giovedì 29 aprile 2010

L'ULTIMO SPETTACOLO (The last picture show, USA 1971)
DI PETER BOGDANOVICH
Con TIMOTHY BOTTOMS,JEFF BRIDGES,Cybill Sheperd, Ben Johnson.
DRAMMATICO
Un piccolo paese nel profondo Texas, di nome Anarene,fa da scenario ad un racconto di sentimenti traditi, di logiche grette e segnato da una staticità sempiterna di ultraprovincialismo ignorante e fiero di se stesso in quanto contrario ad ogni potenziale cambiamento.Peter Bogdanovich, nel suo film di maggior importanza,vero e proprio cult-movie,girato in un malinconico bianco e nero che rendeva maggiormente elegante ed atipico il quadro illustrato, realizza, da un romanzo semiautobiografico di Larry McMurtry,il controcanto buio di "American Graffiti",due anni prima del film di Lucas. Emerge la solita malinconia alla fine,ma se quella del padre di tutte le operazioni-nostalgia affiora solo in seguito alla constatazione della effimera forza della giovinezza, in questo lavoro viene fuori l'obbligatorietà di sottostare a regole non scritte dettate da un microcosmo di adulti che hanno subito la stessa sorte precedentemente,e l'unico spirito libero in circolazione è quello di Sam "Il leone", proprietario del cinema che verrà chiuso appunto alla fine della storia,come suggerisce il titolo,veramente amato da tutti ma in un certo qual modo isolato eppur unico. Le dinamiche tra i personaggi godono di una verosimiglianza drammatica notevole, ed è difficile individuare il più bravo in un complesso attoriale che è uno dei punti di forza del lungometraggio:continuato in un sequel di scarso successo vent'anni dopo, è un film di pacata commozione che pennella di amarognolo ogni suo fotogramma.

AGORA' (Agorà,USA/ES 2009)
DI ALEJANDRO AMENABAR
Con RACHEL WEISZ, Oscar Isaac,Max Minghella, Michael Lonsdale.
DRAMMATICO/STORICO
Accolto a Cannes la scorsa edizione con fischi da una parte del pubblico,che si è comportato praticamente come molti dei fanatici illustrati sullo schermo qui, "Agorà" ci ha messo molto ad uscire, con vari problemi di distribuzione dovuti anche e soprattutto allo scarso coraggio mostrato dalle majors,quasi normale in un periodo storico di conservatorismo smaccato (in Europa,soprattutto) come quello attuale,che non di rado sfocia in una tendenza reazionaria e oscurantista affatto piacevole. Diretto dall'Amenabar che è passato da un film "da camera" come "Mare dentro" ad un'opera di forte complessità,che non dimentica però una spettacolarità marcata, il film merita un'attenzione decisa:sia perchè tratta tematiche complesse con fludità narrativa,sia perchè solleva questioni molto difficili da risolvere. Le forze oscurantiste,che attraverso la manipolazione delle masse facili da sollevare con belluino furore, sono riuscite spesso nei loro intenti, sia con azioni di forza che con il potere mellifluo del convincimento e di una fasulla disponibilità a farsi carico delle ragioni degli altri per poi indurre gli indecisi ad accompagnare il tristo corso delle cose:impossibile non pensare, vedendo l'attitudine allo scempio di qualsiasi fanatismo rappresentato nella pellicola via via da pagani,ebrei,cristiani alle prese di potere naziste, degli ayatollah,dei conquistadores, le jihad e le bushiane guerre di religione per il Dio Petrolio, per un Potere che conosce solo la violenza come via d'affermazione. In più,nella rimarchevole pellicola di Amenabar, con chiarezza si denuncia la volontà di estromissione prima,di sottomissione eventuale, della Donna, quasi a spezzare ogni potenziale fonte di dubbio sui dogmi imposti, a salvarne le argillose fondamenta, che il raziocinio tende a erodere. L'onestà intellettuale soppressa da un colpevole adeguamento di religioni alle esigenze dei cleri è un tema importante, che questo film ha il merito di affrontare con serissima coscienziosità,narrando una storia ambientata nell'Alessandria del 400 dopo Cristo, ma che purtroppo rimane attuale a tutt'oggi:ben interpretato da un cast in cui gli unici volti noti al momento sono la bella Rachel Weisz e Michael Lonsdale nel ruolo del padre di Ipazia, "Agorà" ricorda che le società ove la Donna è costretta al silenzio e all'umiliante sottomissione sono già un passo indietro nell'evoluzione, e che il sangue versato per compiacere i ministri dei culti non era nelle intenzioni certo dei profeti.

