lunedì 31 ottobre 2011

INSIDIOUS (Insidious,USA 2011)
DI JAMES WAN
con PATRICK WILSON,ROSE BYRNE,Lyn Shaye,Barbara Hershey.
HORROR

Con il film più celebre del regista James Wan,"Saw",questo suo nuovo "Insidious" ha in comune che dà il suo meglio nei minuti finali,per quanto non siano proprio imprevedibilissimi.Praticamente girato tutto in interni,descrive l'inquietante esperienza di una famigliola-tipo,con uno dei due figlioletti che cade in un misterioso coma sul quale i medici non hanno risposte,e apparizioni continue e sempre più spaventose nell'abitazione in cui da poco la famiglia si è trasferita:ma cambiare di nuovo alloggio non porterà a niente,perchè l'infestazione degli spettri non riguarda il luogo,ma una persona in particolare... Per buona parte della sua durata,"Insidious" non presenta novità nel genere,molte sequenze emanano un denso dejà-vu,e anche diversi colpi di scena sono abbastanza telefonati,in più circa le ragioni dell'invadenza delle presenze ultraterrene il soggetto è fin troppo elusivo e vago.Wan non ha grandi doti registiche,ormai è chiaro,ed il suo horror rientra nel filone delle possessioni senza destare grandi sorprese o lasciare tracce molto rilevanti.Naturalmente quando la minaccia sembra essere debellata,nella tradizione cinematografica del film dell'orrore DOC,a partire dagli anni Settanta in poi,l'ultima scena dice al pubblico che in realtà ci sono ancora molti motivi per spaventarsi:recitato in modo abbastanza piatto,ha solo Barbara Hershey nel breve ruolo della madre del protagonista come nome conosciuto,però lo spettro vestito di nero è un'immagine inquietante che infastidisce quanto serve.

lunedì 24 ottobre 2011

THIS MUST BE THE PLACE ( This must be the place,I/F/IRE 2011)
DI PAOLO SORRENTINO
Con SEAN PENN, Frances McDormand,Eve Hewnson,Judd Hirsch.
DRAMMATICO/COMMEDIA
Un trolley od un carrello per spesa trainato,i capelli sparatissimi ed il trucco pesante in faccia,Cheyenne è un rimasuglio benestante,di un'epoca lontana,ritiratosi dal palcoscenico e dalla vita reale,in un limbo dublinese in cui ogni anno è uguale ad un altro.Per il suo film internazionale,Paolo Sorrentino ha scelto come soggetto l'esilio volontario di una popstar,con sensi di colpa annessi (che forse ne hanno condizionato le scelte) ,ripiegato su se stesso in una ripetività senza alternative,al quale però la vita bussa di nuovo alla porta,riportandolo in America,dove il padre è passato a miglior vita.Ed un antico segreto riporta il protagonista a riaffacciarsi alle cose,perseguendo una vendetta fuori tempo massimo che risolverà a modo suo. "This must be the place" è l'evento del cinema italiano di questa stagione,la stampa sforna copertine con Sean Penn truccato in modo da richiamare Robert Smith dei Cure ed articoli entusiastici,con recensioni molto positive che sottolineano la forza del cinema sorrentiniano,che può valicare gli apparentemente impossibili confini della distribuzione nostrana,con raffronti con il cinema di Visconti e Bertolucci,al servizio dei quali star come DeNiro,Lancaster e Brando non si esimevano di mettersi. E spiace non sentirsi del tutto coinvolti in questa ondata di entusiasmo,ma il nuovo film di Sorrentino non mi ha esaltato,o perlomeno non mi è parso la grande opera che tutti incensano:ogni titolo è diverso dagli altri,vero,e Penn è bravissimo nella sua performance stranita,attonita,da outcast sepolto in se stesso. Però "This must be the place",con i suoi scenari d'America estesi e magniloquenti,i suoi frequenti preziosismi con la macchina da presa,il ripescaggio di due grandi caratteristi come Judd Hirsch e Harry Dean Stanton,assomiglia più ad un riuscito esercizio di regia che ad un film bello davvero. Sono migliori i momenti vari sparsi per il film,gli episodi e gli squarci degli incontri con chi continua a vivere da parte di Cheyenne che si è tirato indietro da tutto,che l'intero lungometraggio,spesso dispersivo ed un pò smarrito in un disegno che fatica a delinearsi del tutto. Certo,è cinema di serie A,ma non un film che colpisce come aveva fatto "Il divo",o "L'uomo in più",opere di impatto come questa,ma più a dimensione umana o rappresentative del grottesco senza perdere di vista il tratteggio dei personaggi.

