domenica 31 gennaio 2010

THANK YOU FOR SMOKING ( Thank you for smoking, USA 2005)
DI JASON REITMAN
Con AARON ECKHART, Maria Bello, William H.Macy, Katie Holmes.
COMMEDIA

Finalmente ,una commedia satirica che ha il buon gusto di non perdere il suo veleno per strada,chiudendosi su un'assolutiva conclusione buonista.Il figlio di Ivan Reitman esordisce nella regia con un ritratto di supervenditore dichiaratamente esecrabile,un manager grintoso dell'industria del fumo,che amabilmente si ritrova per la colazione con due colleghi altrettanto condannabili,specialisti nella vendita delle armi e dell'alcool.Siamo comunque entro i margini della legalità americana,e il film lo sottolinea,con un avvio saporitissimo,e una buona tenuta di strada del racconto:Aaron Eckhardt,nonostante più volte abbiano provato a lanciarlo come un modello moderno e assai più incattivito di Robert Redford,sembra aver trovato qui il personaggio della carriera,senza negargli niente,manco una sfumatura di negatività.E ,coerentemente,la commedia al sale,nipote del cinema di Altman più gustoso,arriva a chiudersi con la serafica convinzione che non c'è niente da fare,uno può cambiar mestiere,ma se figlio di buona donna è nato,tale rimane.


TRA LE NUVOLE ( Up in the air, USA 2009)
DI JASON REITMAN
Con GEORGE CLOONEY, Vera Farmiga, Anna Kendrick, Jason Bateman.
COMMEDIA
Sentirsi dire che il proprio posto di lavoro verrà meno è una delle situazioni meno felici in cui una persona può ritrovarsi nel corso della propria vita, figuriamoci in un momento drammatico come questo, segnato da una crisi economica epocale: il protagonista di "Tra le nuvole", Ryan Bingham, fa un lavoro anomalo, viene "noleggiato" dai manager delle grandi aziende per evitare loro la poco simpatica pratica di licenziare i dipendenti, e vive appunto tra una tratta aerea e l'altra, impartendo lezioni di pratico cinismo ai propri "discepoli" e vantandosi di concentrare tutto ciò che serve nella propria valigetta, compagna di viaggio insostuibile. Al terzo film, Jason Reitman realizza quello che per ora è il suo migliore, dando una chiarissima lettura dei tempi che viviamo, rendendo con eleganza ma soprattutto con incisività ( ed una sceneggiatura di alto livello che sfodera battute con sapiente destrezza) sia l'immaturità sentimentale dell'epoca, la tendenza al cinismo e quanto vuoto possa esserci dietro anche ad una facciata di successo, o "smart" come si tende a dire oggi. Clooney dà una prova in cui riveste di amarezza un personaggio carismatico, negativo eppure non privo del fattore umano, e Vera Farmiga, oltre che confermarsi una vera bellezza, imprime nel proprio personaggio un risvolto imprevedibile da interprete di vaglia: e in questa commedia al sale, tra le migliori degli ultimi dieci anni, proprio quando il racconto sembrerebbe indirizzarsi ad un finale edificante, ecco la frenata che riporta con i piedi per terra ed aumenta ulteriormente lo spessore del film, che ha il buon gusto di evitare una conclusione in cui ogni cosa si risolva. Sano sarcasmo e ricerca di un senso delle cose si amalgamano sapidamente, mentre-azzardo? ma sì, se ne dicono tante...- il modo di fare cinema e commedie adulte del giovane Reitman potrebbe fare del figlio del regista di "Ghostbusters" un naturale erede di Billy Wylder. Forse esagero, ma non più di tanto.

THELMA & LOUISE ( Thelma & Louise, USA 1991)
DI RIDLEY SCOTT
Con SUSAN SARANDON, GEENA DAVIS, Harvey Keitel, Michael Madsen.
DRAMMATICO
Oscar per la migliore sceneggiatura a Callie Khouri, recensioni entusiaste e ottimo risultato commerciale: "Thelma & Louise" fu un vero e proprio fenomeno di costume, tanto da ispirare per anni l'iconografia, usata anche negli spot e in varie rappresentazioni, della strada che squarcia lo scenario dei canyon, delle grandi vie asfaltate per chissà dove e quanto lontano. Molto amato generalmente, rivisto oggi mostra qualche patinatura di troppo, e per quanto mi facciano ridere i machismi, qui siamo all'opposto: i personaggi maschili sono caratterizzati un pò troppo stereotipatamente, dal poliziotto sensibile a priori, al marito cretino e immaturo, al ragazzo di strada guascone e malandrino fino al camionista becero che fa versi osceni e ha la faccia da zotico. Il personaggio di Michael Madsen, tra gli uomini, è quello reso meglio, ma questo è il difetto maggiore di un film comunque affascinante, con due caratteri resi con molta sensibilità e proprietà anche per merito delle interpreti. Susan Sarandon e Geena Davis compongono un'accoppiata molto affiatata,credibile, per la quale lo spettatore prova una simpatia innata, robusta: la loro fuga è senza speranza dall'inizio, ma Scott le ama e ferma l'immagine prima che muoiano, per scelta loro e perchè non vogliono tornare ad abbassare la testa, come Butch Cassidy e Sundance Kid, consegnandole direttamente al Mito in un volo infinito.

