sabato 29 novembre 2008

IL TUO VIZIO E' UNA STANZA CHIUSA E SOLO IO NE HO LA CHIAVE
( I,1972)
DI SERGIO MARTINO
Con ANITA STRINDBERG, LUIGI PISTILLI, EDWIGE FENECH, Ivan Rassimov.
THRILLER/HORROR Un genere in piena fioritura come il thriller a tinte forti nei primi anni Settanta ha visto far parte di sè pellicole spesso di dubbia qualità, molto ispirate ovviamente al nuovo stracciatore di incassi made in Italy Dario Argento: "Il tuo vizio è una stanza chiusa..." ( a proposito, per il titolo ci ha mica messo lo zampino Lina Wertmuller?) non risparmia momenti truculenti, indirizzandosi nella seconda parte su una ricerca della suspence volenterosa anche se non sempre premiata, però a differenza dei thriller argentiani la componente erotico-morbosa è molto più cospicua. Si comincia con una cena che finisce in maniera quasi orgiastica, e poi se nel titolo si parla di un vizio, il film di Martino, poi specializzatosi in commedie scollacciate, indugia su vari aspetti morbosi, come la necrofilia, il sesso vissuto come violenza, alcoolismo e disfacimento mentale: meno peggiore di altri simulacri argentiani, il film giunge ad un finale ispirato ad Edgar Allan Poe, anzi preso proprio di peso da "Il gatto nero" con una certa prevedibilità.Benchè insistito in certi poco piacevoli dettagli sadomaso, ha due interpreti non di second'ordine come Luigi Pistilli e la bella Anita Strindberg: in un ruolo ambiguo , dopo oltre mezz'ora di durata, Edwige Fenech che oltre ad esibire le grazie di cui un paio di generazioni maschili le sono grate, non sfigura nel recitare. Nota inquietante, e non poco, il particolare dello scrittore in preda all'alcool ed al proprio fallimento umano che scrive ossessivamente la stessa frase, assai prima del Jack Torrance di "Shining", e sorge il dubbio....
TWILIGHT ( Twilight, USA 2008)
DI CATHERINE HARDWICKE
Con KRISTEN STEWART, ROBERT PATTINSON, Billy Burke, Peter Facinelli.
FANTASTICO
Visto lo slittamento di "Il principe mezzosangue", atto sesto della serie di Harry Potter al prossimo Luglio, l'uscita novembrina che avrebbe dovuto accontentare i fans del fantasy è stata quella di "Twilight" ( Crepuscolo), nuova saga romantico-fantastica che nelle librerie ha spopolato. Primo di una tetralogia ( dopo questo arriveranno "New Moon", "Eclipse" e il finale "Breaking dawn") che vede una storia d'amore combattuta tra l'adolescente in crisi Bella e il vampiro integrato Edward, il film è diretto dalla Catherine Hardwicke, che qualche anno fa suscitò qualche polemica con le sue teenagers allo sbando di "Thirteen": diverse giovanissime in sala mostrano entusiasmo a proiezione finita, ma da spettatore prima e cinefilo poi mi viene la considerazione che rapportato a questo un qualsiasi episodio della saga del piccolo mago dagli occhiali tondi ( che non amo particolarmente) è un trattato di cinema ad alto livello, e che l'allestimento, gli effetti speciali e la regia stessa di ogni segmento di quella serie stanno a "Twilight" come una torta Gianduia realizzata con tutti i crismi a una bustina di dolcificante. Anche piuttosto noioso, perchè estende una storia consumabile, senza tentennamenti, in un'ora e mezza molto scarsa a quasi due ore di proiezione, il film della Hardwicke è mal girato, registrato discretamente in modo pedestre da un pò tutti gli attori, bolso nei dialoghi e dilettantesco negli effetti speciali: se la saga prosegue su questa china, nonostante la buona risposta del pubblico, non è avviata granchè bene.