giovedì 20 ottobre 2011

DRIVE ( Drive,USA 2011)
DI NICOLAS WINDING REFN
Con RYAN GOSLING,Carey Mulligan,Albert Brooks,Ron Perlman.
THRILLER/AZIONE
Vincitore del Gran Premio per la regia all'ultimo festival di Cannes,"Drive" è la terza regia arrivata da noi del danese Nicolas Winding Refn,contraddistintosi da subito per l'alto tasso di violenza presente nei film che dirige:noir ambientato a Los Angeles,ma più che altro a Hollywood,un posto in cui un uomo che si aggira sporco di sangue non attira l'attenzione di nessuno,è la storia di un giovane dotato di un talento alla guida come pochi che di giorno fa lo stuntman per il cinema,e di notte è l'autista numero 1 per le rapine,freddo e dotato di intuizioni geniali. Forte di una colonna sonora da urlo,il film dispiega il racconto con ritmo particolare,quasi lento,per la prima mezz'ora,ed innesca in seguito un crescendo di tensione ammirevole,con esplosioni di violenza,come si diceva,in alcuni momenti insostenibile,per stomaci molto forti. Non è forse un film da raccomandare a tutti candidamente,ma un cinefilo non se lo perda:potenza di immagini,grandissima proprietà nello scegliere le inquadrature da parte della regìa,caratteri-archetipi con la lezione sempiterna che il mondo del crimine non perdona chi viene meno alle sue regole.Ryan Gosling fornisce un'interpretazione superba,valga la scena dell'ascensore in cui passa dall'istinto di protezione verso l'innocente vicina di casa che egli ama,al bacio appassionato,per approdare all'uccisione del sicario che avrebbe dovuto eliminare loro,a furia di calci in faccia,forse la sequenza-shock della pellicola,che necessitava un gran lavoro di regista e attori per poter essere accettata:attorno a lui,un ottimo cast che dà il giusto lustro a personaggi-archetipi,con particolare citazione per la migliore interpretazione di Albert Brooks,che si rivela il cattivo più feroce,coerente con la logica del suo mondo malavitoso(quando ripone con precisione il rasoio appena usato per un omicidio strappa l'applauso).Come realizzare un film di alto livello con respiro profondo,immagini suggestive,uno splendido rapporto tra suono e immagini come a non molti registi è riuscito (citiamo Leone,naturalmente,ma davvero è riuscito a pochi,anche al primo Argento), in cui curiosamente la manovalanza della delinquenza fa fini atroci in primo piano,e i cattivi maggiori muiono sullo sfondo,o inquadrando solo le ombre,quasi a suggerire l'inesorabilità dello scontro di classe anche nel mondo della mala."Drive" nasce cult-movie,novantacinque minuti di Cinema maiuscolo,potente,che ti resta addosso e dentro,ti fa rielaborare mentalmente le scene e si conclude senza forzature inutili,con un'aura da sogno racchiuso in un'estetica che fa riferimento ai primi Ottanta,ma senza restarne prigioniera.Da non perdere.
COWBOYS & ALIENS ( Cowboys & aliens,USA 2011)
DI JON FAVREAU
Con DANIEL CRAIG,HARRISON FORD,Olivia Wylde,Sam Rockwell.
FANTASTICO/WESTERN
L'idea di unire gli attori di 007 e Indiana Jones l'ha avuta per primo Spielberg,oltre vent'anni fa,quando nel terzo capitolo delle avventure dell'indomito archeologo d'azione fece incontrare Ford e Connery,mentre in "Cowboys & Aliens" dividono il nome in grande sul manifesto il novello James Bond,Daniel Craig,e lo stagionato Harrison.Da una graphic novel,un kolossal hollywoodiano in cui si miscelano fantascienza e western,con un inizio che rimanda alla versione italiana del film di cowboys,tra Leone e Trinità,ed il seguito che ripassa tutti i clichès del cinema con speroni,pistole,cavalli e polvere:lo straniero in città inviso alla comunità che si rivelerà una risorsa,il ricco possidente che lo osteggia,il mezzosangue buono,e via enumerando.Naturalmente ci sono anche le astronavi,i mostri alieni e i raggi laser:Favreau,dopo i due "Iron man",sembrava avere tutti i numeri per poter giostrare i due non simili generi,e giocare appunto d'ironia sui canoni riconosciuti delle due categorie,ma è appunto l'umorismo che latita,in un giocattolone costoso,e si vede. Le due star non sembrano legare granchè,come invece l'alchimia tra Sean Connery ed Harrison Ford aveva avuto un ruolo importante eccome nell'Indiana Jones sopra citato,Craig è impenetrabile e aggressivo,ma senza humour,Ford invecchiando sta diventando legnoso e monocorde:bellissima la Wilde,ma il suo ruolo è appiccicato e come deus-ex-machina anche troppo manifesto.Una domanda,a proposito di luoghi comuni hollywoodiani:ma perchè la rappresentazione di creature aliene che elaborano complesse tecnologie,portentose astronavi e codici oltre le nostre possibilità, è limitata a mostri artigliati (come montare difficilissime cose con quelle zampe,è abbastanza inimmaginabile...) dai musi di granchio o rana che si esprimono a ruggiti e versi bestiali simili? Questi sembrano gemelli degli anfibi del nostrano "L'isola degli uomini pesce".....

mercoledì 19 ottobre 2011

BRIVIDO NELLA NOTTE ( Play Misty for me,USA 1971)
DI CLINT EASTWOOD
Con CLINT EASTWOOD,JESSICA WALTER,Donna Mills,John Larch.
THRILLER

Sull'onda dei personali successi raccolti tra Italia e USA,Clint Eastwood passò anche dall'altra parte della macchina da presa nel 1971,con un thriller che venne rievocato dalla stampa quasi vent'anni dopo dopo il grande risultato di "Attrazione fatale".Perchè anche in questa pellicola una donna che ha avuto un "one night stand",più elegante certo di "una botta e via" con un uomo,non accetta di essere stata considerata solo l'avventura di una nottata,e si vendica fino alla psicopatia,mettendo in pericolo la vita dell'amante e di chi gli è vicino. Certo,riguardandolo oggi,soprattutto dopo le opere che l'antico portatore della pistola di Callaghan in alcuni momenti questo esordio ha delle piccole ingenuità,qualche tempo non gestito propriamente in modo perfetto,ma che attenzione alla descrizione delle personalità,ed interessante l'ambientazione quasi del tutto in notturna, che aggiunge pathos al racconto,e l'attenzione all'escalation da nevrotica a folle omicida della coprotagonista Jessica Walters,un ritratto psicologico raffinato e assolutamente non dozzinale,come invece in molti thriller dell'epoca poteva esser riscontrato. Eastwood, che ha cominciato da qui a costruire una carriera registica intensa e in crescendo,sceglie una via non semplice,giocando se stesso come interprete di un personaggio non libero da ambiguità,e che nel finale ha la meglio sulla scheggia impazzita che vuole uccidere lui e l'amata,in un confronto con risoluzione brusca e ruvida.Al tempo dell'uscita,un quasi sorpreso Kezich ne parlò bene,e dire che non amava particolarmente Clint come star del botteghino e beniamino delle platee....

venerdì 14 ottobre 2011

UCCIDETE LA COLOMBA BIANCA ( The package,USA 1989)
DI ANDREW DAVIS
Con
GENE HACKMAN,Joanna Cassidy,Tommy Lee Jones,John Heard.
AZIONE
1989:ad un passo dagli eventi che tutti oggi conosciamo (ma ancora,in fase di scrittura e realizzazione della pellicola,erano cose tutte da succedere,non lo dimentichiamo) sulla caduta del Muro di Berlino e conseguente fine della Guerra Fredda,c'è un complotto ben organizzato da militari che non vogliono la stipulazione di accordi di pace tra le due superpotenze USA e URSS,ed il summit che dovrebbe vedere una firma storica,nelle intenzioni dei congiurati,dovrebbe bagnarsi di sangue. Per fortuna c'è il sergentaccio Gene Hackman,di stanza in Germania,che per puro accidente viene coinvolto nel meccanismo e,pur figura lateralissima,non accetta la follia di alti papaveri dell'esercito che su una linea pericolosissima puntano a scatenare ancor più accanita inimicizia tra le nazioni ed i blocchi.E' vero che Andy Davis,fino al "Fuggitivo" sembrava fosse un nome di cui tener conto nell'ambito del cinema d'azione duro e puro (glissiamo su "Trappola in alto mare",ovviamente):questo thriller è ben ritmato,esente da esagerazioni presenti in altre produzioni similari,e regge bene la tensione che crea fino in fondo,chiudendosi in modo intelligente,riconoscendo certe dinamiche in modo verosimile (l'eroe non riesce ad eliminare personalmente tutti i nemici,alcuni cadranno vittime della loro stessa macchinazione).Apprezzato molto dalla critica alla sua uscita,è chiaramente una produzione di puro intrattenimento,non ambisce alla fantapolitica DOC come quella di Frankenheimer,ma rimane un lungometraggio godibile,in cui i due nemici Hackman e Jones,con maggior spazio per il primo,si contendono l'attenzione dello spettatore in un buon confronto attoriale.