PARENTI, AMICI E TANTI GUAI( Parenthood, USA 1989)
DI RON HOWARD
Con STEVE MARTIN, Mary Steenburgen, Dianne Wiest, Jason Robards.
COMMEDIA

Nel cinema,commerciale quando si vuole,ma sempre confezionato con cura e abilità da Ron Howard,la famiglia e i rapporti umani sono sempre stati fondamentali nello svolgersi delle storie e nello svilupparsi dei caratteri.Logico che prima o poi si arrivasse ad un film totalmente incentrato sulle relazioni familiari,lungo una vita,con gli intrecci che possono venir fuori mettendo in scena ,come fece(assai meglio,ma è un altro discorso) Scola con "La famiglia",anni fatti di complicazioni quotidiane e legami in cui non mancano i conflitti.La sensazione è che Howard intenda sottolineare che le famiglie "perfette",quelle in cui da fuori sembra che la vita scorra via liscia come l'olio,non esistano,e che il senso di appartenenza ce lo portiamo dentro,venga quel che venga.Probabilmente troppo lungo,"Parenti,amici..." è una commedia ben recitata,con un cast eterogeneo cucito insieme con indovinata scelta registica,alla quale magari ogni tanto difetta la tenitura di ritmo,ma sa dare anche momenti toccanti.Grande successo in America,praticamente inosservato da noi.



NON C'E' DUE SENZA QUATTRO ( I, 1984)
DI E.B.CLUCHER
Con BUD SPENCER, TERENCE HILL, April Clough, Harold Bergman.
AZIONE/COMMEDIA

Le casse dei cinema che proiettavano le loro avventure, dopo anni altamente redditizi, cominciavano a languire, ed allora Bud Spencer e Terence Hill, tornati sotto la conduzione del fidatissimo E.B. Clucher si sdoppiano per proporre al loro pubblico una relativa novità: ed eccoli di nuovo sia nella versione del biondo dritto e del barbuto castigamatti, ma anche, come sosia degli stessi, cicisbei ricchissimi e ridicoli. Ci sono i soliti cattivi da comica, l'ambientazione è questa volta il Brasile, un blandissimo complotto di cui, è naturale, i due alleati avranno ragione a suon di cazzottoni molto rumorosi ma mai eccessivamente violenti: si sa, alle formule che portano pecunia è sempre difficile apportare modifiche, ma la controregola vuole che via via l'effetto sia sempre più loffio e meno attraente anche per chi vi cedeva. Questo non è tra i peggiori della coppia Spencer-Hill, l'occasione per qualche sorrisetto (molto concessivo,ma il tipo di pellicola pretende anche una buona dose di disponibilità a stare al gioco dello spettatore) c'è,ma la sensazione che l'accoppiata sia sul rosso della riserva è sempre più forte, è evidente.

giovedì 28 gennaio 2010

SE PERMETTETE PARLIAMO DI DONNE (I, 1964)
DI ETTORE SCOLA
Con VITTORIO GASSMAN, Sylva Koscina, Giovanna Ralli, Antonella Lualdi.
COMMEDIA Film d'esordio da regista del già apprezzato come sceneggiatore Ettore Scola, persegue lo schema del film ad episodi molto comune del periodo in cui è stato girato, con un interprete avvezzo a moltiplicarsi come Vittorio Gassman, alla prima collaborazione con il regista irpino. Come spesso accade a pellicole di questo tipo, non tutti gli episodi sono dello stesso livello:soprattutto, si nota l'ingenuità dell'opera prima di un autore comunque quasi sempre interessante e dotato di un acuto senso dell'osservazione nonchè di un umorismo aguzzo, una coda spesso superflua ad ogni episodio, che diluisce di troppo l'effetto comico mordace. Da citare perlomeno il segmento con la prostituta "per bene" Giovanna Ralli che vedi il caso è sposata con un antico compagno di scuola del protagonista, e quello con Walter Chiari gagà da sala da ballo che, sedotta la sorella di un Gassman compassato e non più freschissimo giovanottone, lo coinvolge nelle proprie "scorribande" da rimorchiatore scafato,ma non sempre la satira è azzeccata:di per contro si nota la bravura del regista e sceneggiatore nel dipingere con pochissimi tratti personaggi anche di contorno, traendone fuori veri e propri caratteri. Imperfetto,a tratti divertente, un pò dimenticato.

martedì 26 gennaio 2010

MOSQUITO COAST ( The Mosquito Coast, USA 1986)
DI PETER WEIR
Con HARRISON FORD, Helen Mirren, River Phoenix, Conrad Roberts.
DRAMMATICO
Uno sceneggiatore di prim'ordine come Paul Schrader, un regista già di culto e in piena affermazione presso il grande pubblico quale Peter Weir, una star consolidata che sarebbe Harrison Ford: e allora perchè "Mosquito Coast", con queste credenziali in mano, fu uno storico fiasco? Bocciato senza mezzi termini dalle platee, conobbe anche stroncature nettissime: eppure si vede che vi è profuso impegno, che si è tentato di fare un discorso profondo. Il problema è che il protagonista, operaio con il pallino delle invenzioni, è un personaggio reso male: e attenzione, la prova,coraggiosa, di Ford, nei panni di un carattere così ostico, un uomo perso nella propria solitudine interiore, che spara filosofemi di un radicalismo anche giustificabile ma talmente ottuso e inestricabilmente presuntuoso da costringere quasi lo spettatore ad allontanare ogni eventuale simpatia. Il tema della fuga dalla civiltà occidentale non è nuovo, ma Weir vi si approccia con intelligenza: solo che la pretesa di riscrivere ogni regola,imposta alla propria famiglia e agli indigeni, in pieno Ventesimo Secolo, senza tener conto nè dei metri di giudizio di altre culture, e nè di un minimo senso del ridicolo delle proprie azioni, rende "Mosquito Coast" un film sbagliato, per quanto sia animato da ottime intenzioni. Il finale tragico è l'inevitabile traguardo della storia, di un uomo capace sì di creare ghiaccio dal fuoco, ma non in grado di spiegarne l'utilità, forse un cretino di talento, azzeccata definizione che anni or sono Umberto Eco coniò.

