una decrescente terza età,fino a raggiungere sembianze fresche e giovanili piace al pubblico sia al di qua che al di là dell'Atlantico:in tutta sincerità, a parte che pur apprezzando l'exploit di Pitt, c'è da dire che la sua compagna di scena Cate Blanchett gli è superiore in ogni fotogramma per l'elastica fluidità della sua recitazione, il filmone esplora sì ottant'anni di storia americana disegnando l'atipico corso vitale di un uomo che compie una parabola fantastica, come allegoria pura meglio quella dell'inconsapevole Forrest Gump. In più, benchè molto ben fatto, il film di Fincher vale come macchina di spettacolo, però su un'ipotetica decantazione della vita come avventura meravigliosa comunque essa si svolga, non dice molto di nuovo, e soprattutto non coinvolge emotivamente come avrebbe potuto in mano ad un regista forse meno dotato visivamente, ma più abile ad esplorare gli impulsi del cuore.

IN AMORE NIENTE REGOLE (Leatherheads, USA 2008)
DI GEORGE CLOONEY
Con GEORGE CLOONEY, RENEE ZELLWEGER, John Crasinski, Jonathan Pryce.
COMMEDIA
Regia numero tre di George Clooney, di molto differente dalle precedenti: questa è un dichiaratissimo omaggio alla "screwball comedy" con eroi alla Spencer Tracy o alla Clark Gable, ed eroine come Carole Lombard o Katharine Hepburn, forse dei tre film diretti quello più apertamente "commerciale", di sicuro il più leggero. Come altri film sugli albori dello sport in USA, vedi "Major league", il film di e con Clooney prende spunto dal cambiamento che portò la commercializzazione delle prove degli atleti, interpreta il giocatore-allenatore dritto e un pò canaglia, ma fondamentalmente dai buoni propositi e ingaggia con la pepata giornalista Renèe Zellweger una disputa sentimentalriottosa che richiama appunto quelle dei classici. Dotato di dialoghi ben ritmati e un gusto dello scambio di battute non facile da trovare nel cinema brillante d'oggi, "In amore niente regole" è una commedia simpatica, che scade se raffrontata ai due titoli che l'hanno preceduta, "Confessioni di una mente pericolosa" e "Good night,good luck": certo, lo spunto "liberal" del protagonista che vede come una sciagura l'andare a carte quarantotto della propria squadra di football americano, con conseguente ritorno in miniera dei giovani che la compongono non è da stereotipo, ma questo sarà, probabilmente, uno dei lavori meno celebrati di una star che sa anche dirigere i film.

domenica 22 febbraio 2009

GILDA (Gilda, USA 1946)
DI CHARLES VIDOR
Con GLENN FORD, RITA HAYWORTH, George MacReady, Frak Levyia.
NOIR/DRAMMATICO
"Non c'è mai stata una donna come GILDA!" cannoneggiava la locandina del cult di Charles Vidor: entrata così prepotentemente nell'immaginario collettivo maschile, la Hayworth grazie a questa interpretazione si guadagnò l'aggettivo "atomica" (purtroppo in tema con le cose più chiacchierate del momento,siamo nel '46) e la canzone "Amado mio" cantata dalla bellissima messicana rossa, vero nome Margaret Cansino, divenne un cavallo di battaglia di tutte le orchestre. Come in altre pellicole di successo dell'epoca,vedi "Notorious" e "Casablanca", si allaccia una storia d'amore grande e tormentata, con il maschio ambiguo nei sentimenti, o restio a lasciarsi andare alla bella di turno, ad un intrigo spionistico o che porta comunque sullo sfondo la guerra e un'ambientazione fuori dagli schemi. "Gilda" è comunque un film di livello, sceneggiato con abilità e una bella dose di humour in un contesto drammatico, con un Glenn Ford che dà un'interpretazione fatta di chiaroscuri, un duro da manuale, ed una Hayworth che fin dalla prima apparizione esplode in tutto il suo magnetico fascino, un torrente di capelli su un viso splendido e un corpo straordinario che comprensibilmente scatenarono feromoni.In più, un villain di categoria come il gelido George MacReady visto poi in "Orizzonti di gloria". Sì, il cult c'è.