NON E' MAI TROPPO TARDI (The bucket list,USA 2007)
DI ROB REINER
Con JACK NICHOLSON,MORGAN FREEMAN, Sean Hayes,Beverly Todd.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Due grandi star accoppiate sono sempre un bel vedere, per confrontare due stili recitativi, due maniere di approcciarsi a storie e personaggi,due tecniche di immedesimazione. Jack Nicholson e Morgan Freeman non si erano mai incrociati precedentemente, e l'occasione ghiotta per farlo è stata questa commedia drammatica diretta da Rob Reiner, nella quale si parla di malattie terminali, ma con innesti brillanti e un tentativo di guardare alla cosa, per quanto possibile,con serenità e ironia. Peccato però che il film, comunque gradevole, si conceda troppi tramonti rosseggianti, e troppa patinata confezione, e che il tono da un certo punto in poi si faccia inevitabilmente ricattatorio,e cerchi l'effetto-lacrima a tutti i costi. Reiner, altrove più ispirato, lascia gigioneggiare sin troppo Nicholson, chiaramente il commediante nel duo,e trova invece degno sostegno nella misura di Freeman:ma se lo spunto, due uomini condannati dalla malattia che, anche per circostanze economiche favorevoli (uno dei due è miliardario), decidono di concedersi molte esperienze avventurose per godersi fino in fondo la vita, era niente male( ma c'è un'eco nemmeno troppo nascosta de "Le invasioni barbariche"), lo sviluppo della storia rischia spesso di sbandare nella superficialità. Con fuoriclasse come questi è veramente difficile sbagliare,ma rimane l'impressione di un film dove non tutto fili a puntino.

domenica 25 aprile 2010

LO SQUARTATORE DI NEW YORK ( I,1982)
DI LUCIO FULCI
Con JACK HEDLEY,Almanta Keller, Andrea Occhipinti, Howard Ross.
THRILLER Vietatissimo, giudicato spesso come uno dei thriller all'italiana più violenti di sempre (addirittura c'è chi ha scritto che è il più violento mai uscito), "Lo squartatore di New York" fa parte del periodo in cui Lucio Fulci,con probabilmente più soldi a disposizione,girava negli Stati Uniti a ripetizione horror e thriller che tuttavia trovavano un mercato internazionale ampio, mentre magari in patria non arrivava più in là del settantesimo posto nella classifica degli incassi stagionali. Cupissimo,nonostante l'eliminazione finale del pazzo assassino, per la scena conclusiva veramente disperata, il film è messo insieme tenendo d'occhio vagamente la trama gialla del detective un pò stazzonato (l'attore assomiglia bizzarramente a Dario Baldan Bembo) che si ritrova sulle tracce di un serial killer che lo sfida personalmente, con uccisioni crudelissime a profusione, con accanimento folle sulle vittime,tutte donne sessualmente disponibili:quasi a sostenere una vena perversamente moralizzatrice del maniaco, la città di New York viene dipinta in modo sordido, con il sesso vissuto come una cosa squallida e ricercata con gusto del piacere vizioso.Celebrato da molti appassionati come un cult, il thriller fulciano è mal musicato, fotografato con strana sciattezza da un solitamente dedito alla colorazione forte come Luigi Kuveiller, scritto con trasandatezza e attraversato da dialoghi quasi stordenti nella loro pressapochistica approssimazione. Nonostante le macabre scene d'impatto,non c'è suspence,quasi a giustificare un lungometraggio esistente più che altro per disturbare l'occhio di chi osserva, con dovizia di particolari rivoltanti:un pessimismo oltre ogni limite marchia l'intera pellicola, ma se il senso era la contemplazione dell'ingiustizia della sorte che non risparmia crudeltà verso gli innocenti, lo spettatore non rileva il peso della cosa, ma ricorderà più che altro i momenti in cui ha dovuto distogliere lo sguardo.