domenica 24 gennaio 2010

LA BATTAGLIA DEI TRE REGNI ( Chi bi/ Red Cliff, CHI 2009)
DI JOHN WOO
Con CHEN CHANG, YONG HOU, Hu Jun, Zang Fenjy.
STORICO/AVVENTURA
Per il cinema cinese è il kolossal dei kolossal, il ritorno a girare in patria di un regista molto amato in Occidente e purtroppo,dopo anni di grande considerazione, e di investimenti da parte dei produttori statunitensi, considerato quasi demodè o prigioniero del proprio illustre passato. "La battaglia dei tre regni" narra uno snodo fondamentale per la storia della Cina, ed il lungometraggio è stato realizzato in due versioni, in due parti che totalizzano oltre cinque ore di proiezione (un pò come "Novecento"da noi) per il mercato asiatico, e di due ore e mezza per il resto del mondo: se si escludono,appunto, delle lievi imperfezioni dovute molto probabilmente alla "compressione" narrativa, si può parlare di un cinema che in alcuni momenti di bellezza esaltante, sfiora il capo d'opera. L'infuriare di una battaglia che riassume in sè un assetto geometrico fondamentale ed un'esplosione di violenza inevitabile, una panoramica mozzafiato dietro ad un volo di colomba (il marchio di fabbrica, mai così ben reso), la forza della filosofia nell'azione: per giungere ad un finale che,dopo un susseguirsi di strategie che tengono conto dei fenomeni atmosferici e della mente degli uomini, invoca la fine dei conflitti e rammenta che in fondo ad una guerra forse davvero nessuno mai vince del tutto. Passato troppo in fretta sui nostri schermi, merita una riscoperta : uno di quei titoli che fa percepire, possente, la magia del cinema.

sabato 23 gennaio 2010

IL MONDO DEI REPLICANTI ( Surrogates, USA 2009)
DI JONATHAN MOSTOW
Con BRUCE WILLIS, Radha Mitchell, Rosamund Pike, Ving Rhames.
FANTASCIENZA/AZIONE
Si è parlato di film "piccolo" di fantascienza presentando "Surrogates", nuovo film di Jonathan Mostow a sei anni dal semiflop di "Terminator 3":per prima cosa il titolo italiano, come spesso succede,è inesatto, visto che i replicanti, se si pensa a quelli di Scott e del suo "Blade runner" non sono proprio tali,bensì dei veri e propri "alter ego" biomeccanici che sostituiscono i loro "originali", distesi in poltrone altamente tecnologiche e sospesi in una condizione quasi di sogno guidando i loro doppi (quasi sempre, Willis a parte, con fattezze ben diverse e più piacenti). E poi, è un piccolo film questo, con le scenografie presentate e i mezzi messi in gioco,costati diversi milioni di dollari?Magari se rapportato alla supercorazzata "Avatar", che tra l'altro riporta l'idea del doppio alternativo, forse può essere catalogato tale, ma resta qualche dubbio:per il resto, poco di nuovo. Un mondo in via di disumanizzazione, oramai improntato ad una pressochè totale abdicazione della popolazione alla vita reale facendosi sostituire in tutto (lavoro,sesso,svago,anche assunzione di droghe) da manichini animati in un quadro visuale sfrenatamente edonista contestato da una minoranza:al di là della considerazione di quanto possa costare un modello di società del genere, è scontato quasi ogni passo della sceneggiatura. Il film, di per sè, si lascia guardare ,perfino il prevedibilissimo finale:ma Mostow, che in molti avevano indicato a fine anni Novanta come uno dei nomi su cui puntare, si limita a reggere il timone senza metterci granchè di personale. Bruce Willis, nei limiti di un personaggio molto ancorato ai clichès tipici del cinema d'azione(c'è un forte trauma alle spalle,ha problemi di dialogo con la moglie) via via che il film scorre, e meno male che la sua versione "derughizzata" e con inqualificabile toupet biondo viene a sparire, si riappropria del ruolo e dà una prova perlomeno professionale, ma di emozioni la pellicola scarseggia.