mercoledì 12 ottobre 2011

PER UNA MANCIATA DI SOLDI...( Pocket money,USA 1972)
DI STUART ROSENBERG
Con PAUL NEWMAN,LEE MARVIN, Strother Martin,Hector Helizondo.
WESTERN
Un pò come in "L'ultimo buscadero" di Peckinpah,è di scena il West in fase terminale,la versione adeguata al Ventesimo secolo,corredata di automobili e modernità varie al posto delle diligenze e dai saloon:due gaglioffi con appiccicata addosso l'anima da chi è sempre in bilico sul precipizio compiono un lavoro per avere un'amara rivelazione in fondo.Accoppiata particolare ma interessante quella di Newman-Marvin,con il secondo nelle vesti del personaggio da commedia,di cui mostra qui avere tempi e atteggiamenti,inusitatamente,diretti da un regista di buon valore ma mai giunto ad essere stimatissimo come Stuart Rosenberg,"Per una manciata di soldi..." è un film che procede con pedalata lenta,ricco di notazioni e che concede molto al gioco degli interpreti. Due personaggi,come il Buffalo Bill ed il Culodigomma di degregoriana memoria,alle prese con pomeriggi tristi,ad osservare l'America,losers ma con cognizione di se stessi,e comunque propensi a ributtarsi nella mischia,perchè convinti che prima o poi la loro grande occasione potrebbe arrivare:ed è esemplare l'immagine finale,quasi una fotografia da collezione,con i due antieroi uno sulla panchina e l'altro di spalle,ad osservare una rotaia infinita,un rimando ad un giorno migliore che riscuote simpatia,e lascia apprezzare la pellicola proprio perchè atipica,e tutta dalla parte di chi non ha vinto mai.

martedì 11 ottobre 2011

A DANGEROUS METHOD ( A dangerous method,CAN/F/GB/IRE/D,2011)
DI DAVID CRONENBERG
Con MICHAEL FASSBENDER,KEIRA KNIGHTLEY,VIGGO MORTENSEN, Vincent Cassel.
DRAMMATICO

La storia di Sabina Spielrhein era già stata portata sul grande schermo una decina d'anni fa circa da Roberto Faenza con "Prendimi l'anima",non una delle migliori cose dell'autore di "Sostiene Pereira",pur considerando un fatto vero riportato evidenziando gli orrori della Storia quando stritola le storie delle persone fisiche e le loro vite.David Cronenberg riprende il tema applicando in più l'amicizia e poi la rottura sia nei rapporti che a livello intellettuale tra Jung e Freud,con una coproduzione internazionale curatissima nell'allestimento,che fa capo più a film nella carriera dell'autore quali "Inseparabili" che a lavori in cui l'estro visionario del regista canadese faceva sfoggio di sè impressionando ed in molti casi urtando gli spettatori. Se si vuole,da profani della psicoanalisi,nell'ultimo trentennio l'ascendente di Jung si è ridotto rispetto a quello di Freud,più ampiamente citato dalla stampa e se si vuole maggiormente riconosciuto come scopritore di molto dell'ignoto che si cela nella mente umana:la sceneggiatura di "A dangerous method" evidenzia i contrasti tra i due padre della medicina psichica mostrando le zone fragili del più giovane tra i due,meno inquadrabile canonicamente nei comportamenti,e più spinto ad accettare le pulsioni incontrollate del sesso,e la tendenza del più anziano a diffidare delle tesi e delle ambizioni dello svizzero.Il difetto maggiore del film,ma era prevedibile,è la sostanziale freddezza con cui Cronenberg narra la vicenda,pur avendo come catalizzatrice l'ingestibilità neurotica della Spielrhein,cui Keira Knightley applica troppa veemenza istrionica per farla risultare del tutto credibile,e meglio figurano i colleghi maschi,dal vulnerabile,pieno di pecche Jung del rampante Fassbender che si sta rivelando come uno dei nomi nuovi in assoluto di cui dovremo tener conto in futuro,e del Freud che Mortensen rende con gran classe,armato spesso di un sigaro.E' interessante,ma è un lavoro che non tocca mai le zone sensibili dello spettatore,e nè lo inquieta,nè lo commuove:curioso per un film realizzato da un cineasta da sempre abile a scuotere gli animi.

giovedì 6 ottobre 2011

IL MEDICO DEI PAZZI ( I,1954)
DI MARIO MATTOLI
Con TOTO', Aldo Giuffrè,Franca Marzi,Maria Pia Casillo.
COMMEDIA
Uno dei titoli più celebri della carriera di Totò,puntualmente rieditato nelle sale di seconda e terza visione anni fa,e altrettanto riproposto dai canali televisivi per molto tempo,tratto,come "Un turco napoletano" da una commedia di Scarpetta,in cui il comico napoletano subentra in seconda battuta nella storia.Un giovanotto napoletano a Napoli fa la bella vita,sfrutta l'aiuto economico degli zii e non studia come dovrebbe per diventare dottore,ma quando i parenti benestanti decidono di fargli visita scoppia il problema,ed egli,per non far scoprire le proprie marachelle ai suoi congiunti,si inventa che la pensione in cui vive è invece riadibita a clinica per matti.Infatti il film,diretto da un collaboratore esperto di Totò come Mario Mattoli,innesca la quarta quando ha la possibilità di lasciar campo al mattatore,nella seconda parte,nella quale il comico si trova a scambiare i pensionanti per pazzi e ossessionati,scambiando comportamenti normali per disturbati.Nella prima invece la pellicola ha qualche incertezza narrativa,non scorre fluida e non diverte come altri lungometraggi con il "principe della risata":acclamata da molta critica come una delle migliori collaborazioni tra il regista e l'attore,accusa un pò il forte impianto teatrale,divenendo solo da un certo punto in poi ineffabile meccanismo da divertimento.