venerdì 23 aprile 2010

PHILADELPHIA EXPERIMENT (The Philadelphia Experiment,USA 1984)
DI STEWART RAFFILL
Con MICHAEL PARE',Nancy Allen,Bobby Di Cicco,Eric Christmas.
FANTASCIENZA In Italia fece una comparsata o poco più nelle sale,ed ebbe maggiori fortune nel mercato home video, dove conquistò consensi e simpatie,visto che c'era,ai tempi, chi lo paragonava a "Ritorno al futuro" addirittura ritenendolo forse meglio. Senza scomodare quella chicca di Zemeckis, c'è da dire che lo spunto di "Philadelphia Experiment" non è niente male, anche se il fatto del viaggio spazio-temporale con una nave militare di mezzo assomiglia non poco al di poco precedente "Countdown":solo che,a parte quello, nel film non c'è granchè di memorabile.Non gli interpreti, tra i quali un Michael Parè nella sua stagione decisiva, ma che dimostrò che un bel ragazzo non sempre diviene una star, nè una stinta Nancy Allen reduce dalle sue collaborazioni con l'allora partner Brian De Palma, nemmeno gli effetti speciali, già vecchiotti se paragonati a quelli dei coevi "Ghostbusters" e "Indiana Jones e il tempio maledetto".La regia del modesto Stewart Raffill, su un'idea alla quale si appassionò John Carpenter,che pare dovesse dirigere la pellicola, tanto da produrla, è manieristica, non costruisce tensione nè pathos,e non sfrutta a dovere le occasioni possibili di due giovani degli anni Quaranta catapultati nell'era post-Vietnam. Ne fu fatto,nove anni dopo,un sequel che è stato praticamente trasmesso solo in tv.
IL CONCERTO (Le concert,F/BE/RM, 2009)
DI RADU MIHAILEANU
Con ALEKSEI GUSKOV,MELANIE LAURENT, Dmitri Nazarov,Miou Miou.
COMMEDIA
Presentato con successo al Festival di Roma lo scorso autunno, "Il concerto", coproduzione franco-belga-romena ha ottenuto buoni incassi, grazie anche ad un passaparola solerte da parte di spettatori che avevano visto ed apprezzato il nuovo film di Radu Mihaileanum,quarto nella sua filmografia, mai più giunto ai risultati commerciali di "Train De Vie". La storia dell'ex-direttore d'orchestra che,trent'anni dopo essere stato destituito dal suo posto al Bolscioi,e ridotto in miseria dagli uomini di regime, coglie un'occasione gaglioffa per recuperare il proprio sogno e coinvolgere i suoi musicisti anche loro in cattive acque in una rivalsa insperata, viene condotta dal regista in tono brillante, talvolta anche troppo sopra le righe (la scena del matrimonio cafonissimo è anche troppo "sparata",survoltata ad uno humour grottesco non efficacissimo).Il film,una commedia che ha qualcosa del miglior Kusturica,ma che ne prende le distanze quando sviluppa (in modo spietatamente splendido,va detto) la componente emotiva,che nel crescendo finale avviluppa lo spettatore inesorabilmente. Affiora una voglia di vivere,nonostante tutto, che fa amare questo film. Recitato con passione da un cast che a fine film verrebbe voglia di abbracciare in blocco, "Il concerto",come la sentitissima esecuzione che conclude la pellicola,parte in sordina per giungere in trionfo: e la morale,la quale sottolinea con una forza trascinante,che non importa quanti calci ti abbia riservato quella stupenda signora che è la Vita, ma se anche per poco,un essere umano può dirsi padrone del proprio destino, a costo di ogni rischio,per compiere un'impresa che ha del miracoloso,quale può essere una vittoria dello Spirito,ebbene,sarà per quello che vale la pena di vivere,ti rimane dentro. E se il crescendo di montaggio,armonia musicale,bellezza delle immagini,che culminano nel pianto della star del violino lucida di commozione gli occhi del pubblico, ha l'aria di qualcosa che sfiora il sublime,in uno dei lungometraggi più belli dell'anno.

giovedì 22 aprile 2010

SCONTRO TRA TITANI (Clash of the Titans,USA 2010)
DI LOUIS LETERRIER
Con SAM WORTHINGTON, Gemma Arterton, Liam Neeson,Mads Mikkelsen.
FANTASTICO/AVVENTURA
Quasi trent'anni dopo l'originale prodotto in Inghilterra,che contava nel cast nomi come Laurence Olivier,John Gielgud,Ursula Andress, esce il remake,disponibile anche in 3D,come capita e capiterà a quasi tutti i film ad alto tasso di potenziale spettacolarità, diretto dal francese Louis Leterrier,autore della serie "Transporter" e del secondo "Hulk".A sentire lui e il protagonista Sam Worthington nelle interviste,il film del 1981,diretto da Desmond Davies, era uno dei lungometraggi preferiti,da rivedere ogni anno:non per smorzare i loro entusiasmi,sia chiaro,ma già quello non era granchè,un guazzabuglio di personaggi strappati dalla mitologia greca e infilati nell'avventura di Perseo a caccia della Medusa,con tanto di un marino Kraken, il cavallo alato Pegaso, il demone cornuto Calibo, e bisticci tra dei in ozio sull'Olimpo. Qui l'andazzo è il medesimo,più o meno,con più effetti speciali,là curati dal mitico Ray Harryhausen,in questo affidati largamente alla computer graphic,con scorpioni giganteschi e mostri di diverso genere.Finchè si deve introdurre la storia, con l'apparizione di Ade che lancia un anatema sulla città di Argo (ma perchè lo fanno parlare con la voce del "Padrino",accento siciliano escluso?) si percepisce che al regista questa parte interessa poco:va appena meglio quando l'azione si prende la scena,con frasi ridotte ad urlacci e carambole e piroette con spade o armi bianche di qualsiasi tipo. La perplessità dello spettatore però rimane:perchè Perseo si dovrebbe dannare per liberare una principessa che praticamente non conosce, salvare una città in cui è stato fatto prigioniero? Al di là di considerazioni forse eccessive per un prodotto così, si nota la tendenza sempre più marchettara di interpreti un tempo nobili come Ralph Fiennes e Liam Neeson:con barbe finte e parrucche da carrozzone del circo, l'uno fa apparizioni che lo fanno parere Batman,l'altro sembra la versione ultralucente e peggiorata dell'Artù di "Excalibur",in una girandola di scene incalzanti ma con poco spessore,che danno alla mitologia greca lo status di una giostra molto rumorosa.