mercoledì 26 novembre 2008

L'UOMO CHE SUSSURRAVA AI CAVALLI ( The horse whisperer, USA 1998)
DI ROBERT REDFORD
Con ROBERT REDFORD, KRISTIN SCOTT THOMAS, Scarlett Johansson, Sam Neill.
SENTIMENTALE/DRAMMATICO
Dal best-seller soprattutto per signore di Nicholas Evans, Robert Redford trasse la sua quarta regia, e per la prima volta si autodiresse: il personaggio principale, uno degli ultimi "westerner" sembra infatti tagliato apposta per lui, romantico d'istinto e irrinunciabilmente legato alla natura in tutti i suoi aspetti, anche quelli negativi. Come succede di rado, il film è anche migliore del romanzo da cui è tratto: se sulla pagina la storia giungeva ad un finale ancora più drammatico che suonava tuttavia un pò forzato, la scelta dello script di Richard LaGravenese di sfumare e rendere più malinconica la chiusura è premiata con il ricordo che lascia nello spettatore. Forse uno dei risultati migliori di Redford dietro la macchina da presa, "The horse whisperer"ha un avvio da brivido per la verosimiglianza del terribile incidente che apre la storia, e ha il pregio non da poco di non perdersi in sbrodolamenti, mantenendo vivace il racconto e evidenziando con cura le sfaccettature dei caratteri, nessuno facilissimo da definire. Il finale, quel mezzo sorriso di sconfitta con cui il protagonista accetta la scelta dell'amata, pure se gli farà un male inedito, è di quelli che fanno voler bene a un personaggio, e l'immagine dell'eroe che nobilmente osserva lei andarsene per sempre per un ultimo silenzioso saluto è difficile da dimenticare.

martedì 25 novembre 2008

HEARTBREAKERS- Vizio di famiglia ( Heartbreakers, USA 2001)
DI DAVID MIRKIN
Con JENNIFER LOVE HEWITT, SIGOURNEY WEAVER, Gene Hackman, Ray Liotta.
COMMEDIA

Avete presente quando nel calcio a disposizione di un allenatore mettono fior di campioni, giocatori che sulla carta messi insieme mangiano campionati e trofei, e alla fine se si salvano è un miracolo da come vanno male? Ecco, "Heartbreakers", che offre un cast di un certo livello al regista David Mirkin, il quale confeziona una commedia fessa e uggiosa, sproporzionata anche nella durata, oltre due ore, che spreca interpreti quali la Weaver, Liotta e Hackman ( quest'ultimo, benchè alle prese con una macchietta più che un personaggio, è tuttavia quello che risente meno del disastro) in un gioco di truffe e raggiri spento e prevedibilissimo. Simpatico e fresco nell'intrattenere il pubblico come la stanza delle attese dal dentista, "Heartbreakers" si affida a Jennifer Love Hewitt, all'epoca considerata una potenziale star e mai esplosa, e a una Sigourney Weaver in versione tette rifatte che non convince per niente come attrice brillante, non qui. Il film è da ascrivere in quella categoria di pellicole poco significanti, insulse e molto già viste che case di produzione e sceneggiatori pensano di allestire confidando in spettatori di bocca buona , che con un paio di nomi de luxe giustificano un copione a basso livello di decenza e senza alcuno sforzo di fantasia.