sabato 1 ottobre 2011

MARCIA TRIONFALE ( I/F/D,1976)
DI MARCO BELLOCCHIO
Con MICHELE PLACIDO,FRANCO NERO,MIOU MIOU, Patrick Dewaere.
DRAMMATICO
Vietato ai minori di 18 anni e sequestrato alla sua uscita,faceva quel che negli Stati Uniti ad esempio già da molti anni era praticabile:mostrare vergogne e meschinerie nell'ambito di un'istituzione qui considerata sacra,come l'Esercito."Marcia trionfale" di Marco Bellocchio è,come molto altro cinema del regista emiliano,un'analisi impietosa ed insieme un attacco fatto con intelligenza a certi dogmi che riguardano la mentalità italiana più retriva e ultraconservatrice.La storia di tradimenti incrociati con un capitano frustrato e folle di gelosia che incarica un soldatino di pedinare la moglie inaffidabile e fedifraga,la quale ha dapprima una relazione con un tenente che la maltratta e la usa,poi si concede al ragazzo scelto dal marito,è amara e non può che finire in tragedia,come infatti accade:violenze represse e manifeste,il sesso visto come imposizione dei propri voleri o come ultima risorsa per farsi valere,la vita di caserma quasi in una dimensione manicomiale. Non è tra i titoli bellocchiani più riusciti in assoluto,forse risente di una visione non a fondo lucidissima,ma gli interpreti sono bravi,soprattutto un Franco Nero insieme odioso e degno di compassione,la spirale pessimista che si dipana fino dall'inizio è ben delineata, ed è interessante come i rapporti tra i personaggi rivelino risvolti non garantiti,vedi il primo amante della moglie dell'ufficiale quando viene lasciato,che rivela solo allora quanto tenesse alla donna.Piccinerie di maschi impotenti soprattutto psicologicamente,furori senza importanza,convenienze di varia portata come regole di vita quotidiana:c'è poco da stare allegri,ma in altri film dell'autore i temi sono esposti meglio.
SUPER 8 ( Super 8,USA 2011)
DI J.J.ABRAMS
Con JOEL COURTNEY, Elle Fanning,Kyle Chandler,Ryley Griffiths.
FANTASTICO
La preadolescenza è una fase tempestosa,meravigliosa e bislacca insieme,in cui si sa bene che non si è più bambini,ma non si hanno gli strumenti per leggere le cose come può fare un adulto od un ragazzo grande,l'esperienza gioca la differenza:è uno dei momenti più difficili da raccontare,sia in letteratura che al cinema,e i due Stefani dell'immaginario collettivo USA,e non solo di lì,emersi negli anni Settanta hanno saputo farlo come pochissimi altri.Gli Stefani sono Steven Spielberg e Stephen King:andate a controllare,ma i ragazzini inventati da loro e presentati,sono credibilissimi,e possono indurre spettatori e lettori ad immedesimarsi nei loro pensieri,nelle loro vicende,ma soprattutto a come le vivono."Super 8" è sì un omaggio grato a Spielberg,che lo produce tra l'altro,da parte di J.J.Abrams,ma anche all'autore di "Tommyknockers" e "It":l'avventura del gruppetto di ragazzi di una provincia dell'Ohio che vuole realizzare un film amatoriale sugli zombie,data la moda innescata dai film di George A.Romero,e per caso durante un incidente ferroviario riprende qualcosa di incredibile,che non si dovrebbe sapere,nasce dalle suggestioni iniettate nella mente del regista e sceneggiatore che sicuramente ha amato le opere dei due grandi classici moderni citati. Più riuscito in una prima parte che per introduzione,proposta di ambienti e personaggi e creazione dell'aspettativa nello spettatore ha qualcosa di magico ( e gli anni Settanta visti qui hanno del vero che molti altri film non sanno rendere così bene),che nella seconda in cui occorre stringere i nodi narrativi e ci sono dei passaggi un pò scontati (l'assalto militare alla cittadina,con carri armati e artiglieria varia sparata a caso fanno pensare che fosse logica la sconfitta patita in Vietnam poco prima della vicenda....),il film ha avuto da noi un successo meno sonoro che in patria.Citazioni quasi prese di peso da "E.T." e "Lo squalo",un gran senso del cinema a tutto tondo,Abrams promette di essere il vero erede spielberghiano per elezione,il suo film è personalissimo e quello che probabilmente noi,generazione cresciuta con "Guerre stellari" e "I predatori dell'arca perduta",avremmo voluto immaginare a dodici anni.Nel cast citazione obbligatoria per Elle Fanning:ha tutto per diventare una star del futuro.