lunedì 19 aprile 2010

WOLF CREEK ( Wolf Creek, AUS 2005)
DI GREG MCLEAN
Con CASSANDRA MAGRATH,NATHAN PHILLIPS,KESTIE MORASSI, John Jarratt.
THRILLER
Della presente decade, insieme a "Hostel", il dittico "La casa dei mille corpi" e "La casa del diavolo", e "Saw", si può dire che l'australiano "Wolf Creek" rappresenti, nella considerazione degli appassionati e di molta stampa,uno dei pilastri del rinnovato entusiasmo per l'horror crudo e ancor più efferato del tradizionale "slasher" nato trent'anni fa. Al di là che più che di film dell'orrore io parlerei di thriller a forte tensione drammatica, visto che purtroppo la trama presenta una verosimiglianza effettiva, il film di esordio di Greg McLean segue la sventura di due ragazze e un ragazzo in giro per le lande desertiche australiane, con visita al parco naturale di Wolf Creek, in cui c'è un cratere creato dall'impatto di un meteorite:lì tutto cambierà,perchè un guasto all'auto (che diciamolo,non convince lo spettatore....) li porterà ad incontrare un falso buon samaritano, uno del posto che fa il buffone ma ha una risatina in cui c'è un'eco troppo demente per non risultare inquietante... Girato da un regista che sembra stato a scuola da Terrence Malick nella prima parte,con la magnificenza di una Natura che può solo stupire nella sua bellezza eterna, arriva a strapazzare il pubblico nell'ultima mezz'ora, con una certa efficacia crudele. Però, benchè siano da apprezzare la descrizione della bellezza di un primo bacio,la contrapposizione di un cielo immenso e striato di colori a microcomunità zeppe di rottami costruite dall'Uomo,e un paio di mosse che fanno sì che lo spettatore metta mano alla bocca per l'orrore, l'impressione è che McLean non sappia gestire benissimo la storia, concentrandosi sull'accelerata finale e lasciando che sia scarno il profilo del killer,troppo per definirlo un personaggio ben costruito. Certo, è una pellicola che rimane impressa,sia perchè giunta ad un certo punto si permette di smontare le aspettative del pubblico facendo fare una bruttissima fine al carattere che dall'inizio sembrava quello più capace di sopravvivere, e per le diverse reazioni dei tre ragazzi ad una follia feroce e senza limiti,ma non va via la sensazione di un potenziale thriller capace di segnare una svolta nel genere non realizzato poi come si deve. Emerge,soprattutto,la sottolineatura della natura predatoria dell'Uomo se posto in un contesto in cui nessuna legge o limite può frenarlo,come indica l'immagine finale,del Cacciatore che solca verso altre sadiche "imprese" un tramonto in fiamme ma indifferente a ciò che capita sulla Terra.

sabato 17 aprile 2010

AMERICAN PIE-Il matrimonio (American wedding,USA 2003)
DI JESSE DYLAN
Con JASON BIGGS,SEANN WILLIAM SCOTT, Alyson Hannigan, January Jones.
COMMEDIA
Se il primo episodio aveva tutto sommato mantenuto più di quel che prometteva, e il secondo registrava un certo calo di tensione comica, sul terzo "American Pie" la serie recupera: i ragazzi,divenuti grandi, si preparano ad una vita adulta che va integrata a quella delle loro famiglie,e quel che la società forse si aspetta da loro. Fatta questa premessa, va detto che il film diverte,non sempre le gags vanno a segno perfettamente, ma la carica dirompente della sceneggiatura suscita spesso risate, vedi la scena dei pantaloni di pelle "nascosti" ai benpensanti nuovi arrivati a sorpresa. Biggs e soci interpretano oramai con abile perizia i ruoli, con la non sottovalutabile finezza di aver mutato i personaggi in un'evoluzione naturale dalla prima pellicola. E nonostante gli strascichi per l'home video, è giusto aver limitato la serie in una trilogia che occupa l'espansione di queste giovani vite virate in commedia sboccata, che tuttavia non è priva di una sua accattivante mistura tra ridicolo e sincero, spensierata e onesta con se stessa,nella sua volgarità schietta e diretta,ma curiosamente meno offensiva di altre.