VITA PRIVATA DI SHERLOCK HOLMES
(The private life of Sherlock Holmes, GB 1970)
DI BILLY WILDER
Con ROBERT STEPHENS,Colin Blakely, Geraldine Page, Christopher Lee.
COMMEDIA
Anomalia nella produzione wilderiana, un film prodotto in Gran Bretagna, su un personaggio mitico come l'investigatore di Conan Doyle, rapportandolo ad una precisa ambientazione storica, "Vita privata di Sherlock Holmes" fu un insuccesso commerciale, ma è un film da riscoprire. Commedia gialla che rimanda al cinema di Blake Edwards, "Vita privata..." è un gustoso divertissement, forse appena troppo lungo nel minutaggio, interpretato benissimo (Colin Blakely-Watson ha momenti di alto livello, e Christopher Lee nel ruolo del fratello di Holmes fornisce una prova di alta classe) che esplora le motivazioni della misoginia sherlockiana, implica la leggenda del mostro di Loch Ness dandone una ovviamente personale versione, e gioca con qualche derivazione dal mondo dei romanzi di Jules Verne.Il tutto in una cornice ben allestita, sceneggiata con abilità da Wilder e il consueto I.A.L. Diamond, immerso in colori autunnali, per un film forse non tra i maggiori dell'autore di "Sabrina", stiamo parlando di un regista che ha sfornato alcuni tra i più inossidabili lungometraggi di ogni tempo, ma, come si diceva prima, un interessante e piacevolissimo excursus in un campo a lui non comune.

EX (I/F 2009)
DI FAUSTO BRIZZI
Con SILVIO ORLANDO, CLAUDIO BISIO, CLAUDIA GERINI, CRISTIANA CAPOTONDI.
COMMEDIA
I numeri commercialmente danno sempre ragione o torto. A Fausto Brizzi, nato sceneggiatore di cinepanettoni, che da regista ha già sfornato due campioni d'incasso, il dittico di "Notte prima degli esami", il pubblico sembra andare volentieri incontro anche questa volta,visto che "Ex"è in vetta agli incassi, e insieme a "Italians" scala la top ten stagionale. Il modello questa volta, palesemente è "Love, actually", con la sua formula corale su un unico tema, l'amore, impiegando tantissimi volti del nostro cinema in parti principali e non (a proposito, "ex"onorevole Montesano,complimenti, manco il nome in cartellone hanno messo, si vede che conta molto...): sul piano organizzativo, ben vengano film così,dimostrano umiltà da parte degli interpreti e atttirano più potenziali spettatori. Meno bene va sul piano qualitativo, perchè finchè "Ex" va sul sicuro della commedia ad episodi,leggero e contenuto,dei sorrisi vengono suscitati( in sala c'è anche chi si spancia dal ridere,ognuno ha i suoi gusti), e il film procede comunque fluido:il problema di Brizzi & co., è che vistosamente ad un certo punto la vogliono buttare sul filosofeggiante. E a questo punto si spalancano le porte dell'Ufficio Banalità, con appartamentino francese che dà sul Moulin Rouge, i neozelandesi tutti muscolosi a fare surf-kite, le riflessioni sull'amore da spot dei Baci Perugina per San Valentino. Mica c'è nulla di male, basta prenderlo per quel che è, un'esposizione di gaia superficialità.

sabato 21 febbraio 2009

I FAVOLOSI BAKER (The fabulous Baker Boys, USA 1989)
DI STEVEN KLOVES
Con MICHELLE PFEIFFER,JEFF BRIDGES,BEAU BRIDGES,Ellie Raag.
DRAMMATICO