lunedì 24 novembre 2008

L'ULTIMA MISSIONE ( MR 73, F 2007)
DI OLIVIER MARCHAL
Con DANIEL AUTEUIL, Olivia Bonamy, Catherine Marchal, Francis Renaud.
NOIR
"36, quai des Orfèvres" era un dramma poliziesco robusto e avvincente, con qualche calo di tensione nella seconda parte, ma aveva evidenziato le doti da buon regista di noir dell'ex-poliziotto Olivier Marchal. Il suo lavoro successivo vede di nuovo uno sbirro al centro della vicenda: ma è ridotto al lumicino, non ha più alcuna fiducia della vita ed è sbronzo la maggior parte del tempo, finchè non inquadra come svolta per la propria esistenza al macero un'indagine rognosa, su un assassino seriale che sevizia e trucida donne, introducendosi nelle loro case con una maschera amichevole e un espediente non colto dagli altri investigatori. Attorno e in parallelo, Marchal narra l'incedere delle vicende di un vecchio maniaco omicida vicino alla scarcerazione ( ma è ancora pericolosissimo e malvagio) e della ragazza che vide la propria famiglia massacrata dall'assassino: tutte e tre le piste si incroceranno prima del finale, e in modo tragico i conti torneranno. Se appunto del titolo più noto di Marchal si era notato un certo declinare , comunque lieve, dell'ottima impressione che faceva, di questo "MR 73" ( è un tipo di pistola prima in dotazione alla polizia francese) è vero il contrario, ad un inizio a rischio raffazzonato, segue un crescendo ben temprato e costruito, che porta ad una conclusione che non può essere del tutto positiva. Antieroe sfasciato dal dolore e dal perdersi, Auteuil dà una buona caratterizzazione, seppure fisicamente il personaggio sia un pò troppo "caricato", e del film resta nel ricordo dello spettatore la suggestione di dettagli da noir di categoria: forse il prossimo film di Marchal sarà il suo migliore, se impara a dosare tensione e ritmo narrativo.

sabato 22 novembre 2008

IL LADRO ( The wrong man, USA 1956)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con HENRY FONDA, Vera Miles, Anthony Quayle, Harold J.Stone.
DRAMMATICO
Uno dei film di Hitchcock più anomali del suo periodo americano, e nemmeno uno dei più citati, nonostante l'ottima interpretazione di un Henry Fonda denso e introspettivo, "Il ladro" ( il titolo originale,"L'uomo sbagliato" come spesso accade, era ben migliore però) è un film drammatico, non un thriller: la tensione nasce dall'interrogativo posto allo spettatore sul come il protagonista, per disgrazia indicato come il rapinatore che da un pò imperversa nella città in cui il film è ambientato, riesca a sopravvivere all'improvvisa e tragicamente paradossale situazione venuta a crearsi, e se verrà scagionato dall'infamante e assurda accusa. In un'America grigia, poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, la situazione economica è poco felice (guardate anche i muri del commissariato...) e a scivolare in un baratro ci si mette poco: in più, sottolinea Hitch, che compare appena prima dei titoli di testa, se chi deve stabilire la verità si basa su indizi e supposizioni, la fallibilità di un sistema è conclamata e attuabilissima. Dramma morale intenso, non sarà tra i picchi della filmografia di un grandissimo del cinema, ma oltre cinquant'anni dopo la sua realizzazione resta un ficcante apologo sul diritto di chiunque a essere giudicato solo su prove fondate, al di là di ogni ragionevole dubbio, o irragionevole presunzione ed ignoranza.

SI PUO' FARE ( I, 2008)
DI GIULIO MANFREDONIA
Con CLAUDIO BISIO, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Giorgio Colangeli.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Può sembrare anche di no, ma "Si può fare" è ispirato a fatti veri, circa a metà degli anni Ottanta, dopo che la legge Basaglia decretò che i manicomi erano da chiudere, alcune delle persone ricoverate in tali istituti formarono cooperative di lavoro. Per la sua terza regia Giulio Manfredonia ha realizzato questa commedia a sfondo drammatico su un tema non facile da trattare, e probabilmente spesso evitato dall'interesse pubblico proprio per la sua complessa natura come le malattie mentali e i disagi vissuti dalle persone che ne soffrono. Il film, benissimo interpretato, oltre che dalle facce note Bisio, Caprioli e Battiston, anche e soprattutto dai caratteristi che formano il gruppo di lavoro coordinato dall'ex sindacalista protagonista, è piacevole a vedersi, felicemente condotto con mano leggera, ma se si vuole ha la sua buona dose di superficialità nel presentare persone che riaffrontano la realtà fuori dal manicomio e un pò troppe citazioni da altri film ( oltre, com'è ovvio, "Qualcuno volò sul nido del cuculo" il finale, benchè lasci una buona impressione sembra preso da "Fuga per la vittoria" quando arrivano i prigionieri dall'Est al campo): certo, è un lavoro pregevole, che potrebbe anche farsi strada all'estero e vincere qualche premio importante, e perlomeno siamo di fronte ad una pellicola intelligente,garbata e che alza un argomento di quelli impegnativi. Ma occhio a sovraccaricarne le aspettative del pubblico parlandone, perchè un capolavoro non è.