L'INVASIONE DEGLI ULTRACORPI (Invasion of the body snatchers, USA 1956)
DI DON SIEGEL
Con KEVIN MCCARTHY,Dana Wynter, Sam Peckinpah.
FANTASCIENZA

Prototipo di remakes ufficiali e non, "L'invasione degli ultracorpi" sollevò discussioni per anni, frutto di visioni opposte del significato della pellicola:per anni la maggioranza indicava il film come un'ottima pellicola viziata dal maccartismo e dal "pericolo rosso", considerando i baccelli alieni come il comunismo che rende tutti uguali e invade la società americana, mentre più recentemente, dato che Siegel non era un cineasta di destra, si è parlato al contrario del rischio di un pensiero omologato che annulla ogni apertura e rafforza l'ottusa concezione dell' "american way of life" stagnante in molto cinema degli anni Cinquanta. Sia quel che sia, colpisce a tutt'oggi la maestria dell'autore di "Fuga da Alcatraz" nel gestire un ritmo notevole, la capacità di spedire lo spettatore dentro la storia in breve tempo, e la tensione crescente che il protagonista Kevin McCarthy( forse il cognome ha sostenuto le prime tesi di cui si parlava prima...) sente dentro sè e "passa" al pubblico. Il cambio di finale, dal drammatico avvertimento agli spettatori al troppo repentino accertamento della fondatezza del racconto dello spiritato protagonista,in effetti, spreca un pò dell'eccellente lavoro fatto fino a quel momento. Però che stile, che vigore, in questa pellicola di fantascienza così moderna e lungimirante.

venerdì 16 aprile 2010

DAYBREAKERS-L'ULTIMO VAMPIRO ( Daybreakers,AUS/USA 2010)
DI MICHAEL e PIETER SPIERIG
Con ETHAN HAWKE, Isabel Lucas, Sam Neill, Willem Dafoe.
HORROR/AZIONE

Senza dar spazio a un prologo che possa far da resoconto su come i vampiri abbiano preso padronanza del sistema mondiale, ci troviamo,in "Daybreakers",di fronte ad una crisi ematica globale, e il protagonista è uno specialista dei succhiasangue che si sta dannando per creare un surrogato che possa compensare la straordinaria richiesta di plasma per sfamare le moltitudini di propri simili:la multinazionale capeggiata dal mefitico Sam Neill cerca di fronteggiare la situazione,ma i rischi di disordini crescono,e se i vampiri non trovano pace alla loro sete,regrediscono ad uno stadio più selvaggio e ripugnante.Sempre che non vengano trafitti dalle balestre di alcuni ex-vampiri... Diretto dal duo Peter e Michael Spierig, di provenienza australiana, al secondo lavoro, hanno realizzato un film più d'azione che d'orrore, con diverse scene che emanano dejà-vu,vuoi anche per un eccessivo sfruttamento,negli ultimi anni, del filone vampiresco, vuoi perchè i colpi di scena presentati sono abbastanza preannunciati. Però,nell'insieme, "Daybreakers" è un B-movie onesto e consapevole di essere tale,che, a differenza del più ambizioso (e vuoto) "Legion", dice qua e là cose più interessanti sul mondo di oggi, che ad uno spettatore che lo guarderà tra vent'anni darà un'idea di questa società,come i film di genere che meritano comunque una visione fanno.Cruento solo nella catartica escalation-soluzione finale, presenta personaggi troppo stereotipati,come il fratello infame che però si riscatterà seppure a prezzo carissimo, il duro scafato che risulterà importante nel finale,il traditore,il cattivissimo che finirà vittima delle sue macchinazioni proprio quando penserà di avere stravinto:gli interpreti vanno di mestiere,ma il film ha ritmo, ed è presentabile.
GREEN ZONE (Green Zone, USA/GB 2010)
DI PAUL GREENGRASS
Con MATT DAMON,Greg Kinnear, Brendan Gleeson, Jason Isaacs.
AZIONE/THRILLER/GUERRA
La "Green Zone" è stata una parte limitata di Baghdad durante l'occupazione dell'esercito USA nel 2003, in cui i militari e l'indotto relativo stavano come in un villaggio vacanze, circondati da un inferno in terra, in cui nessuno spazio era sicuro, e sia i commilitoni che gli occupati iraqeni morivano come mosche, tra attentati ed azioni di guerriglia. Da un romanzo del giornalista del "Washington Post" Rajiv Chandrasekaran, Paul Greengraas,che già tenne il pubblico sulle spine in "United 93",in merito agli eventi dell'11 settembre, mette in scena un thriller politico-bellico d'azione realizzato con gran perizia, ritmo incalzante e straordinaria lucidità espositiva. Il militare Roy Miller (un Matt Damon intenso,perennemente in uniforme da combattimento) gira nelle strade della capitale iraqena a caccia delle famigerate armi di distruzione di massa, scoprendo sempre di più cose che gli mettono dubbi sulla veridicità dei siti di costruzione delle letali trappole chimiche indicate dai servizi segreti:ma le trame sotterranee sono troppe e troppo intricate perchè se ne possa avere ragione.La guerra in Iraq, ufficialmente scatenata in reazione all'attacco che nel 2001 cambiò molto nella scacchiera politica internazionale, più concretamente per mettere le zampe sopra i giacimenti petroliferi prima,e in prospettiva su quelli idrici sotto l'ex Mesopotamia, in futuro vera riserva aurea,è stata una delle pagine più vergognose, e grossolane,della storia moderna: "Green Zone" sceglie intelligentemente di non saper interpretare o per forza dare risposte ad una situazione troppo complessa come quella mediorientale. Un vaso di Pandora aperto con esiti inimmaginabili e ritenuti "sistemabili" con una faciloneria politica che ha caratterizzato la meschina visuale corta di Bush II,corredato da individui di rara spietatezza come Rumsfeld, ad esempio, prototipo di soggetti in cravatta che programmano stragi come se organizzassero vacanze al mare come qui rappresentati da un Greg Kinnear infido. E, finezza,c'è un analista della Cia interpretato da Brendan Gleeson che parla con onestà,tanto per evitare accuse di manicheismo. E'un grande film "Green Zone",che prende per il bavero lo spettatore,come per due volte si vede sullo schermo in scene cruciali succedere con Damon in scena, e lo scrolla dal cinico torpore con cui mass media in mala fede ne hanno anestetizzato la coscienza. Forse talmente sincero che il pubblico USA,ancora impreparato a guardare alla sua storia recentissima con obbiettività, lo ha bocciato:ma sarà una pellicola che resterà.