venerdì 22 gennaio 2010

WELCOME ( Welcome, F 2009)
DI PHILIPPE LLORET
Con VINCENT LINDON, FIRAT AYVERDI, Audrey Daana, Derya Ayverdi.
DRAMMATICO
Un intento praticamente impossibile, il tentativo di opporsi a logiche crudeli che la sorte impone, il titanico sforzo di un ragazzo di contrastare l'infamità dello status delle cose: un profugo curdo, già bastonato dal destino che lo ha fatto nascere come membro di una minoranza di cui è stato programmato lo sterminio che dalla Francia di Sarkozy (anch'egli di provenienza mica indigena, ma sostenitore di una politica antistraniero che a certo nazionalismo di destra piace tanto) vorrebbe raggiungere a nuoto l'Inghilterra l'amata non potendo con altri mezzi:l'ex nuotatore di talento Vincent Lindon lo incontra, e non ce la fa a non cercare di aiutarlo, scuotendosi da una vita alla deriva, senza più entusiasmi, in via di separazione dalla moglie che ama ancora ed è arrabbiato con se stesso per non averglielo saputo dimostrare. "Welcome" è un film molto figlio dei tempi, e meno male: in una società presuntamente evoluta e aperta come quella occidentale, resiste la voglia di dare addosso all'alieno, le (sotto)voci di chi non si espone in prima persona eppure cerca di creare una muraglia di consenso antisolidale, sottolineando le male intenzioni di chi è venuto a compiere brutte azioni (sì, ci sono anche loro, e chi lo nega) ma condannando così intere comunità composte anche di brava gente che chiede solo un'esistenza che assomigli al normale e accetti lavori che, e diciamolo, a noi italiani che ad un colloquio di lavoro ci preoccupiamo subito che ci lascino il sabato libero, non piacerebbe fare. Vincent Lindon mette dentro al suo personaggio di uomo ferito una dolenza da interprete dotato, e il film approda ad un finale che non manda a casa lieti, perchè altrimenti sarebbe stato superficiale;c'è un riscatto morale,è vero,ma le comunità imporranno la loro logica senza sentimento, perchè così accade quando per troppo tempo si rimane indifferenti ai cambiamenti e non si alza la mano o la voce per dissentire.

I SENZA NOME ( Le cercle rouge, F 1970)
DI JEAN-PIERRE MELVILLE
Con ALAIN DELON, GIAN MARIA VOLONTE', YVES MONTAND, Bourvil.
NOIR
Penultimo lavoro di Jean-Pierre Melville, e tra i più citati di una filmografia molto amata dalla critica, "I senza nome" ha un titolo in originale, "Le cercle rouge", che si rapporta all'incipit:una citazione buddista che metaforizza il destino in un cerchio rosso che, se esistente, al momento giusto collega due persone. Cronaca di un colpo perfetto le cui conseguenze però non lo saranno, il film è narrato con lo stile elegante, secco, volutamente scarno dell'autore di "Frank Costello faccia d'angelo", di cui ritrova qui il protagonista Alain Delon: e raramente al cinema si è visto un resoconto così puntiglioso ed eccezionalmente avvincente di una rapina, senza concessioni alla spettacolarizzazione ma con un senso dei tempi realistico ed una cronistoria dell'organizzazione dell'atto criminoso praticamente perfetta. Magari il recupero del personaggio di Yves Montand, in preda ad un delirium tremens da alcool, con tanto di allucinazioni di animali che invadono la sua camera è un pò troppo superficiale, ma i personaggi sono raccontati con cura, il concetto romantico della mala con codice d'onore (il rapinatore Volontè che grazia il poliziotto nel finale) è ben reso, e l'idea di assemblare tre star cinematografiche dallo stile recitativo completamente diverso uno dall'altro è un colpo di genio;il sornione Montand, il freddo Delon e l'energico Volontè si miscelano giocandosela da grandi dello schermo quali sono stati.

mercoledì 20 gennaio 2010

IL FUGGITIVO ( The fugitive, USA 1993)
DI ANDREW DAVIS
Con HARRISON FORD, Tommy Lee Jones, Jeroen Krabbè, Joe Pantoliano.
THRILLER/AZIONE
Ci fu ad inizio anni Novanta una fortunata tendenza a trarre da serie tv di successo film progettati per realizzare grossi incassi: fu così per "Maverick", "I Flinstones", "Charlie's Angels". Naturalmente, anche per leggi statistiche, ci furono anche dei tonfi, vedi "Lost in space": "Il fuggitivo" è stato invece tra i maggiori risultati in termini di risposta del pubblico. Diretto dallo specializzato in film avventurosi Andrew Davis, spesso al lavoro con Steven Seagal, il film fa partire il racconto già nel pieno dell'azione, con il medico Harrison Ford accusato dell'omicidio della moglie e messo sotto torchio dagli investigatori. La sceneggiatura, per quanto non manchino situazioni discretamente poco credibili e spettacolarmente improbabili (una per tutte, il tuffo da un'altezza spropositata in un fiume vedi caso dalla profondità giusta per non lasciarci le penne) è ben congegnata: la sfida tra lo sventurato protagonista e l'agente federale Tommy Lee Jones, duro ma non privo d'ironia e non insensibile è resa bene anche se i due si incontrano solo due volte nella storia, e le scene d'azione sono messe nei punti giusti per lasciar sviluppare il racconto e intrattenere lo spettatore. Piccola parte per una Julianne Moore ancora sconosciuta.

domenica 17 gennaio 2010

THE HURT LOCKER ( The hurt locker, USA 2008)
DI KATHRYN BIGELOW
Con JEREMY RENNER, Anthony Mackie, Christian Camargo, David Morse.
GUERRA