giovedì 20 novembre 2008

QUANTUM OF SOLACE ( Quantum of solace, GB/USA 2008)
DI MARC FORSTER
Con DANIEL CRAIG, Olga Kurylenko, Judi Dench, Mathieu Amalric.
AZIONE

Il ritorno sugli schermi di James Bond in versione bionda e nerboruta cinque anni dopo l'ultimo episodio interpretato da Pierce Brosnan aveva sorpreso tutti: ruvido e atletico, Daniel Craig, già ironicamente ribattezzato "James Blond" si era rivelato una scelta azzeccatissima, tanto da insidiare l'eterna incoronazione di Sean Connery quale 007 più "vero", il film era piaciuto anche a spettatori che abitualmente snobbavano le avventure spionistiche del personaggio di Fleming e si era rivelato tra i maggiori incassi della serie. Giunto piuttosto velocemente, il capitolo successivo ne è un seguito di "Casinò Royale", fatto inedito per la longeva saga della spia d'Inghilterra, si cambia regista ( da Martin Campbell, che aveva già tenuto a battesimo Brosnan in "Goldeneye" si passa allo svizzero Marc Forster) e ritorna tra gli sceneggiatori Paul Haggis che aveva ritoccato lo script del film precedente soprattutto nella conclusiva parte veneziana. Pur essendo girato con dovizia di mezzi, e avendo sequenze d'azione straordinarie, "Quantum of solace" è di qualche misura inferiore al film che lo ha preceduto. La sceneggiatura manca dello humour necessario, e si ricordano poche battute, devolvendo tutto l'interesse all'azion pura, oltretutto allestendo una trama basata su una doppia vendetta abbastanza macchinosa, e per quanto Craig non perda nè carisma nè il suo gustoso mix tra coriaceo machismo e fisica vulnerabilità e Olga Kurilenko abbia uno dei più bei volti comparsi nella serie, il divertimento è minore, e aleggia un certo senso di delusione. Sul piatto positivo della bilancia, la sottolineatura che 007 è in fondo un agente segreto non buono per forza, ma uno con l'opportunità di diventare un killer compresa nel contratto di lavoro, sull'altro la canzone dei titoli, stavolta di Jack Black e Alicia Keys non così d'impatto come "You know my name" di Chris Cornell.
CORSARI ( Cutthroat Island, USA 1995)
DI RENNY HARLIN
Con GEENA DAVIS, MATTHEW MODINE, Frank Langella, Maury Chaikin.
AVVENTURA


Quando un progetto nasce vecchio, può essere ben confezionato e costoso quanto vuole, ma difficilmente riesce nell'intento di rivelarsi un successo.Primo della catastrofica accoppiata con "Spy", altro tonfo ai megatoni al box-office del duo Harlin-Davis,"Cutthroat island" dispiega lo sfarzo e i dollaroni con cui è stato allestito senza posa, ma mostra quasi sempre la programmaticità produttiva di cui è rivestito. Sia chiaro, non manca lo spettacolo, e l'idea di una piratessa scatenata come protagonista non è delle più infami, ma a conti fatti lo spettatore a un passo dal Duemila è troppo smaliziato per accettare un kolossal marinar-piratesco senza gli adeguamenti storici o fantastico-ironici di produzioni similari di oggi.La Davis ci mette la propria venustà e un piglio grintoso che la esalta, Modine non è proprio la migliore delle spalle per la protagonista, anche se rimane comunque decoroso, mentre Langella è un cattivo cupo adeguatamente.