martedì 13 aprile 2010

LA CITTA' VERRA' DISTRUTTA ALL'ALBA (The crazies,USA 1973)
DI GEORGE A.ROMERO
Con LANE CARROLL, Harold Wayne Jones, Lloyd Hollar,Lynn Lowry.
FANTASCIENZA
E'uno dei titoli meno conosciuti della filmografia di George Romero, anche se ne è imminente un remake già uscito con buon successo in patria:"The crazies" racconta di una comunità colpita da una sostanza chimica che altera i comportamenti portando gli esseri umani verso una follia omicida e distruttiva, che viene circondata, rinchiusa e programmaticamente sterminata dai militari governativi,incaricati di contenere e sopprimere il guaio. Realizzato probabilmente con un budget a corto di liquidi, il film ha un incipit potentissimo,con due bambini che assistono all'esplosione della pazzia del padre, e un resto che oggi, ma non è proprio colpa della pellicola, abbiamo visto tante volte, vedi "Rec", "28 giorni dopo" e pure i film degli zombies di Romero stesso. Il contrasto tra i soldati in tuta anticontaminazione bianca ai quali, è evidente,non pare il vero di abbattere a colpi di mitra altri esseri umani, e i contaminati che praticamente hanno la gestualità dei figli dei fiori, è anche troppo netto:"La città verrà distrutta all'alba",di cui esiste,pare una versione con finale corredato da esplosione atomica (i soliti,pratici modi eleganti dei militi....) è un lavoro troppo sospeso tra l'horror,la fantascienza e il film di guerra per convincere appieno, e soprattutto soffre quell'avvio così forte e mirabile, disperdendosi in troppe chiacchiere tra i militari (a proposito, quello più cretino rammenta nelle fattezze George W. Bush, avrà avuto la palla di cristallo Romero?) e raccontando poco dell'epidemia,che alla fine, c'è più nelle supposizioni pessimistiche che nei fatti. Come l'aviaria,la mucca pazza, la febbre suina, ci avete fatto caso?

IL PROFETA (Un prophète,F 2009)
DI JACQUES AUDIARD
Con TAHAR RAHIM, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Hichem Jacoubi.
DRAMMATICO
Un giovane uomo di etnia araba finisce in carcere e deve scontare sei anni:visto che deve gestire un lasso di tempo che potrebbe rivelarsi un infinito inferno, sceglie di diventare il tirapiedi della fazione più forte tra i detenuti,capeggiata da un anziano leader della mala corsa, e pur dividendosi tra l'appartenenza alla propria gente e gli alleati, fa carriera divenendo a sua volta un capo. "Il profeta" (ma mettere davanti "un" secondo me dà un altro significato,più ficcante e incisivo,alla pellicola,come nell'originale) è un dramma carcerario letto come l'analisi comportamentale di un organismo a sè stante,che sa adattarsi e rigenerarsi, quindi sopravvive ed anzi vince evolvendosi la sfida delle leggi naturali della Vita. Acclamato da molti spettatori e recensori come un capolavoro di questi anni, il film è un resoconto molto interessante di un mondo solitamente nascosto agli occhi comuni ma proliferante, che tiene conto appunto della crudezza delle regole che vigono in natura, forse per sottolineare che nonostante le teorie darwiniane l'Uomo rimane un animale capace di saper usare miratamente la violenza e la forza,ma non approda ad essere una specie nuova,che sappia dissociarsi dalla brutalità. Recitato con grinta, conta il solo (ottimo) Niels Arestrup di volti noti nei panni del vecchio boss corso, destinato a sbattere il grugno contro l'esautorazione e a rimanere solo, un anziano che probabilmente conoscerà una fine amara o violenta. Sceglie di non offrire risposte definitive il film di Audiard, concludendosi con il protagonista che esce dal carcere, guardandosi le spalle, ma verso un futuro che dal nulla ha costruito,benchè malavitoso, e forse,ma non è sicuro,prenderà il posto dell'amico prossimo alla fine:un film riuscito,anche bello,ma non mi è parso un capo d'opera.