giovedì 29 settembre 2011

JESUS CHRIST SUPERSTAR (Jesus Christ Superstar,USA 1973)
DI NORMAN JEWISON
Con TED NEELEY,Carl Anderson,Yvonne Elliman,Barry Dennen.
MUSICALE
Uno dei musical più celebri di sempre,che pochi anni dopo il trionfo a Broadway trovò traduzione sul grande schermo ad opera di un grande eclettico della regia,il canadese Norman Jewison:di ottimo successo anche nei cinema,la creazione di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber è rimasto un cult-movie regolarmente trasmesso ogni Pasqua da un canale tv a rotazione.Interamente cantato,suscitò varie polemiche alla sua uscita per una presunta eccessiva "umanizzazione" della figura di Cristo,fino a quel momento reso con molta enfasi in celluloide,molto prima della versione scorsesiana e ancor più di quella di Gibson.In realtà non c'è niente di blasfemo nè nella pellicola nè nelle canzoni scritte e musicate da Rice e Lloyd Webber,Giuda è presentato come il più deluso dei seguaci del Messia,ma il suo rancore è spiegato come quello di un'incomprensione acuta di fondo,e la messa in scena ricalca quella della scena teatrale,con pochissimi accorgimenti scenografici,uno scarso ricorso alle coreografie,e la voluta scelta di interpreti non noti cinematograficamente. Ad essere del tutto sinceri,il film mostra una certa databilità,sia nell'allestimento,che nelle musiche,che pur di firma nobile,e comunque forti di canzoni che hanno sfidato il tempo,non sono trascinanti come al tempo probabilmente pareva.La simpatia con cui si può guardare a "Jesus Christ Superstar",è quella di uno smorzare dell'enfasi a tratti rischiosa con cui si veniva a parlare di tali argomenti al cinema,e Jewison è abile nell'evitare trappole e rimanere sobrio fino in fondo.Ma è un lungometraggio in troppi momenti quasi freddo,nonostante la portata delle questioni presentate:valido,ma non entusiasmante.
SAXOFONE ( I,1978)
DI RENATO POZZETTO
Con RENATO POZZETTO,MARIANGELA MELATO, Teo Teocoli,Cochi Ponzoni.
COMMEDIA
Debutto nella regia per Renato Pozzetto,quando il successo personale era in piena ascesa,con un film cosceneggiato con Enzo Jannacci ed il povero Beppe Viola,una commedia tutta spinta su un tono surreale,che probabilmente nelle intenzioni è debitrice di "Miracolo a Milano",e guardandolo,non sono lontane influenze dall'allora recente "Yuppi du" di e con Adriano Celentano. Ma se il pur contestato lavoro celentanesco,rivalutato poi molti anni dopo,conteneva un assunto sgangheratamente coerente,anche se può parere un controsenso,a Pozzetto dopo neanche mezz'ora il progetto scappa di mano.Benchè circondato da amici come Teocoli e Boldi (francamente la scena in cui questo balla è abbastanza esilarante) e supportato da una Mariangela Melato particolarmente sensuale e trasognata in questo lungometraggio,il comico imbocca appunto la via del nonsense,sfiorando il demenziale ma senza sfruttare bene questa via,abbandonandosi ad un galleggiamento narrativo zeppo di figurette (il bambino che gestisce l'officina) e situazioni che non si legano insieme,per giungere ad una sorta di morale un pò cinica nel finale,in cui vorrebbe ribaltare molto di quello che si è visto fino a quel momento.Peccato,perchè l'inizio faceva sperare piuttosto bene.
IL GRINTA ( True grit,USA 2010)
DI JOEL e ETHAN COEN
Con JEFF BRIDGES,HAILEE STEINFELD, Matt Damon,Josh Brolin.
WESTERN
Benda nera sull'occhio guercio,barbaccia incolta,sigaretta storta all'angolo della bocca e maniere rudi,lo sceriffo Rooster Cogburn è tornato.Dopo i due film con il personaggio impersonato da John Wayne nel '69 e nel '75,di cui il primo fece finalmente vincere l'Oscar al "Duca",ma che non sono considerati grandi western (quello di Hataway forse è uscito fuori tempo,pare una pellicola anacronistica nei dialoghi e nel disegno dei personaggi),ecco un remake a firma illustre,i fratelli Coen,non nuovi al tipo di operazione ("La signora omicidi"),che ne hanno fatto un veicolo per nominations all'Academy Awards (10,senza vincere alcunchè,però),ed uno dei film del genere più redditizi,che in USA specialmente ha incassato oltre 150 milioni di dollari.Jeff Bridges,tredici anni dopo la felicissima collaborazione con i fratelli de"Il grande Lebowski" rifà "Il grinta" con rustica padronanza del mestiere,infondendoci un'ironia che nella prova di Wayne latitava,o se c'era emergeva goffamente,ma la forza della pellicola è il cast messo insieme,con Matt Damon che dà una prova da caratterista de luxe come ranger un pò stolido ma infine affidabile,la giovanissima Hailee Stensfeld,che matura con l'esperienza della caccia agli assassini del padre fiancheggiando Cogburn ed il ranger,ed i cattivi Brolin e Pepper.Infarcito di momenti al limite del surreale,con pause molto tipiche del cinema coeniano,che mutano il consueto schema della caccia all'uomo tipico di parecchi western,è uno dei pochi casi in cui il rifacimento surclassa l'originale,con aggiunta di finale malinconico sulla fine di un'era,quella del West,in cui anche un cialtrone apparentemente senza grande ritegno poteva sciorinare dei princìpi ed avere la sua mezz'ora da eroe.
L'ALBA DEL PIANETA DELLE SCIMMIE (Rise of the planet of the apes,USA 2011)
DI RUPERT WYATT
Con JAMES FRANCO,ANDY SERKIS,Freida Pinto,John Lithgow.
FANTASCIENZA/AZIONE
Sappiamo oramai che le saghe di collaudato funzionamento al botteghino sono riesplorabili dalle nuove generazioni di produttori,che un reboot o un prequel sono allo studio continuamente sui tavoli degli uffici delle majors:"Il pianeta delle scimmie",che prende spunto dal romanzo di Pierre Boulle,medesimo autore de "Il ponte sul fiume Kwai",dopo quattro episodi tra il 1968 ed il 1974,ed un remake diretto da Tim Burton che risulta essere una delle non molte pagine stinte della carriera dell'autore di "Big fish",viene oggi "prequelizzato" dal regista Rupert Wyatt,alla seconda regia.Per la verità qualcosa di simile era narrato nell'episodio con James Franciscus della saga originale,con la piccola scimmia che diveniva il futuro condottiero della rivolta contro gli umani:ma,come è stato rilevato anche dalla critica ufficiale,questo è un blockbuster molto più intelligente della media.Se si eccettuano qualche strafalcione (lo scimpanzè intelligentissimo Cesare che guida i suoi primati sul ponte con il linguaggio militare dei gesti,dove lo avrebbe imparato?),il film narra dettagliatamente e con cura l'escalation della giovane scimmia nata in laboratorio,e spiega la delusione e poi il furore verso la razza predominante.In realtà la conquista del pianeta da parte degli antropomorfi deve ancora venire,e la pellicola si conclude con una sorta di fragile tregua tra specie,ma la battaglia sul Golden Gate è avvincente,i personaggi ben definiti,se si eccettua la purtroppo solo decorativa veterinaria di Freida Pinto,e sceneggiatura e regia propongono in modo talmente appassionato la vicenda dello scimpanzè Cesare,che è quasi impossibile non parteggiare per lui. E nella sequenza in cui,come Spartaco,il primate tende la propria strategia e poi libera i simili,stimolandoli alla lotta,per un attimo è reso su schermo un omaggio a tutti gli oppressi ,nati già vittime,di cui un mondo feroce e attento solo al ricavo ad ogni costo ha già deciso l'amara sorte da tavolo di laboratorio,metaforico o meno.

mercoledì 28 settembre 2011

OMICIDIO IN DIRETTA ( Snake eyes,USA 1998)
DI BRIAN DEPALMA
Con NICOLAS CAGE, Gary Sinise,Carla Gugino,John Heard.
THRILLER

Un soggetto da thriller ordinario,nelle mani di un grande autore si tramuta in un noir tardomoderno,ricco di colpi di regia,che si puo'leggere come una lezione morale.Infatti,in "Omicidio in diretta",DePalma inchioda l'occhio dello spettatore (e stuzzica il cinefilo) con un piano sequenza strepitoso,lungo piu'di un quarto d'ora,attraverso il quale presenta ambientazione e personaggi in maniera concisa ma esatta:per poi ricostruire gli eventi piu'volte ,da altre soggettive e con un altra scansione dei fatti.E nella scelta che si trova a dover compiere il poliziotto corrotto e apparentemente senza scrupoli Rick Santoro(Cage),c'è una via alla redenzione di un personaggio con tutti i connotati dell'uomo perduto.Di buona tensione,"Omicidio in diretta" si fa forse apprezzare a una seconda visione ,forse perche',conoscendo il plot,si ha piu'modo di lasciar gioco all'occhio,che puo'cogliere cose prima non rilevate.