martedì 18 novembre 2008

DON JUAN DE MARCO, MAESTRO D'AMORE
( Don JuanDeMarco, USA 1995)
DI JEREMY LEVEN
Con JOHNNY DEPP, MARLON BRANDO, Faye Dunaway, Géraldine Phailas.
COMMEDIA/SENTIMENTALE

E' curiosa la scelta di mettere una leggenda del cinema in una commedia sentimentale vagamente nevrotizzata di psicanalisi come questo "Don Juan De Marco": a confronto con l'allora stella non ancora consolidata Johnny Depp, il regista Jeremy Leven pose un mito dagli impegni diradati quale Marlon Brando, negli ultimi anni della carriera spesso impegnato in progetti fallaci o decisamente sballati come "L'isola perduta" di Frankenheimer o "The score" di Oz. Il film, pur leggerino, ha una sua piacevolezza che lo rende godibile, il gioco d'attori si amalgama bene tra il piazzato Marlon e il fragile Johnny, con una Faye Dunaway ancora affascinante nel ruolo della moglie dello psicanalista più anziano che si riscopre amoroso e riacceso sentimentalmente:
sul piccolo film si spalma , gradevolmente, la canzone di Bryan Adams "Have you ever really loved a woman?" che autentica questa commedia come un idoneo spettacolo da vedere in coppia.

lunedì 17 novembre 2008

SCREAM 3 ( Scream 3, USA 2000)
DI WES CRAVEN
Con NEVE CAMPBELL, DAVID ARQUETTE, COURTENEY COX, Parker Posey.
THRILLER
Atto ultimo di una trilogia che è servita molto a riportare in auge il genere slasher dopo anni di oblio e scarsa fiducia delle case produttrici nel filone, "Scream 3" non ha più la firma dello sceneggiatore dei primi due Kevin Williamson ma chiude la saga degli omicidi perpetrati da figure con la maschera del teschio deformato con una certa logica di narrazione. Certo che Craven ha fatto bene a chiudere con tono definitivo la serie con una rivelazione a sorpresa che smorza ogni attesa di una possibile prosecuzione, anche se non sono pochi i fans che hanno sperato in un numero 4. Il trio sopravvissuto alle precedenti mattanze Campbell-Arquette-Cox si ritrova anche qui alle prese con una follia delittuosa non minore dei primi due episodi, però il gioco comincia a mostrare la corda e qualche situazione ha del dejà vu,inevitabilmente. Certo non manca qualche brivido ben distribuito, il regista sa il fatto suo nelle sequenze di tensione, e il terzetto di cui prima è ormai collaudatissimo, però forse l'episodio migliore della trilogia di "Scream" è il secondo.