La sabbia che si impregna di sangue, il caldo opprimente di un sole a picco che incendia i pensieri, la morte spesso incontrata di fronte nei tanti morti visti, o alle spalle in agguato ad appena un tiro di fucile di distanza. Ma sopratutto la tensione che genera l'adrenalina sulla semplice ma cruciale questione: "sopravviverò?". Questo è, soprattutto, "The hurt locker", l'ultimo film di Kathryn Bigelow, una cineasta che assieme all'ex-marito James Cameron avrebbe potuto diventare la regina del cinema mainstream, ma ha sempre scelto altre vie, e il che non significa che il suo non sia bel cinema, tutt'altro. Solo che i personaggi dei film della regista di "Point Break" non sono mai dati tutti in una volta,sono troppo complessi e "umani" anche se possono non parerlo come a volte capita qui, le sue storie non si chiudono comodamente o dando risposte assolute: se andasse avvicinata ad un altro regista, questo sarebbe Michael Mann, altro grande cantore post-western. I soldati americani confusi in un Iraq in cui la vita vale davvero pochi spiccioli non "esportano democrazia", come affermava tronfio chi ce li ha mandati, sono troppo contratti dal terrore di non arrivare al giorno dopo, da annullare ogni rapporto sociale o considerazione personale su quello che stanno vivendo, salvo rischiare un crollo psiconervoso dinanzi al cadavere scempiato di un ragazzino usato dalla parte avversa come arma e ritrovare un minimo di senso delle cose. Ma non è questione di buoni o cattivi qui, non c'è bandiera cui attaccarsi per giustificare la follia della guerra, non c'è una missione che se compiuta contribuirà a chiudere il conflitto: e il ritorno a casa che la sorte riserva non a tutti non basta a considerare la protezione dello scafandro antimina, quello che viene definito l' "hurt locker" una parte del passato. E tornare a quella dimensione di paura può essere considerata, non fare la spesa e pensare ad un figlio da crescere, la vera normalità. E' un film che spiazza, può non convincere tutti:le poche facce note durano pochi minuti sullo schermo,il narrato tagliato come un lungo reportage, montato con energetico vigore, rischia di essere un forte candidato a sorpresa per i prossimi Oscar. Ma se porterà via almeno la statuetta per la miglior regia, non sarà data a sproposito.

MIAMI SUPERCOPS ( I poliziotti dell'8 ° strada) ( I 1985)
DI BRUNO CORBUCCI
Con TERENCE HILL, BUD SPENCER, Jackie Castellano.
AZIONE/COMMEDIA E' fisiologico che ogni filone anche di grande successo si esaurisca, per disinteresse del pubblico soprattutto, ma anche per partecipazione delle star che venga meno, idee che a furia di allungare si fanno inconsistenti che più non si può:solo James Bond sembra contraddire tutto ciò, ma anche la serie dello spione ha avuto la sua bella crisi ed è stata lì lì per non rialzarsi,salvo nuovi innesti nel ruolo principale e diverso taglio delle avventure. Anche per la coppia Hill & Spencer le cose,dopo i fasti di tutta la decade dal '70 all'80 le cose sono andate a peggiorare: "Miami Supercops" è l'esempio di quanto fossero ormai stanche le vicende dei due castigamatti, qui fiaccamente cloni del successo mondiale di un anno prima di "Beverly Hills Cop", diretti da un Bruno Corbucci svogliato come non mai: le scene d'azione sono centellinatissime, visto che la coppia di pugnaci beniamini di grandi platee è attempatella, e l'umorismo, le rare volte che c'è, è scarsissimo. Il fermo-immagine finale dei due che si danno la mano sa proprio di addio, e a questo punto è la soluzione migliore,anche troppo rimandata.
NEW POLICE STORY ( San ging chaat goo si, HK 2004)
DI BENNY CHAN
Con JACKIE CHAN, Nicholas Tse, Mak Bau, Winnie Leung.
AZIONE
Jackie Chan ha alle spalle una carriera oramai ultratrentennale, anche se da noi non ha tutto sommato mai riscosso grossi risultati in termini di incassi: da metà anni Ottanta in poi, con "Protector", il suo cinema ha tuttavia i suoi estimatori anche qui, seppure gli appassionati veri e propri ne contestano l'eccessiva contaminazione con i blockbuster statunitensi degli ultimi anni. "New police story", che è un episodio di una serie, comincia con il protagonista letteralmente a pezzi perchè si sente responsabile della strage dei suoi uomini ad opera di delinquenti cui veniva data la caccia: gli viene in aiuto un giovane che non si separa da una giacca mimetica vecchia e trasandata, che si annuncia suo collega e lo aiuterà nel recupero di se stesso e nel regolamento di conti con la pericolosa banda. Il film ha una forte connotazione melodrammatica, confondendo le scene di azione pura e spericolata con una tendenza al retrogusto sentimentale: Chan,superata la cinquantina d'anni, si spende magari meno in acrobazie e capriole, ma è anche un buon interprete. E non dispiace appunto l'infiltrazione da melomani del sentimento ad ogni costo, che emerge soprattutto nelle scelte dei personaggi e in ciò che si viene a sapere del loro passato, in un cinema sospeso tra un impatto visivo sempre d'effetto ed una visione tuttavia "umana" anche dell'azione,oltre che dei rapporti umani e dei principi da tenere presenti che non lascia indifferenti.

giovedì 14 gennaio 2010

NICKNAME:ENIGMISTA (Cry wolf, USA 2005)
DI JEFF WADLOW
Con JULIAN MORRIS, Lindy Booth, Jared Padalecki, Jon Bon Jovi.
THRILLER
L'assassino che invia messaggi agli investigatori per caso o ai professionisti dell'indagine è un vecchio motivo del thriller. L'espediente narrativo è il motore anche di "Nickname:Enigmista", in cui un ragazzo con un passato su cui è meglio non aprir bocca con le nuove conoscenze arriva in un college e si ritrova invischiato in un gioco che ben presto si fa assai pericoloso. Prima dei titoli abbiamo assistito ad un delitto in un bosco,di notte: e i messaggi tra il misterioso autore ed il protagonista si fanno sempre più serrati e minacciosi,via cybercontatto: ma è tutto vero? O qualcuno sta mettendo in atto una sorta di vizioso trucco per tormentare il giovane? Accolto bene alla sua uscita dalla maggior parte dei recensori, "Cry wolf" delude. Spesso pretenzioso nel voler elevarsi rispetto ai consueti slasher, si perde spesso in panegirici verbali molte volte ingombranti o semplicemente uggiosi, per poi rivelare in un doppio finale piuttosto scontato una soluzione che si può prevedere con larghissimo anticipo. E pure l'ultima sequenza che evita il lieto fine, non migliora il giudizio su un thriller di ambientazione scolastica che propone molte cose già viste, con poco mordente e recitato mediocremente.