Tra vibrar di note e spandersi del fumo delle sigarette, non bella la vita del pianista di piano-bar:oltre il naturale altalenare di successi e tonfi, è complicato districarsi tra tensioni, noia da routine, ingabbiamento nei medesimi pezzi, riproposta meccanica del "numero" da presentare al pubblico.Benchè la regia di Steve Kloves non gestisca al meglio tutto quello che il film avrebbe potuto offrire,"I favolosi Baker" è un film che poggia sulla bravura dei tre interpreti principali, su uno spleen composto da malinconia e amarezza che non lascia indifferenti.Per la prima metà la pellicola non convince appieno, ma ha una seconda parte che aumenta in modo notevole l'interesse dello spettatore, scegliendo tra l'altro vie non troppo prevedibili, con un finale piuttosto aperto.Del trio al centro della vicenda, molto bravi Beau Bridges, fratello Baker stretto tra troppi compromessi, e così Michelle Pfeiffer, in un ruolo spesso sgradevole, ma il più mirabile è Jeff Bridges, che ha anche il personaggio più complesso e che si rivela più lentamente.In quell'artista falso cinico, di una reticenza esistenziale infinita, c'è un personaggio tra i più belli del cinema americano di quegli anni, reso con la bravura che solo la cecità della Academy non ha mai saputo vedere.

venerdì 20 febbraio 2009

VENERDI' 13-Capitolo finale (Friday the 13th:The final chapter,USA 1984)
DI JOSEPH ZITO
Con ERICH ANDERSON, CRISPIN GLOVER, Kimberly Beck, Barbara Howard.
HORROR

Sangue su sangue, le violente avventure di Jason Vorhees continuano, e ormai sempre più zombie crudele, il mostro esordiente al cinema nel 1980 continua il suo lavoro di sfoltimento della gioventù statunitense degli anni di Reagan .Peggiore dei tre titoli che l'hanno preceduto, questo numero 4 denuncia il vuoto martellante del talento registico di Joseph Zito, emerito mediocre della cinepresa, che prima di capire che forse fare cinema non era proprio la cosa che gli veniva meglio, ha saltabeccato tra lo splatter e l'action alla Chuck Norris e Michael Dudikoff.Jason combina un macello dei suoi, addirittura scaraventando un televisore acceso sulla testa di un povero disgraziato (immaginate che risultato...), prima di fare una fine (per modo di dire) orrenda accostando un pò troppo il viso, o quel che ne rimane, al suo machete bucandosi la testa da parte a parte.Vero porcaio in intingolo gore,"Capitolo finale" porta uno dei titoli più truffaldini e lontani dalla vera dimensione delle cose della storia del cinema.Troppo solenne eh?
A SPASSO CON DAISY (Driving Miss Daisy, USA 1989)
DI BRUCE BERESFORD
Con JESSICA TANDY, MORGAN FREEMAN, Dan Aykroyd, Patty LuPone.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Dal 1981 ("Momenti di gloria") una pellicola premiata con l'Oscar maggiore non rimaneva, qui da noi, fuori dai maggiori venti incassi stagionali:"A spasso con Daisy", che tuttavia in America raggiunse i 100 milioni di dollari in Italia non piacque moltissimo, e la sfida vinta con "Nato il quattro luglio", rivale al botteghino e nella notte degli Academy Awards nel nostro paese venne ribaltata. Tratto da una commedia di Alfred Uhry, che ne ha scritto anche l'adattamento per il cinema, il film di Beresford è comunque una bella commedia che deve molto anche all'eccellente gioco degli attori, che laureò a ottantuno anni Jessica Tandy con l'Oscar per la migliore attrice, ma sia Morgan Freeman,che venne lanciato dalla pellicola, e Dan Aykroyd non sono da meno:"A spasso con Daisy" sceglie un basso profilo per raccontare decenni di pregiudizi razziali negli Stati Uniti, con le vessazioni piccole ma incessanti per l'autista nero Hoke, e quello meno mostrato ma esistente per lo scricciolo di ferro ebreo Daisy, e il quadro emerge nitido, gentile ma non meno preoccupato. Qualche critico rozzamente lo definì "cinema per signore", invece era solo un altro modo di parlare di problemi e tuttavia di infondere speranza nei cambiamenti.