lunedì 12 aprile 2010


TOM JONES ( Tom Jones,GB 1963)
DI TONY RICHARDSON
Con ALBERT FINNEY, Susannah York,Hugh Griffith,Diane Cilento.
COMMEDIA
Dal corposo romanzo di Henry Fielding, la versione per il grande schermo diretta da Tony Richardson si guadagnò ben quattro premi Oscar tra i quali la statuetta il miglior film dell'anno:in Italia ebbe una distribuzione non impeccabile,che ne fiaccò probabilmente le possibilità di successo popolare, e a tutt'oggi non è tra i classici degli anni Sessanta più menzionati.Vale la pena però di vederlo,anche e soprattutto per il taglio da "free cinema" ad una produzione desunta comunque da un classico della lettaratura, con inquadrature modernissime, un ritmo accelerato in alcune sequenze, un frullare di erotiche tentazioni e un'ironia solida per tutta la durata del racconto. La scena della seduzione gastronomica, fatta di sguardi eloquenti e mugolii gaudenti è giustamente considerata una chicca dell'Eros al cinema:e il bello è che pur non disdegnando grazie femminili differenti,infine si compie,come nelle favole più eterne, il compimento dell'amore tra il protagonista e la vivace signorina che si era prefisso di impalmare. Se si vuole quasi un controcanto brillante della cupezza lucida e filosofica di "Barry Lyndon", comunque una buona commedia in costume con un bravissimo Albert Finney, scanzonato avventuriero che vive le cose col cuore in barba agli avidi e ai maldicenti.

venerdì 9 aprile 2010

L'UOMO CHE FISSA LE CAPRE (The men who stare at goats, USA 2009)
DI GRANT HESLOV
Con EWAN MCGREGOR,GEORGE CLOONEY, Jeff Bridges, Kevin Spacey.
GROTTESCO
Che gli otto anni degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Bush II siano stati attraversati da un'ondata di follia anche collettiva è un dato ormai conclamato, e che "L'uomo che fissa le capre" sia, pare, basato su fatti che hanno del vero non stupisce nemmeno troppo:esperimenti militari fondati su teorie oltre la fisica , telecinesi e onde cerebrali studiate come nuove potentissime armi potrebbero fare il paio con i credi hitleriani nelle forze occulte, in delirii di potere oltre l'immaginabile. Il film di debutto da regista dell'attore Grant Heslov ha conosciuto buoni apprezzamenti critici, con un cast veramente notevole alle mani. Solo che con il potenziale,sia tecnico che circa lo spunto, teoricamente esilarante, si rimane un pò delusi dalla satira messa in gioco, abbastanza blanda, mai del tutto graffiante. E il film procede un pò faticosamente verso il finale liberatorio senza mai emozionare davvero:se Clooney sta al gioco,ma non esprime del tutto l'ironia che gli è propria, Jeff Bridges ripropone il suo Dude/Drugo Lebowski in versione antimilitarista con puro mestiere, meglio allora il fanatico imbecille di Spacey che conclude l'avventura in un tripudio lisergico,mentre McGregor ha un ruolo quasi da osservatore. Peccato,poteva essere una gran commedia di derisione di una fase nera della Storia Mondiale.

ALICE IN WONDERLAND ( Alice in Wonderland, USA 2010)
DI TIM BURTON
Con MIA WASILEWSKA, Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Anne Hataway.
FANTASTICO

Si è scritto diverse volte che il capolavoro (doppio) di Lewis Carroll è stato portato più volte sullo schermo, e che questa, di un successo strabordante, anche per il supporto 3D che si è dimostrata un'arma assai affilata nelle mani degli esercenti e delle produzioni, è un'ennesima versione:sinceramente, quante ne ricordiamo, a parte quella della Disney Productions? Qualche adattamento per la tv, o comunque prodotti magari volenterosi ma non sufficienti a propagare la dimensione fantastica del viaggio di Alice. Qui c'è un regista solitamente attesissimo e di grosse capacità visionarie,nonchè portatore di uno stile personalissimo e difficile da imitare,che riscrive ampiamente un testo conosciuto, quasi facendo un ulteriore seguito delle avventure della ragazza che , come suggerisce la pellicola, già era stata nel Paese delle Meraviglie, come chi lo abita ricorda ma non lei, e con ostinazione femminea dà una svolta lì e nel "suo" mondo. E' vero che è rintracciabile una programmaticità qua e là nell'ultimo lavoro del regista di "Ed Wood",ma quella freddezza che a tratti affiora nel suo cinema è parte del suo metodo di fare film,e probabilmente compensa l'alto tasso di fantasia postovi:e che un limite del film è l'aver trovato un tramite limitatamente espressivo nella protagonista,la polacca Mia Basilewska,che non sempre esprime lo stupore comprensibile di fronte ad un mondo di visioni mirabolanti, e la danza del Cappellaio in stile Michael Jackson forse sarebbe stato meglio evitarla. Però qui c'è un punto di incontro tra un'immaginazione cartoonesca e un cinema fatto da interpreti fortissimo, e ciò che si vede sullo schermo dà spesso la sensazione di poter trovare posto in un libro di illustrazioni per bambini, potentissimo sviluppatore di fantasia e sogno:se il Cappellaio Matto di Depp è il controcanto buono del Joker di Nicholson, il mostro ucciso sulle rovine è la versione "a film normale" del drago colpito a morte nel finale del disneyano "La bella addormentata nel bosco", e via enumerando. Sotto ad un cielo decolorizzato come spesso capita di ricordare quello che c'è nei sogni, si assiste ad un'opera ricca,possente a livello visuale, intenta a grattare via lo scetticismo dall'occhio dell'adulto e ad aizzare la cavalcata verso il fantastico puro di quello dello spettatore più giovane,anche se in alcuni momenti viene da pensare che non sia un film proprio adatto e diretto ai bambini. Ma noi adulti che vogliamo saperne,in fondo?