mercoledì 13 gennaio 2010

INCUBO FINALE ( I still know what you did last summer, USA 1998)
DI DANNY CANNON
Con JENNIFER LOVE HEWITT,Freddie Prinze Jr., Brandy, Mekhi Phipher.
THRILLER
A ruota del primo capitolo, di un successo probabilmente oltre le previsioni dei produttori(ma anche per "Scream" andò così, a pensarci bene), uscì il seguito di "So cosa hai fatto": ambientazione questa volta in un luogo di vacanza, con i sopravvissuti del film precedente braccati di nuovo da qualcuno che li tiene in tensione con messaggi continui circa il loro passato, e naturalmente falcidia il gruppo di amici di cui fanno parte. La mano passa da Jim Gillespie al precedentemente ambizioso Danny Cannon, proveniente dal fiasco di "Dredd" (curioso, i registi hanno lavorato entrambi con Stallone nel suo periodo meno proficuo...) ma il risultato cambia poco: le solite sequenze di giovani urlanti, consueti intrappolamenti delle vittime in situazioni senza uscita, seppur con meno ricorso ad una violenza eccessiva, più riscontrabile nel decennio successivo nel genere slasher. Naturalmente i delitti di questo sono collegati a quello del primo film, con una spiegazione abbastanza forzata,ed una prevedibilissima scena finale aperta ad un eventuale atto terzo che, di conseguenza ad un esito negativo al botteghino,per fortuna non c'è stato.

lunedì 11 gennaio 2010

UNA GIORNATA PARTICOLARE ( I, 1977)
DI ETTORE SCOLA
Con SOPHIA LOREN, MARCELLO MASTROIANNI, John Vernon, Francois Bard.
DRAMMATICO
Se fuori la folla si riversa nelle strade a celebrare l'incontro tra Hitler e Mussolini, una pagina particolarmente vergognosa a livello storico per l'Italia, in un palazzo di periferia si incrociano per caso due persone emarginate:una casalinga il cui ottuso marito ha saputo solo relegare ad una vita funzionale,far faccende e dar vita alla prole, ed un conduttore radiofonico omosessuale che in quello stesso giorno dovrà essere accompagnato al confino (le "vacanze" citate da Berlusconi in un'intervista tempo fa, se lo ricorda qualcuno?). Scola intreccia, con una delicatezza maiuscola due solitudini ponendo quasi fuori dal Tempo lo spazio in cui la storia si svolge:cronaca di una giornata che può valere un'esistenza, recitato con spontaneità toccante tra due delle stelle più intense del nostro cinema, uno dei più bei film d'Amore degli ultimi cinquant'anni. Senza dimenticare uno sguardo pregnante e accusatorio sulla bovina capacità del popolo a dar retta e consenso a chi sa manipolarlo meglio, un'opera da presentare con orgoglio tra i capolavori del cinema italiano.

STALAG 17 (Stalag 17, USA 1953)
DI BILLY WILDER
Con WILLIAM HOLDEN, Don Taylor, Robert Strauss, Otto Preminger.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Certo che a soli otto anni dalla fine del conflitto, l'idea di realizzare una commedia drammatica ambientata in un campo di prigionia (non di concentramento, cosa ancor diversa) aveva del coraggiosamente folle, o del follemente coraggioso. Ai genii, però, può venire in mente anche questo. E Billy Wilder lo è stato. "Stalag 17" non è tra i suoi titoli più ricordati alla prima, e probabilmente non tra le sue opere più eccelse, ma dà uno sguardo atipico alle vicende di prigionieri americani in un campo tedesco, facendo sì che i tradizionalmente buoni ed eroici risultino spesso cialtroni, squinternati ed opportunisti, mentre i tedeschi sono sì dipinti con estro caricaturale, ma ricordandone la spietatezza che uccide se si esce dai limiti imposti. William Holden vinse l'Oscar per un ruolo che emerge alla distanza, ambiguo per la maggior parte della storia, che si riscatta nel finale e Otto Preminger, alto ufficiale che presidia il campo, è una sapida presa in giro della rigida applicazione delle regole nazista. Il finale,con gli uomini rimasti nella baracca che intonano la marcetta dei marines è un'ultima pennellata di ironia e fiducia nel tempo che sconfiggerà ciò che opprime.

domenica 10 gennaio 2010

SHERLOCK HOLMES ( Sherlock Holmes,USA/GB 2009)
DI GUY RITCHIE
Con ROBERT DOWNEY Jr., JUDE LAW, Rachel McAdamns, Mark Strong.
THRILLER/AZIONE