L'ULTIMO IMPERATORE ( The last emperor, I/GB 1987)
DI BERNARDO BERTOLUCCI
Con JOHN LONE, Joan Chen, Peter O'Toole, Ying Ruocheng.
DRAMMATICO/STORICO
Nove Oscar dopo un'autosospensione di sei anni dal cinema, un grande progetto abortito ( "Red harvest",noir con Jack Nicholson) e appena dopo il nuovo permesso di proiezione di "Ultimo tango a Parigi" sugli schermi: certo che per Bernardo Bertolucci l'exploit de "L'ultimo imperatore" fu un trionfo vero e proprio, e in molti saltarono sul carro del vincitore titolando che l'Italia era riuscita in un'impresa epica. Vero, ma, a parte che si tratta di una coproduzione italobritannica, troppo comodo per molti inneggiare al Maestro Risorto dopo che per anni Bertolucci è stato osteggiato per un film straordinario accusato di cose assurde: polemiche a parte, come spesso succede, l'Oscar per l'autore de "Il conformista" non è arrivato per il suo titolo migliore. Allestito come un'opera di altissimo artigianato, il kolossal ambientato in Cina è un affresco storico notevole, che come altre opere del regista colloca un intersecarsi di vicende di esseri umani coinvolti in trame monumentali della realtà e della Storia. Il racconto dell'imperatore Pu Yi, vittima delle regole del Potere fin da infante, ricco di una nomina fatta di nulla, strumentalizzato o dileggiato, a seconda delle classi dirigenti vigenti è ottimamente reso, e "L'ultimo imperatore" potrebbe essere il più costoso film di sentimento anarchico mai realizzato,in questo senso: però è vero che tutta la pellicola è permeata di una freddezza anomala, pur narrando una vicenda umana tragica, di un ragazzo poi uomo i cui sentimenti vengono tarpati ogni volta che iniziano a mostrarsi da chi lo controlla per giochi di casta e regime. Oggi messo un pò colpevolmente tra i grandi eventi del passato su cui ammassare la polvere della passata gloria, resta un lavoro le cui maestranze ( musiche, costumi, scenografie, montaggio e tutto quel che è tecnico) sono tra le cose più mirabili viste nel nostro cinema.

domenica 16 novembre 2008

THE ORPHANAGE ( El orfanato, ES/MEX 2007)
DI JUAN ANTONIO BAYONA
Con BELEN RUEDA, Fernando Cayo, Roger Princep, Geraldine Chaplin.
HORROR
A parte la considerazione circa la decisione della casa distributrice sulla necessità di dover per forza dare un titolo in inglese ad una pellicola di genere (sì, perchè "L'orfanatrofio"poteva risultare anche meglio) , viene da chiedersi perchè un film di buon livello come questo esordio di Juan Antonio Bayona, coprodotto tra Spagna e Messico viene presentato a più di un anno dalla sua realizzazione. In controtendenza rispetto alla nuova corrente sanguinaria del cinema dell'orrore che dopo gli exploit di Eli Roth , la saga di "Saw"e altri sembra marcare la nuova linfa vitale dei film paurosi ( anche qui ci sarebbe da discutere, un conto è spaventare, altro è far inorridire) questo "El orfanato" è un lungometraggio che vive di tensione creata su atmosfere, suoni e sensazioni. Come un amico mi ha fatto notare, sia qui che in "1408" e in "The others", del quale il film di Bayona è parente prossimo, i soggetti di questo film toccano un nervo scoperto della psiche umana, il terrore, giustificatissimo, della perdita della progenie, di qualcosa di brutto e inspiegabile, soprattutto,che può strappare un bambino ai suoi genitori. E soggetto e regia giocano principalmente su atmosfere gravide di pathos su quel che può succedere, su suoni senza spiegazione apparente, su quanto la protagonista riesca a calarsi nelle regole che gli ignoti abitanti segreti dell'orfanotrofio le pongono per lasciarla arrivare alla verità. Spesso la platea si agita e non sono pochi gli spettatori che saltano sulla poltrona per gli effetti che il film induce, però se si deve proprio essere franchi, la soluzione a cui il film approda è coerentissima con lo spunto "peterpaniano", ma è piuttosto prevedibile e ricalca troppo da vicino il finale del film con la Kidman. Detto ciò, un buon esempio di cinema sospeso tra thriller paranormale e horror d'atmosfera.