OPERAZIONE VALCHIRIA (Valkyrie, USA/D 2009)
DI BRYAN SYNGER
Con TOM CRUISE, Kenneth Branagh, Terence Stamp, Tom Wilkinson.
DRAMMATICO
In una fase cinematografica che riflette parecchio sulla Seconda Guerra Mondiale, sui suoi esiti e sulle sue conseguenze( vedi anche "The reader" che esce oggi nelle sale,tanto per fare un titolo), il film più chiacchierato già in preproduzione è stato "Valkyrie", girato in Germania, che narra l'attentato arrivato più vicino ad eliminare Adolf Hitler, compiuto da un gruppo di alti ufficiali disincantati, delusi e offesi dalla condotta del Fuhrer:di mezzo c'era il fatto che la star Tom Cruise,attaccatissimo al progetto, facesse parte di Scientology, religione apertamente osteggiata nella terra di Goethe, poi la cosa è rientrata e il kolossal è stato realizzato e regolarmente uscito sugli schermi. In molti avevano già pronosticato un tonfo dalle epiche proporzioni, viste le premesse (ma non per forza una lavorazione un pò tribolata significa poi insuccesso, semmai che i film mostrino evidenti difetti di confezione, ma non è questo il caso), mentre nonostante le mancate nominations agli Oscar (quest'anno contestate più del solito,staremo a vedere per i premi) il film di Synger ha tutto sommato funzionato sia in patria che nei mercati internazionali,se si pensa che una schifezza vera e propria come "Io vi troverò" sta trionfando al botteghino USA, gli ottanta milioni di dollari raggiunti da questo almeno premiano un buon livello di cinema. Detto ciò, il film sullla congiura del colonnello Von Stauffenberg e soci è realizzato molto bene, e il fatto che sia curato è rintracciabile anche in ciò che scrivono i personaggi, nella lingua del paese ove la pellicola è ambientata, e non al solito in inglese( cosa abbastanza cialtrona e nazionalista consueta nei lungometraggi hollywoodiani): semmai, ad un thriller storico-drammatico di una certa presa come questo, dinanzi ad attori molto bravi ad esprimere i caratteri dei ruoli assegnati (Cruise mette nel suo ufficiale menomato e ribelle una pervicacia livida) emerge che Bryab Synger, autore di buon cinema spettacolare, non può fare ciò che non è.Affidato,per esempio, a Clint Eastwood, che è un autore vero e proprio, come un Ridley Scott,con i difetti che gli si possano trovare, il film avrebbe avuto un altro taglio, e forse una lettura oltre la superficie di ciò che viene raccontato:Synger, ma lo si era capito nei suoi precedenti lavori, e questo ne è la conferma, è un bravo regista di grosse produzioni che divertono, o, nel caso, suscitano ammirazione e interesse, ma non salgono a certi livelli. Il suo cinema può essere paragonato a quello di John Sturges ("I magnifici sette") o,per essere più vicini nel tempo, a Richard Donner ("Arma letale"):non per sminuirlo, ma quest'è.

mercoledì 18 febbraio 2009

LA TREGUA ( I/F/SW/GB/D, 1997)
DI FRANCESCO ROSI
Con JOHN TURTURRO, Massimo Ghini, Rade Serbdzjia, Claudio Bisio.
DRAMMATICO
E'un peccato dire queste cose di un autore che tanto ha dato al cinema italiano( e non solo),che ha avuto il coraggio delle proprie idee anche in anni in cui vigeva un certo conformismo sullo schermo, che ha scandagliato mali del mondo politico e sociale sempre con acutezza:ma l'ultimo Rosi , da "Cronaca di una morte annunciata " in poi, non è stato all'altezza del suo cinema precedente.E non fa eccezione in questo senso nemmeno "La tregua", tratto dall'omonimo libro di Primo Levi, sui sopravvissuti ai campi di concentramento.Il film, così com'e', per quanto animato da intenzioni egrege, non porta lo spettatore a riflessioni profonde, non commuove e grava su di esso, soprattutto,la sensazione che si stia assistendo a un compimento formale di un'aspirazione di un impegno preso in altri tempi.Turturro è atono, troppo controllato, non rende mai perfettamente il dolore del suo personaggio, che sarebbe poi Primo Levi stesso:il resto del cast, da Ghini a Luotto, fa da corona, ma non emerge nessuno in particolare.Quattro David di Donatello vinti, forse un premio eccessivo, soprattutto quello per il miglior film.