lunedì 5 aprile 2010

JENNIFER'S BODY ( Jennifer's body, USA 2009)
DI KARYN KUSAMA
Con MEGAN FOX,AMANDA SEYFRIED, Adam Brody,Jonny Simmons.
HORROR

Il teen-horror, sottogenere in voga in questa decade, è un genere che trova il suo apice commerciale nell'edulcoratissima serie di "Twilight", e ha prodotto diversi titoli di maggior successo in dvd o in televisione che nelle sale. "Jennifer's body",scritto dalla sceneggiatrice premio Oscar per "Juno" Diablo Cody e diretto dalla regista Karyn Kusama,ex indipendente che aveva suscitato degli entusiasmi anni fa con "Girlfight", giunto sugli schermi con un discreto battage pubblicitario per l'attenzione circa la splendida protagonista Megan Fox,una bellezza felina di evidente impatto, è un pasticcio mica da poco. Se l'intenzione era di fare un horror con carica parodistica, che smontasse gli archetipi del genere, il tocco snob della Cody e della Kusama rende algido il tutto:dialoghi forse ironici,ma in realtà sconcertanti, truculenza marcata e sangue a profusione a lordare le forme e le fattezze,quelle sì impressionanti, della Fox, e una recitazione collettiva da recita del doposcuola non fanno del film un cult. Scombinato nei processi narrativi,che per essere appunto un horror sono anche troppo tirati via, e per una commedia non presentano sufficiente humour, vive di un sensazionalismo bambinesco e greve, tra momenti in cui gli spettatori si guardano in volto stralunati nell'oscurità interrogando con gli occhi il vicino su quello che hanno appena visto e sentito, e battute demenziali buttate alla rinfusa ma senza far percepire davvero l'ironia. Valga per tutte quella in cui la demone Jennifer,passata da parte a parte da un'asta,dice "Avrei bisogno di un Tampax.", lasciando il pubblico nell'incertezza se mollare la visione o terminarla per inerzia.




Forse è vero che "Mine vaganti" funziona più sul registro brillante che su quello malinconico,come nella sequenza del ricordo del matrimonio della nonna,vagamente oleografico,anche se tuttavia elegante:di sicuro questo film di Ozpetek sta incontrando maggior consenso del suo ultimo, quel "Un giorno perfetto" che aveva deluso sia i recensori che il pubblico,completamente virato al tragico e senza luce alcuna. Ed il regista turco,quasi in segno di provocazione,riempie questa pellicola delle "tavolate" spesso beccate dalla critica come segno anche troppo marcato del suo modo di fare cinema. La coralità che i fans dell'autore de "Le fate ignoranti" ben conoscono è qui ben giocata, e se vi sono numerose autocitazioni, ci sono pure un pizzico di riferimento all'Almodovar più brioso nel ritmo del racconto, e un riallacciarsi alla commedia salace alla Germi sia per l'atmosfera,che per quella sequenza in un caffè affollatissimo e centrale, con tanti potenziali pettegoli, la quale sembra presa di peso da "Sedotta e abbandonata". Supportato da un cast intonato, con special menzione per un Ennio Fantastichini che qui è all'altezza di un De Niro d'annata, basti vedere la scena appunto nel caffè in cui ride con la bocca e piange con gli occhi, Ozpetek racconta una giostra di sentimenti duri ad affiorare, di identità sessuali nascoste o in bilico su un attimo di grande incertezza,come quella che forse prova il protagonista Scamarcio ad un certo punto della storia, di mentalità legate al passato e passioni sempre vive anche se relegate negli angoli del cuore. Un film brioso,contrassegnato dalla vivace canzone di Nina Zilli "50 mila", che è tra i migliori di un autore che si è scrollato di dosso la paura di piacere e propone il cinema che sa fare, senza autocompiacersi eccessivamente.