venerdì 14 novembre 2008

WALL E ( Wall E, USA 2008)
DI ANDREW STANTON
ANIMAZIONE
FANTASCIENZA


Su una Terra ormai teatro di desolazione e abbandono, circola un piccolo robot composto da cingoli da carrarmato in miniatura, un cubo che pressa i rifiuti e un binocolo per testa e occhi, che malinconicamente ogni volta che il sole si alza parte e compone strutture architettoniche di ecoballe: sul pianeta l'automa è l'unica cosa viva insieme ad uno scarafaggio amico che gli fa il solletico tra gli ingranaggi e un germoglio di pianta nato chissà come, finchè non giunge dallo spazio un'astronave immensa che lascia una simile di Wall E femmina e più moderna, che ricerca forme di vita con un cannone laser terribile in dotazione. L'ultimo lavoro Pixar è una delle cose più riuscite della casa di produzione di "Toy story": racconto di fantascienza infarcito di citazioni dei più grandi classici del genere, da "2001" ( il più presente) a "Guerre stellari" , il nuovo lavoro d'animazione che in America ha raccolto anche in proporzione molto più che da noi-segno che è un Paese in miglioramento rispetto al nostro,nuovo ottimismo e per prospettive future, visti anche i risultati delle più recenti elezioni rispettive?- è soprattutto nella prima parte, quella in cui si fa a meno del parlato lasciando spazio a immagini e suoni, un gioiellino. La seconda parte è un pò più risaputa, quella sull'astronave con umani obesi e ormai talmente disadattati da vivere su una sorta di barelle ultratecnologiche semoventi, ma i messaggi che "Wall E" rilascia sono di un'acutezza e di un richiamo a una chiarezza di metafora impressionanti: in più, nonostante al centro della storia ci siano due piccoli robot, contiene sequenze di un commovente richiamo ad un umanesimo più forte ed esclamato, e le trepidazioni del piccoletto di ferro e molle rispecchiano il segreto coraggio che serve all'inconsapevole eroe per cercare un domani che sia qualcos'altro. Di rado succede, ma "Wall E" è uno di quei film non comuni alla fine del quale si prova la sensazione di potersi aspettare qualcosa di più da se stessi e dal mondo fuori, nel senso di provare ad essere persone migliori.

mercoledì 12 novembre 2008

IN BRUGES-La coscienza dell'assassino ( In Bruges, GB/Be 2008)
DI MARTIN MCDONAGH
Con COLIN FARRELL, BRENDAN GLEESON, Ralph Fiennes, Clémence Poésy.
NOIR
Pur con qualche lungaggine e qualche ingenuità narrativa tipiche di un'opera prima, non è da perdersi questo "In Bruges", noir con tendenza al grottesco, tipo i film di Guy Ritchie, ma più interessante e meglio girato: il nuovo regista Martin McDonagh pone due killer professionisti in "penitenza" a Bruges con una segreta (ma nemmeno tanto...) motivazione finale, giocando la trama tra sinuosi sospetti e uno humour salace che non funziona sempre come desiderato, ma eleva spesso la pellicola a potenziale titolo di culto. Colin Farrell, come spesso gli accade quando non è sotto la pressione di film ad alto budget funziona bene nel ruolo dell'assassino attraversato dai sensi di colpa, Brendan Gleeson, che è un interprete notevole sempre, qui è in particolare forma nel dipingere un omicida di professione che cova una segreta gentilezza d'animo: citazione non banale di "A Venezia un dicembre rosso shocking", e un finale risolutorio e violento che forse un film americano avrebbe scansato, o non avrebbe reso così sfumato. In più, una bella scoperta: da quel che si vede, Bruges è di un fascino straordinario, da meritare di essere visitata.

NIAGARA ( Niagara , USA 1953)
DI HENRY HATAWAY
Con MARYLIN MONROE, JOSEPH COTTEN, Jean Peters, Don Wilson.
DRAMMATICO