SPEED 2-Senza limiti (Speed 2:Cruise control,USA 1997)
DI JAN DEBONT
Con SANDRA BULLOCK, JASON PATRIC, Willem Dafoe, Temuera Morrison.
AZIONE/AVVENTURA Superfiasco dell'estate americana 1997,"Speed 2" ha riscosso poco anche credito in Europa: eppure Jan DeBont era reduce da due grandi successi, e il budget altissimo di questo colosso è speso in scene d'azione a tutto gas, con la costante di un cattivo che lamenta un ingiusto trattamento subìto.Ma il film, benché presto passi all'azione e non la molli fino ai titoli di coda, è prevedibile, spesso visto e rivisto, con personaggi che tentano di sopravvivere intrappolati in cunicoli allagati, prodezze al rallentatore per sottolineare l'aspetto epico dell'avventura.A tratti pure noioso, con personaggi scritti alquanto male,"Speed 2" non è poi così peggiore del primo(sarebbe stato difficile):attori che non hanno neanche un attimo di credibilità, Dafoe compreso, personaggi antipatici e pallidi tentativi di umorismo.Invece di un flop, adeguando il termine all'ambientazione, si ha così uno "splash".
IL BELL'ANTONIO ( I, 1959)
DI MAURO BOLOGNINI
Con MARCELLO MASTROIANNI, Pierre Brasseur, Claudia Cardinale, Rina Morelli.
DRAMMATICO
Una cultura retriva e maschilista fino all'ottusità come quella siciliana della prima metà del Novecento è l'ambientazione de "Il bell'Antonio", dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati, che collocava la vicenda durante il Fascismo, mentre il film di Bolognini la sposta al dopoguerra: di qui, le tribolazioni di Antonio Magnano, giovane di bella presenza, tornato dal "continente" nella Catania in cui il padre, incrollabile nel suo credo circa il Maschio dominatore e fottitore deve presentare al sussurrante popolo di vicini e conoscenti le credenziali di un erede altrettanto virile e sciupafemmine. L'indelicatezza di tutti, la superficialità vacua di una società che preferisce sparlare ed occuparsi dei problemi esterni che guardare i propri per timore di averne orrore schiaccia il protagonista, che nonostante il suo defilarsi ( e il film, nella seconda parte, lo lascia fisicamente fuori dal racconto per un bel pò) subisce la pressione indegna di chi specula sulle sue difficoltà: la regia di Bolognini, su una sceneggiatura cui ha messo mano anche Pier Paolo Pasolini, è accorta e raffinata,e gli attori ben rispondono (perfino il francese Pierre Brasseur, da più d'uno reputato poco adatto al ruolo del padre dispotico e ignorante).Per la fine degli anni Cinquanta in cui è uscito al cinema, un film più avanti nei tempi.

martedì 17 febbraio 2009

IL GRANDE GATSBY (The great Gatsby,USA 1974)
DI JACK CLAYTON
Con ROBERT REDFORD,MIA FARROW, Sam Waterston, Bruce Dern.
DRAMMATICO
Un capolavoro come "Il grande Gatsby" di Francis Scott Fitzgerald non ha avuto molta fortuna sul grande schermo: adattato per due volte, nel 1949 con Alan Ladd e nel 1974 con Robert Redford ad impersonare il misterioso Jay Gatsby, eroe romantico e perdente, non riscosse il successo annunciato e fece storcere la bocca ai recensori. Qui in Italia, ad esempio, nonostante la consistente campagna pubblicitaria ( e un pò patetica,onestamente) messa su da diversi periodici capitanati da "Tv Sorrisi e canzoni", per tentare di riproporre la moda anni '20, fattore ancor più sottolineante che del romanzo di Fizgerald non si era capito molto. Vero è che l'inglese Jack Clayton ne ha portato solo la superficie nel suo film , tra l'altro sceneggiato non molto bene da Francis Ford Coppola, qui in uno dei momenti meno felici della sua carriera di uomo di cinema: se il testo, in un quadro struggente, con una prosa indimenticabile, faceva a pezzi e deplorava un'era di folli bugie,sospesa tra due bagni di sangue mondiali, "Il grande Gatsby"-film sembra commemorarne la verve festaiola e il romanticismo comunque affiorante qua e là nei sentimenti espressi sottovoce in un'era rumorosa. E la Daisy ipocrita e scellerata è fatta apposta per stare con il rozzo Tom, non con l'appartato e sentimentale Gatsby, nè due interpreti solitamente di valore come Mia Farrow e Robert Redford qui sono al diapason delle proprie capacità: per concludere, come può una sceneggiatura tratta da un romanzo ometterne la chiusa meravigliosa e terribile che chiude l'epopea? Come prendere un gioiello e sprecarlo, questo è la versione anni Settanta de "Il grande Gatsby".