TERRAFERMA ( i,2011)
DI EMANUELE CRIALESE
Con FILIPPO PUCILLO,DONATELLA FINOCCHIARO, Mimmo Cuticchio,Beppe Fiorello.
DRAMMATICO
Pare che il candidato italiano nella corsa agli Oscar per l'anno prossimo sia "Terraferma",presentato a Venezia al Festival,e piaciuto molto alla critica,sorpassando "Habemus Papam" di Moretti.Il cinema di Crialese è una realtà oramai,molto amato dai recensori,ed è vero,purtroppo,che oggi,in una fase considerata di rilancio per le fortune dei film nostrani,quelli d'autore patiscono la distribuzione e la disaffezione del pubblico, e difatti la pellicola fatica con gli incassi.Ma c'è da dire che la scelta non è peregrina,al di là dei gusti personali e della comunque importante affermazione del lungometraggio dell'autore de "La messa è finita". Se in "Terraferma" forse manca qualcosa per arrivare alla zona-capolavoro a livello narrativo,più che altro perchè si ha la sensazione,in alcuni momenti,che la storia si misuri anche troppo,probabilmente per evitare la trappola-retorica o impedirsi la via della lacrima facile,si può dire che siamo comunque dalle parti del grande cinema,di quello che ha le radici nel neorealismo,con una potenza d'immagini che abbaglia,vedere ad esempio la sequenza dei naufraghi giunti sulle rive, o degli stessi che escono dall'acqua tendendo le braccia come dannati nello Stige,ed ancora la sequenza immortalata nel manifesto,in cui un reducismo post-anni Ottanta di spensieratezza assoluta ed obbligatoria si traduce in un tuffo collettivo in un mare di Niente.Straordinari gli apporti di volti e silenzi,più che i dialoghi,di Donatella Finocchiaro e Mimmo Cuticchio:un'opera importante,che traccia solchi nello sguardo dello spettatore (ancora:quella barca come incastrata tra le onde nel finale,che quadro imponente) e ottiene una commozione quasi non cercata nel rapporto ruvido e toccante tra le due donne della storia,la siciliana restìa a piangere e l'etiope intensa,ferita eppure fortissima. Difficile alzarsi dalla sedia indifferenti a questo film.

lunedì 26 settembre 2011

IL DELITTO MATTEOTTI ( I,1973)
DI FLORESTANO VANCINI
Con MARIO ADORF,RICCARDO CUCCIOLLA,GASTONE MOSCHIN,FRANCO NERO.
DRAMMATICO/STORICO
L'agguato infame che praticamente dette il "la" alla dittatura fascista in Italia,e tolse di mezzo il deputato socialista Giacomo Matteotti è raccontato con dovizia di particolari da Florestano Vancini,regista impegnato oggi poco ricordato:i fatti,dall'arringa nel parlamento già inquinato dall'omertà di molti verso il regime crescente di Benito Mussolini,all'espandersi dello squadrismo come regola vigente per mantenere il potere. Molti nomi noti nel cast,dal Franco Nero di Matteotti,al Mario Adorf-Mussolini,ricordando anche il Gramsci di Riccardo Cucciolla ed il Turati di Gastone Moschin:Vancini e la sceneggiatura imputano all'errata linea politica dei socialisti molte responsabilità circa il trionfo del Fascio Littorio,e da un punto di vista storico è ben sottolineata la circostanza del Duce ricattato dalle Camicie Nere,dato che la storia d'Italia è zeppa di situazioni analoghe,con scherani che mettono con le spalle al muro gli apparenti uomini di potere.Il film spiega bene le cose,anche se il rischio-didascalismo non sempre è evitato,e Vancini in alcuni momenti pare concentrarsi molto su alcune cose,magari più del dovuto.Come documento per riflettere ed analizzare una fase terribile della nostra Storia "Il delitto Matteotti" è un film da far vedere ai ragazzi che vanno alle scuole dell'obbligo,ove difficilmente si va oltre la Prima guerra mondiale ,come film drammatico è valido,anche se qualche sforbiciata qua e là avrebbe giovato.

domenica 25 settembre 2011

COSE DELL'ALTRO MONDO ( I,2011)
DI FRANCESCO PATIERNO
Con DIEGO ABATANTUONO,VALERIO MASTANDREA, Valentina Lodovini,Sandra Collodel.
COMMEDIA
Landa negli ultimi vent'anni incensata per l'operosità e la forza trainante di un'economia molto più attiva di tante altre regioni italiane,il Veneto,per poter raggiungere tale status,è arrivato alla bizzarra combinazione di una mentalità quasi reazionaria assai avversa ad immigrati (ovviamente non si sta parlando di tutti i veneti,sia chiaro) e meridionali di ogni dove,però infine ben disposta ad ospitare appunto tali categorie di persone perchè offrono una gran forza-lavoro,e fanno lavori che agli italiani,non è un luogo comune,non piace più fare. A Venezia "Cose dell'altro mondo",favola allegorica in chiave di commedia,ha ottenuto entusiastici applausi,ma come gli altri italiani proposti al Festival,in sala non ha raggiunto grandi incassi,nonostante le buone recensioni ottenute e un pò di polemica sorta sull'inquadrare i veneti come potenziali razzisti,poi Abatantuono ha rilasciato interviste volte a smorzare tensioni e malintesi (meno male,e uno come Borghezio allora che dovrebbe fare,inginocchiarsi sul sale in diretta?):terza regia di Francesco Patierno,ha probabilmente nella mano non sicurissima di sè del director il suo maggior difetto,con qualche tempo morto e soprattutto un finale "a bandone",tirato giù un pò goffamente che pare troncare il racconto e non risolvere le questioni di fondo. Si sorride con le tirate scatenate dell'industrialotto che lancia anatemi in tv Abatantuono,e si simpatizza con gli apparentemente distanti "ex" Valerio Mastandrea e Valentina Lodovini,e la storia regge bene il surreale che si sprigiona dal momento in cui gli stranieri scompaiono.Però,che peccato che "Cose dell'altro mondo" non sostenga fino in fondo la potenziale forza dell'apologo,quasi un'estrosa invenzione alla Gianni Rodari,che avrebbe potuto rendere il lungometraggio una chicca da riscoprire in futuro.