"Non c'è niente di più sfuggente dell'ovvio." Nella filosofia investigativa del detective più famoso di sempre, questa massima pronunciata nella quadratura finale dell'indagine al centro della versione 2009 del personaggio di Conan Doyle fila a pennello: nell'adattamento ad un cinema da grossi incassi, la flemma spesso indicata quale carattere saliente di un eroe letterario e cinematografico comunque denso di sfaccettature oscure come una riconosciuta misoginia e il ricorso ad oppiacei sparisce, lasciando spazio ad un'inedita propensione allo scontro fisico (programmato con una precisione degna di un cyborg). Inoltre, nuova fisionomia anche per il tradizionalmente anonimo Watson, che ha l'aspetto piacente di Jude Law e condivide con il compare lotte e rischi: diretto da Guy Ritchie, che è forse il miglior emulo di Quentin Tarantino, "Sherlock Holmes" pare esser piaciuto alle platee, ottenendo subito ottime cifre al box-office. Qualche giro a vuoto dei meccanismi narrativi c'è,soprattutto verso la metà del film, ma l'operazione, che avrà quasi sicuramente almeno un bis si può dire tutto sommato riuscita: la sintonia tra Downey jr. e Law è buona, con qualche punto in più per il primo, che sta conoscendo una nuova fase positiva di una carriera spesso disastrata dai guai personali, giacchè il talento di attore non gli è mai mancato, e l'equilibrio tra scene d'azione spesso impresse in un ralenti di buon livello e congetture holmesiane è stabile. Certo lo Sherlock di Cushing era un'altra cosa, ma accontentiamoci.

sabato 9 gennaio 2010

LA CASA NERA ( The people under the stairs, USA 1991)
DI WES CRAVEN
Con A.J.LANGER,BRANDON MCADAMS, Wendy Robie, Everett McGill.
HORROR
Salutato come un horror "politico" alla sua uscita, "La casa nera" è un racconto "american gothic", che estrapola da uno sguardo al sociale un avvio ad una contaminazione fiabesca ed insieme orrida, che ha parentele con Hansel e Gretel, ma porta in sè anche una venatura dickensiana. La storia del piccolo ladruncolo Fools che segue una versione black di Fagin nel cercare di effettuare un furto in una grande casa e si ritrova in una dimensione folle e sanguinaria ad opera dei padroni di casa, una coppia di pazzi ferocissimi, che tortura e massacra giovani incautamente capitati a loro tiro si incrocia con una rivolta di quartiere che anticipa profeticamente i disordini di Los Angeles che realmente avvennero nell'inizio del 1992. Il film ha un discreto passo narrativo, si impiastriccia in qualche ammicco grottesco di troppo e non convince del tutto nel finale liberatorio.Però la sadica strega dalla facciata perbenista con esplosioni di ira isterica Wendy Robie è davvero un personaggio che solleva inquietudine, la percezione assieme avventurosa ed impaurita del piccolo protagonista è ben resa;in più, sia la mise sadomaso di Everett McGill che l'idea di vittime tenute nel sottoscala sembrano i prototipi di ciò che Bruce Willis incontra nel negozio dei due pazzi torturatori di "Pulp fiction". Anzi, a ben pensarci l'intera trama sembra ispiratrice di quel brano famosissimo di cinema.

LA VENDETTA DI GWANGI( The valley of Gwangi, GB 1969)
DI JAMES O'CONNOLLY
Con JAMES FRANCISCUS, Gila Golan, Richard Carlson.
FANTASTICO/AVVENTURA

Questo era il genere di film che nella seconda fase delle televisioni non statali (non le telelibere di metà anni Settanta insomma) venivano trasmessi su Italia 1 in prima serata, come "Il serpente alato" ed altri capisaldi della medesima risma:produzione inglese, diretto da un poi svanito O'Connolly, contempla una trama discretamente di fortuna, con un circo messo male economicamente i cui gestori pensano di rigenerare con l'esibizione di animali preistorici scovati in una vallata misteriosa in Messico. A parte il fatto che i dinosauri sono presenti in esemplari unici, e l'unico animale più evoluto è il minicavallino che fa sì che la vallata venga scoperta, non si spiega il titolo italiano( come tante altre volte del resto): il tirannosauro Gwangi viene catturato e messo in gabbia, dopodichè scappa per poco, e trova la morte in una chiesa in fiamme. Dove sta la vendetta? Echi kingkonghiani a parte, rimane la bravura di Ray Harryhausen nel provare ad imprimere un pò di vita a questo filmetto inerte e poco sostanzioso, con i suoi modelli geniali di mostri a passo uno: può andar bene per cinefili incalliti, ma consigliarlo ad altri, non se ne vede motivo...

giovedì 7 gennaio 2010

JULIE & JULIA (Julie & Julia, USA 2009)
DI NORA EPHRON
Con MERYL STREEP, AMY ADAMS , Stanley Tucci, Chris Messina.
COMMEDIA

Commedia a due piani narrativi che si alternano, tra passato e presente, su due donne che trovano nella cucina un nuovo stimolo di vita o anche un'estensione di sè:lo spunto interessante, e ancor più dato che la direzione è affidata ad una regista tra le più capaci di sbancare i botteghini negli ultimi quindici anni,non basta a far sì che "Julie & Julia" sia una commedia riuscita. Se la parte con Meryl Streep ambientata in una Francia post-guerra mondiale, con qualche (tenue) riferimento al maccartismo ha qualche motivo d'interesse,nonostante la pur sempre grande interprete di "I ponti di Madison County" doppiata risulti come sbronza, e comunque gigioneggia non poco in quest'occasione, quella "moderna" dice davvero poco,ambientata quasi esclusivamente nell'appartamento della protagonista, con molto senso di rivalsa. Se il senso dell'operazione poggiava sul sempiterno sogno americano, che non si deve mai smettere di sognare eccetera, emerge invece tanta voglia di successo a tutti i costi, e di humour nemmeno a parlarne. La Ephron, benchè abile a lavorarsi il box-office, non è mai stata gran cosa, al di là di una diligente conduzione attoriale: "Julie & Julia" poteva esser meglio, come ha osservato qualcuno, con un'interprete francofona al posto della Streep. Ma una Ardant od una Azèma erano forse troppo fuori dall'ottica molto "all american" della pellicola.