11)CLAUDIA CARDINALE ( I )
E'STATA DIRETTA DA: MARCO BELLOCCHIO/FEDERICO FELLINI/BLAKE EDWARDS/LUIGI COMENCINI/LUCHINO VISCONTI/SERGIO LEONE/PASQUALE SQUITIERI
HA LAVORATO CON:ALBERTO SORDI/MARCELLO MASTROIANNI/HENRY FONDA/DAVID NIVEN/BURT LANCASTER/MONICA VITTI/VITTORIO GASSMAN
La sua bellezza folgorante è indimenticabile, è stata una delle più belle donne del cinema di sempre: nata a Tripoli, la bruna Claudia ha interpretato molti film importanti, ed è stata diretta da fior d'autori, e affiancata da star di prim'ordine. Dalle fattezze che più mediterranee non si poteva, contando anche su uno sguardo che esprimeva sia morbida sensualità che torrido impeto, la Cardinale è stata, come Sophia Loren e poche altre, una stella del cinema che ha varcato i limiti del territorio italico, e ha recitato su schermi presenti in tutto il mondo. Mauro Bolognini ne scoprì le potenzialità d'interprete, e, cosa bizzarra, è stata l'unica donna con una parte da protagonista nel cinema a lunghezza di maschio e popolato da uomini duri come il cuoio al sole quale quello di Sergio Leone, per non parlare della partecipazione a "Otto e mezzo" e "Il gattopardo", tanto per fare due titoli che sono incastonati nella storia della cinematografia mondiale. Negli anni Settanta,dopo un decennio esaltante, che la vide appunto tra le regine del panorama internazionale della settima arte, si innamorò di un regista controverso e ideologicamente radicato come Pasquale Squitieri e ne divenne l'interprete esclusiva, o quasi. Celebrata comunque da presenze in altri lavori, si è autoironicamente ripresentata nella saga de "La pantera rosa" vent'anni dopo il capitolo iniziale che la vedeva giovanissima e conquistatrice nell'ultimo, bruttissimo episodio interpretato da Benigni, però a lei sono cose che si possono perdonare...

DRACULA (Dracula, USA 1931)
DI TOD BROWNING
Con BELA LUGOSI, Helen Chandler, David Manners, Dwight Frye.
HORROR
Dette il "la" a produzioni di livello delle maggiori case di produzione, visto che poi il genere horror esplose anche come accoglienza del pubblico con il quasi contemporaneo "Frankenstein":sospeso tra due acclamati capi d'opera quali "Lo sconosciuto" con Lon Chaney e "Freaks", lancinante fiaba horror di sconvolgente profondità e spessore tragico, l'adattamento del "Dracula" stokeriano creò il mito di Bela Lugosi, l'attore ungherese che già sulle scene teatrali aveva impersonato il Principe della Notte e ne entrò così tanto nei panni da impazzirne. Annunciato e concluso da "Il lago dei cigni" di Chaicovskji, l'horror parte nella narrazione dal viaggio di Renfield, collega di Harker e servo del conte Dracula poi, per successivamente portare l'azione a Londra e qui concluderla, come nel testo originale accade. Benchè ne emerga il carattere marcato di film importante, è curiosa la scelta molto ellittica della sceneggiatura di raccontare in modo poco fluido e quasi a singhiozzo, come in un procedere onirico, e l'interpretazione di Lugosi, per quanto leggendaria, mostra sì il carisma dell'interprete, ma anche la scarsa duttilità dello stesso, dalle pose marcatamente teatrali a quelle meno accentuate del cinema. Di Browning c'è l'intera parte nel castello in Transilvania,l'arrivo alla stazione di sosta della diligenza, certe atmosfere lunari, però perchè, ad esempio, omettere del tutto la finale decapitazione del mostro come conclusione vera e propria?Certo,impossibile mostrarla in un film del 1931, però come mai Van Helsing si attarda,dopo aver piantato il paletto nel cuore del vampiro, senza altre spiegazioni ai due Harker? Un classico, e va bene, ma meno bello di altri lavori sul romanzo di Bram Stoker, a dirla tutta, per non parlare degli analoghi lavori horror dell'epoca.