martedì 20 settembre 2011

LA DAMA ROSSA UCCIDE SETTE VOLTE ( I,1972)
DI EMILIO P.MIRAGLIA
Con BARBARA BOUCHET,UGO PAGLIAI,Marina Malfatti,Sybil Danning.
THRILLER
Mario Bava in Italia era un regista acclamato all'estero,ma da noi continuava ad essere considerato un talento che si intestardiva a girare film di serie B,e Dario Argento era appena esploso con tre grandi successi inanellati in due stagioni:fioccavano così imitazioni e gialli dietro uno l'altro a spaventare il pubblico.Ci fu anche "La dama rossa uccide sette volte",che trasmettevano spesso d'estate negli anni Ottanta,girato interamente in Germania,con cast quasi per intero italiano.Il prologo spiega che una leggenda vuole che due sorelle abitanti un castello erano in conflitto tra loro,ed una delle due uccise l'altra,e pare che il quadro che le ritrae abbia un influsso maledetto,che fa sì che ogni cento anni la storia si ripeta.Le due sorelline che vediamo all'inizio azzuffarsi,un quindicennio dopo,si ritroveranno in una vicenda sanguinosa in cui una donna di rosso vestita uccide con un pugnale (e non solo):il film,dei coevi prodotti del genere,non è dei peggiori,decoroso nell'impianto,non recitato male e neanche scritto pedestremente,come altri invece risultavano. Ha una prima parte che intriga abbastanza,però scivola nel finale verso una soluzione dell'enigma un pò banale,che smorza l'effetto sullo spettatore,il quale viene deluso dallo scoprire che chi si cela sotto la cappa dell'assassina è la più scontata delle ipotesi che poteva aver fatto.La sensualità di Sybil Danning,femme fatale della storia,è abbondante,ed al regista piace mostrarla senza veli,mentre la Bouchet ha un solo nudo e ha un'espressione atterrita per quasi tutto il film:meno efferato di altri titoli analoghi,ha un omicidio particolarmente cruento che riguarda un personaggio che viene fatto cadere sulle punte di un'inferriata,però se di paura ne suscita poca,è altrettanto vero che non affonda nel ridicolo.
UN EROE DEI NOSTRI TEMPI ( I,1955)
DI MARIO MONICELLI
Con ALBERTO SORDI, Franca Valeri,Giovanna Ralli,Mario Carotenuto.
COMMEDIA

Alberto Sordi già da oltre un decennio era nel mondo dello spettacolo,e da una manciata di anni aveva iniziato ad interpretare film da protagonista,e Mario Monicelli proveniva da una pellicola che gli aveva dato diversi problemi con la censura come "Totò e Carolina":la storia di un impiegato scapolo e molto pavido,che si fa tremila problemi per compiere qualsiasi azione è molto adatta alle corde interpretative del grande attore romano,ed infatti l'attore coglie l'occasione per un campionario folto delle facce stravolte,le facili esuberanze e gli altrettanto forti imbarazzi della propria maschera.Il film invece non si scrolla da un'aria di superficialità che lo attraversa per intero:la storia di un grigissimo giovanotto che non fa niente che lo distingua,e che sia pieno di assurde paure del vivere poteva essere interessante,e nelle mani di un maestro della commedia italiana più sapida poteva rivelarsi una lettura del tempo non indifferente. Non mancano,certo,i momenti in cui si sorride,grazie alla bravura degli interpreti (da menzionare un'agguerrita Tina Pica ed un quasi esordiente Bud Spencer,ancora Carlo Pedersoli,robusto fidanzato della Ralli che aspetta il protagonista sotto al portone di notte),l'abilità della regia,ma sa di occasione mancata.

lunedì 19 settembre 2011

LA CASA DI MARY (Superstition/Witch ,CAN 1982)
DI JAMES W.ROBERSON
Con
JAMES HOUGHTON,ALBERT SALMI,Lynn Carlin,Larry Pennell.
HORROR
Nei primi Ottanta l'horror ebbe un'impennata "finale" come strascico alle maggiori libertà visive che il genere si era preso nel ventennio precedente,con aumento della violenza mostrata,sangue ed effetti speciali in espansione e spaventi quindi evolutisi.Se da noi Umberto Lenzi,Lucio Fulci ed Aristide Massaccesi facevano incassare bene nelle terze visioni con i loro truculenti exploit ad alta esposizione di macellerie ad opera dell'artigianato nostrano circa trucchi ed altro,ecco dal Canada un film di cui all'epoca,molti giovanissimi spettatori coltivarono il culto,ed attraverso il tam-tam tra spettatori fecero venire la curiosità ( e qualche posteriore spaventuccio) a chi il film non lo aveva visto.Ricordo che ai tempi dei miei coetanei che avevano visto la pellicola lo descrivevano come "tremendamente impressionante" e via esaltando:trent'anni dopo "La casa di Mary" è un B-movie piuttosto efferato,in cui le morti vengono inflitte con macabra fantasia degli sceneggiatori,ed al regista Roberson va ascritto il tentativo,qua e là riuscito,di creare una forma di suspence prima delle uccisioni delle varie vittime prescelte.Però quanto a recitazione o qualsiasi forma di dialoghi presenti nel film,lasciamo proprio stare,si sconfina spesso nel ridicolo:certo,si dirà,è di quel cinema-cinema che basa quasi tutto sulle sensazioni scatenate,e ci si può spaventare o rimanere colpiti dai numerosi delitti compiuti dallo spirito di una strega annegata in un lago. Ma di film fantastici o dell'orrore meglio scritti o girati ce ne sono abbastanza per classificare questo come un lungometraggio di poco conto nella storia del genere.
A MUSO DURO ( Mr.Majestyk,USA 1974)
DI RICHARD FLEISCHER
Con CHARLES BRONSON,Al Lettieri,Linda Cristal,Lee Purcell.
AZIONE
Coltivatore di cocomeri messo male con debiti e conti,Majestyk è un principale non dispotico,con il quale i braccianti messicani lavorano volentieri,reduce dal Vietnam,a cui dei prepotenti locali mettono i bastoni tra le ruote:rivoltatosi,viene arrestato e coinvolto nell'evasione di un pericoloso criminale.L'impostazione di "A muso duro" è abbastanza verosimile,per essere un film d'azione con Charles Bronson,ma è vero che "Giustiziere della notte" a parte,negli anni Settanta potevano rivelarsi piacevoli passatempi girati professionalmente,vedi "Io non credo a nessuno":la figura del singolo che si ribella a prepotenze e soprusi è da sempre un classico del cinema americano,a partire dagli western,e la regia di Fleischer,abituata spesso a kolossal spettacolari, regge bene la dimensione da "piccolo" action-movie data a questo film. Duro ma sensibile al racconto di una sindacalista latinoamericana,fondamentalmente onesto ma incapace di venire a compromessi,il protagonista si ritrova a dover affrontare un conflitto a fuoco nel finale per chiudere i conti con il gangster che lo ha messo di mezzo nell'evasione e poi lo perseguita per non averlo spalleggiato ulteriormente.Lo sappiamo fin dall'inizio che il roccioso Charles avrà la meglio,che il tenente di polizia apparentemente burbero parteggia per lui e chiuderà un occhio quando farà fuori i delinquenti che lo assillano (beh,Majestyk che uccide due pregiudicati e poi se ne va via libero con una strizzata d'occhio al tenente è abbastanza curioso,ma va ricordato il genere di film cui si sta assistendo...).Però a livello d'intrattenimento abbiamo visto assai di peggio,e la pellicola ha il suo relativo fascino.