mercoledì 6 gennaio 2010

URBAN COWBOY ( Urban cowboy,USA 1980)
DI JAMES BRIDGES
Con JOHN TRAVOLTA, DEBRA WINGER, Scott Glenn, Madolyn Smith.
DRAMMATICO
Dopo due successi mondiali come "La febbre del sabato sera" e "Grease", la carriera divistica di John Travolta conobbe un contraccolpo robusto con "Attimo per attimo", e si riscattò per un pò con "Urban cowboy":da noi fece poco furore, anche per via della forte connotazione tutta americana di storia ed ambientazione, ma in patria rimise la giovane star sugli allori, almeno per qualche tempo. Diretto da un regista nè autore nè dichiaratamente per il botteghino come James Bridges, il film è troppo lungo, arrivando ad un minutaggio di due ore ed un quarto francamente stiracchiate, e il contenzioso sentimentale tra il giovanotto venuto dalla campagna Bud e la ragazza Sissy, con tiramolla e ingresso di nuovi partners nel mènage suscita un interesse alla lunga di decrescente interesse; in più, la risoluzione finale tra i rivali in amore Travolta e Glenn sa un bel pò di sceneggiata virata al chili, con rivelazione davanti a tutti della cattiva natura del cowboy più anziano e macho. Però a livello antropologico il film ha qualche merito, descrivendo rituali e particolari di una mentalità molto profondamente americana che risulteranno difficili sia da comprendere che da condividere a noi europei, ma illustrano meglio di articoli giornalistici o speciali televisivi ceppi ed una fetta di società (che molto probabilmente ha votato Bush II con convinzione e fierezza, penso) spesso invisibile nel cinema mainstream. Sostituendo l'altra promessa Michelle Pfeiffer, Debra Winger qui ebbe il suo primo ruolo importante: ed è la migliore del cast.


domenica 3 gennaio 2010

AFFARI SPORCHI( Internal Affairs, USA 1990)
DI MIKE FIGGIS
Con ANDY GARCIA, RICHARD GERE, Nancy Travis, Laurie Metcalf.
THRILLER
Due sbirri l'un contro l'altro armati, uno che lavora per il buon nome della Polizia ed è visto con sospetto quando non con odio da chi all'interno del corpo non è pulito, l'altro abilissimo a costruire una rete ramificatissima di corruzione e favoritismi, pronto ad uccidere senza problemi per mantenere l'alto tenore della propria famiglia allargata. Mike Figgis conquistò attestati di stima all'epoca dell'uscita di questo thriller polizieco metropolitano, salvo essere ridimensionato notevolmente negli anni successivi, anche per una certa pretenziosità nello scegliere temi e soggetti:il difetto maggiore imputabile ad "Affari sporchi" è la forte identificabilità nel periodo in cui è stato girato, nel senso di musiche, modo di narrare ed ambientazione, molto tipici di una fase in cui il cinema americano di genere strizzava troppo l'occhio alle serie tv per rinnovarsi. Però il confronto tra i due antagonisti ha spessore psicologico da vendere, certi personaggi sullo sfondo sono meglio tratteggiati di quelli in altri titoli analoghi, e la forza del personaggio negativo, che offre motivazioni concrete benchè condannabili è di quelle che rimangono impresse. Rilanciò la carriera di Richard Gere, da qualche anno semiappannato e qui redivivo, con capelli brizzolati e grinta sinistra sempre tenuta a freno prima.

sabato 2 gennaio 2010

IL "GRINTA" ( True Grit, USA 1969)
DI HENRY HATAWAY
Con JOHN WAYNE, KIM DARBY, Glen Campbell, Robert Duvall.
WESTERN
I fratelli Coen ne hanno annunciato il remake, che vedrà Jeff Bridges nel ruolo dello sceriffo con benda sull'occhio, sbevazzone e dai modi trogloditi Rooster Cogburn: unico ruolo ad aver assegnato l'Oscar ad un già anziano John Wayne, quello de "Il Grinta" trovò posto anche in un seguito che fu tra le ultime pellicole girate dal Duca.Però pur se la firma è di quelle che hanno fatto grande il western e la collaborazione con una delle colonne del genere lasciava presagire un film di buon livello, "True Grit" nasce già vecchio per tempi narrativi, dialoghi e morale vagamente retrograda di fondo: in più, di prove superiori a questa Wayne ne ha fornite perlomeno una quindicina, mettendoci mestiere e poco più. Tra gli interpreti secondari spiccano due nomi importanti di lì a poco come Dennis Hopper e Robert Duvall, mentre Kim Darby sembrava avviata ad una carriera più sostanziosa. Hataway, altrove denso e capace di grandi sequenze, sembra esser messo totalmente al servizio dell'attempata star:e soprattutto, a convincere poco, è il sentimentalismo, non esattamente di prima qualità, che nel finale impazza quasi fossimo in un film di produzione disneyana del periodo, ma di quelli con gli attori, non i classici animati.