UN UOMO A NUDO ( The swimmer, USA 1968)
DI FRANK PERRY
Con BURT LANCASTER, Marge Champion,Janice Rule, Janet Landgard.
DRAMMATICO Non è conosciutissimo, ma "Un uomo a nudo" è un film notevole, un accorato compiangere di quello che la società americana era divenuta, o meglio, di quel che non aveva saputo essere negli anni dopo il Sogno, un rompersi d'incanti generazionali, e una riflessione amara e molto seria su una generazione, quella del dopoguerra pieno di speranze e ambizioni sull'avvenire. Regista di film non indimenticabili solitamente (però sia "Doc" che "Mammina cara" sono pellicole che hanno lasciato non poco di sè stesse a chi le ha viste), Frank Perry realizza un'opera che ha probabilmente molto di personale , e utilizza un grande interprete, all'epoca un pò lasciato sullo sfondo dalle grandi majors, ma che ha avuto l'intelligenza, la modernità e il saper guardare avanti che gli ha consentito, in età avanzata, prove di una maturità e di una capacità di introspezione, e di lungimiranza al contempo impressionanti: Burt Lancaster è stato uno dei tre o quattro maggiori attori della propria generazione, un grandissimo che, agevolato inizialmente dalle proprie capacità di prestanza e atletiche, ha saputo migliorarsi sempre, donando alla propria arte recitativa sfumature da interprete di alta classe, appropriandosi anche di personaggi scomodi.Questo pellegrinare di un uomo dalle ormai perdute radiose speranze e da un glorioso ( ma fino a che punto?) passato, vestito solo del proprio costume da bagno attraverso le piscine delle ville dei suoi vicini, cercando di rimettere insieme i frantumi delle proprie memorie, per compensare un vuoto annullante, ha del geniale. E il giungere infine alla propria abitazione, in cui non c'è più niente a cui tornare genera un moto di incauta pietà.
COSE MOLTO CATTIVE (Very bad things, USA 1998)
DI PETER BERG
Con CHRISTIAN SLATER,CAMERON DIAZ,Daniel Stern,Jeanne Tripplehorn.
GROTTESCO

L'attore Peter Berg debuttò come regista con "Cose molto cattive", anche scritto da lui,per mettere in burla certa mentalità borghese americana, o meglio l'ipocrisia che talvolta è il vero tessuto della suddetta categoria.Ma il film, dietro un prologo abbastanza interessante, gli sfugge presto di mano, l'umorismo, pur macabro(il che non è facile da usare bene) è non poco greve, e non ben captabile del tutto. In più, la sceneggiatura si avvita su se stessa, procedendo in maniera forzata e a strappi.Per un non disdicevole piglio nel muovere con perizia la macchina da presa, è troppo il cinismo che Berg profonde nel film, o perlomeno non è bilanciato da un'altrettanto forte equilibratura di scrittura: se ne esce annichiliti, e basta.
WINCHESTER 73 (Winchester 73, USA 1950)
DI ANTHONY MANN
Con JAMES STEWART, Shelley Winters,Dan Duryea, Stephen McNally.
WESTERN