domenica 18 settembre 2011

ALICE ( Alice,USA 1990)
DI WOODY ALLEN
Con MIA FARROW,William Hurt,Joe Mantegna,Cybill Sheperd.
COMMEDIA

Il debito felliniano in varie opere di Woody Allen è riscontrabile,e non sfugge a questa prerogativa "Alice",che deve molto a "Giulietta degli spiriti",almeno nello spunto del racconto.Allen,qui solo regista,esplora l'inconscio della borghese Alice ,non molto felice,che capirà di dover cambiare direzione alla sua vita dopo che le si è "aperta la mente".Mia Farrow è intonata,come spesso accade nei film diretti dall'autore di "Io & Annie" gli interpreti danno qualcosa in più,e il film è gradevole e pacatamente riflessivo.Non cerca il riso ,lascia sorridere raramente,e forse non è uno dei titoli più significativi di una carriera esemplare.Però è una meditazione sulla psicologia femminile garbata e non superficiale,che emana simpatia.

sabato 17 settembre 2011

CARNAGE ( Carnage,F/ES/PO,2011)
DI ROMAN POLANSKI
Con JODIE FOSTER,KATE WINSLET,CHRISTOPH WALTZ,JOHN C.REILLY.
GROTTESCO
Gioco al massacro per quattro,"Carnage" si svolge per intero,tranne un brevissimo prologo che introduce il quid della vicenda,ed un brevissimo stacco finale che commenta il tutto con un barlume di ottimismo,in un appartamento in cui due coppie si incontrano per chiarire pacificamente un diverbio tra i loro figli,piuttosto violento,in cui uno dei due ragazzi ha rotto i denti all'altro con un bastone.Inizialmente le buone maniere sembrano avere la meglio,ma ben presto affiorano battute taglienti,il brutto del carattere di ognuno,l'insofferenza di ogni personaggio verso gli altri,e si formano curiose coalizioni,mogli contro mariti,coppia contro coppia,fino ad un caos concentrato in un salotto.Dalla commedia "Il dio del massacro" di Yasmina Reza,che ha co-sceneggiato il film,Roman Polanski ha tratto un apologo che incrocia commedia e dramma,pestando non poco sul grottesco,esponendo le contraddizioni di un'epoca,il malessere che si cela nella buona società,gli intenti emeriti che mascherano le frustrazioni ed i rancori,la volgarità appena dietro abiti costosi,ed anche un progressismo di facciata che a stento ricopre rabbie retrograde. Presentato con clamore al Festival di Venezia appena concluso,l'ultimo Polanski offre a quattro interpreti intensissimi una grande occasione per eccellere ed allo stesso tempo attuare una partita a quattro dandosi stimolo a vicenda:nessuno,neanche Reilly,che è l'unico del gruppo a non aver vinto l'Oscar (ma chissà,questa è una pellicola che molto probabilmente otterrà delle nominations importanti) è esente da una prova attoriale esaltante. Visione chiaramente pessimistica e derisoria,alterna denotazioni satiriche a momenti di autentico biasimo,concludendo il gioco mostrando che le certezze degli adulti sono assai vane,perchè quel che davano per certo è andato al contrario delle loro aspettative,e che i ragazzi possono avere atteggiamenti più maturi,andando oltre il patetico disincanto dei "grandi".

martedì 13 settembre 2011

COMANDANTE ( Comandante,Usa/Es,2003)
DI OLIVER STONE
DOCUMENTARIO
Nella decade da poco conclusa Oliver Stone,dopo essersi affermato come uno dei cineasti più discussi del cinema americano,aver vinto due Oscar e aver scelto spesso argomenti spigolosi per i soggetti scelti,si è dedicato un paio di volte a girare documentari su personalità certo poco amate dagli USA,specie sotto Bush II,come Fidel Castro e Yasser Arafat. "Comandante" è un'intervista al lìder maximo inframezzata da spezzoni di filmati d'epoca,molto belli,dei tempi della rèvoluciòn,in cui Castro chiacchiera fluidamente con il regista statunitense,a ruota libera,sulla sua vita,Cuba,i rapporti con l'America e l'Unione Sovietica,la Storia,il delitto Kennedy,le donne e tanto altro ancora.Molti hanno accusato Stone di essersi lasciato fagocitare dal carisma del "comandante" e di aver ridotto al minimo le domande imbarazzanti,in pratica realizzando una sorta di celebrazione dell'uomo che abbattè Batista e in faccia agli Stati Uniti realizzò un regime comunista.In realtà Castro evita abilmente le risposte troppo complesse,raccontando inevitabilmente la "versione di Fidel",esibendo comunque personalità,e capacità di interessare l'interlocutore,complimentandosi con il regista nel finale,elogiando il coraggio mostrato per aver intrapreso un'operazione rischiosa per un americano sotto la presidenza più a destra avuta dagli USA.Fluido,mai noioso,colmo di colpi d'occhio sull'isola caraibica,acritico ma non per questo asservito all'ottica castrista,"Comandante" è un documentario valido,che ritrae un dittatore giunto in età anziana che di sè non offre un'immagine nè fanatica,nè assolutamente convinta di essere nel giusto assoluto.Certo,è la versione che voleva offrire,e ne è consapevole anche la regia,ma come documento su una realtà storica importante il film di Stone non è affatto da prendere sottogamba.