Riconosciuto come uno dei capisaldi del cinema western, scarno ed essenziale nella narrazione, "Winchester 73 " ruota appunto al fucile che gli dà il titolo, facendolo divenire oggetto del desiderio,arma risolutiva e questione di sfida e contesa tra uomini del West, fuorilegge e no che siano. Sinceramente mi è sembrato meno avvincente di altri film di Mann, ad esempio de "Lo sperone nudo", resta comunque impressionante, per una pellicola del 1950,la modernità del taglio registico, la chiarezza con cui è dipinto un mondo violento e senza troppa pietà, a differenza di analoghi lavori contemporanei: la lotta per la sopravvivenza, e il conseguente inasprirsi dei caratteri e dei criteri etici la fanno da padroni, e come sempre quando ha lavorato con Anthony Mann, la maschera tradizionalmente mite di James Stewart si indurisce e lascia emergere il lato duro dell'inteprete. Un bel western d'annata, che non considero un capolavoro come invece molti cinefili fanno: opinioni personali.

lunedì 16 febbraio 2009

TIN CUP ( Tin Cup, USA 1996)
DI RON SHELTON
Con KEVIN COSTNER, Rene Russo,Don Johnson, Cheech Marin.
COMMEDIA
E'risaputo, i film sul golf di solito non sono molto avvincenti, e non fa eccezione neanche questo "Tin cup", diretto dallo specialista in film a tema sportivo Ron Shelton, che torna a dirigere Kevin Costner a otto anni di distanza da "Bull Durham".Il protagonista è soprannominato "Tin cup"(coppa di latta) perche'è un giocatore di talento, intelligente e che avrebbe la possibilità di diventare un gran campione. Ma per mancanza di convinzione, o scarsa disponibilità a vincere(perchè anche questa è, in fondo, una responsabilità), manca sempre il colpo definitivo.Shelton ci mette la storia d'amore con la bella Renèe Russo e la rivalità con Don Johnson, ma il film non sembra decollare mai, si perde in vari traccheggiamenti, non intrattiene e soprattutto non diverte.Uno dei film che ha contribuito a smontare l'immagine vincente di Kevin Costner, senza dubbio.

SISTER ACT 2-Più svitata che mai( Sister Act 2:back in the habit,USA 1993)
DI BILL DUKE
Con WHOOPI GOLDBERG, Kathy Najimi, Maggie Smith, Wendy Makkena.
COMMEDIA Già il successo arriso al primo "Sister act" appariva eccessivo, per una commediola non divertentissima, che aveva qualche buon numero musicale, e una forza nella protagonista, la frizzante Whoopi Goldberg:il secondo episodio, uscito a ruota la stagione seguente, diretto dal caratterista nero Bill Duke(visto in "American gigolo" e "Commando"), è una piatta riproposizione di personaggi e situazioni già viste nel film precedente. Non basta sempre la verve della brava Whoopi, il ritmo è altalenante, la storia debole, e se non si fugge abbandonando la visione, neanche viene voglia di rivederlo.Strombazzatissimo dalla stampa e dalla tv, non ottenne il successone sperato.
CITTADINO X (Citizen X, USA 1996)
DI CHRIS GEROLMO
Con STEPHEN REA, DONALD SUTHERLAND, Max Von Sydow, Jeffrey DeMunn.
THRILLER Il film non segue la struttura del "giallo", mostrando il volto del pazzo assassino( basato sul mostro di Rostov, come il più recente "Evilenko") dopo mezz'ora di proiezione, dipingendolo come un individuo grigio e dimesso, che avvicina deboli di mente, o persone sole, alle stazioni per attirarle nei boschi e farne scempio:e l'attore che impersona lo psicopatico è un bravo, ambiguo, Jeffrey deMunn. Peccato che "Cittadino x" sia un pò segnato dal fatto che sia stato concepito come film per la tv, e manchi di ritmo cinematografico:e che serpeggi una sensazione di schematico anticomunismo alla Hollywood anni '50 nel costruire lo sfondo dell'URSS nella quale si svolge la vicenda. Mentre il rapporto che s'instaura tra il dottore che si improvvisa investigatore Stephen Rea e l'uomo dello Stato "moderno" Donald Sutherland è reso con bravura dagli attori, con sfumature di prim'ordine.