Classicissimo del melò mischiato al noir, "Niagara" è una delle colonne su cui si fonda il mito di Marylin Monroe: di rosso conturbante vestita o tra le lenzuola pigra come una gatta, la Monroe riesce ad essere sensuale pure con un k-way giallo addosso, e oggi il film è ricordato più che altro per la carica erotica della bionda non naturale che fece impazzire l'immaginario maschile mondiale. Però, "Niagara" è anche un racconto di amore sprecato, di un avvenire tramontato presto e conti fatti con una realtà impietosa da parte di una coppia che una volta si è amata. Messa a confronto con quella unita da poco in matrimonio di Jean Peters e Don Wilson, ordinata e compunta, quella di Cotten-Monroe avviluppa l'intera storia nella propria disperazione e nel suo votarsi ad un finale inevitabilmente tragico. Hataway dirige una storia ben narrata e impregnata di colori cangianti al fosco, con una natura infine di peso nello scioglimento nella vicenda. Da riscoprire.
LA BANDA BAADER MEINHOF ( Der Baader Meinhof complex, D 2007)
DI ULI EDEL
Con MARTINA GEDECK, MORITZ BLEIBTREU, JOHANNA WOKALEK, Bruno Ganz.
DRAMMATICO

Gli "anni di piombo" sono quelli che vanno dalla fine dei Sessanta alla fine dei Settanta per molta stampa europea, e tale definizione rimanda al film più famoso di Margarethe Von Trotta, appunto ambientato in quegli anni in cui le ideologie contrapposte si scontrarono nelle strade, e in ogni ambiente pubblico: un regista spesso al centro di polemiche ( sono suoi infatti "Christiana F." e "Ultima fermata Brooklyn", esempi di cinema non proprio edificante) non particolarmente amato dalla critica, che ha scelto un argomento tuttora rovente, anche perchè tratta cose politicamente e storicamente non ancora risolte trent'anni dopo, vedi i conflitti mediorientali, le reti di terrorismo esplose oltre il controllo degli stessi fautori, l'ingerenza USA in Europa e l'uso della forza da parte della superpotenza quando si è andati contro i suoi interessi. Edel per tutta la prima parte governa bene un rapporto incalzante e ritmato sull'assemblaggio del nucleo anarchico sfociato in terroristico combinando la giornalista impegnata Baader con il rivoluzionario Meinhof, perdendo mordente in un finale in cui ci si dilunga troppo, dato che a quel punto lo spettatore ha la sensazione di situazioni che si ripetono e che oltre tutto appesantiscono la narrazione. Il film è di discreto livello, anche se non convince moltissimo Martina Gedeck nel mutevole personaggio della Baader, e per di più il film mette raramente a confronto i due personaggi principali, mostrandoli pochissimo a contatto: evitando la trappola della presa di posizione, "La banda Baader Meinhof" illustra un'era violenta in cui la Causa, da entrambi i lati del contendere, annullava ogni remora e sprigionava un furore devastatore su tutto.

martedì 11 novembre 2008

SATURN 3 ( Saturn 3, USA 1980)
DI STANLEY DONEN
Con KIRK DOUGLAS, Farrah Fawcett, Harvey Keitel, Douglas Lambert.
FANTASCIENZA

Nella fase post-"Guerre stellari" ci fu una corsa sfrenata da parte degli studios per tentare di sfruttare il nuovo momento d'oro della fantascienza, e se ci furono casi riusciti e di successo come "Alien" e "Star Trek", di più furono gli insuccessi e le cose riuscite a metà, per non parlare degli emuli più inutili ( "Battlestar Galactica", per fornire un titolo). Nel mezzo appunto diversi lavori come "Saturn 3", esempio di film avventuroso ambientato negli spazi siderali, qui per esattezza sulla terza luna di Saturno, diretto da un professionista più a proprio agio con la commedia e il giallo rosa quale Stanley Donen, una grande star in declino come Kirk Douglas, e un paio di nomi nuovi e promettenti come la bionda e bella Farrah Fawcett, e il duro Harvey Keitel: c'è un robot che si eleva a giudice e semidivinità ( come il rosso Maximillian di "The black hole") che eserciterà una forma personalizzata di giustizia, aspirando contemporaneamente ad accaparrarsi le grazie dell'attraente astronauta dai capelli chiari, con un finale che salva un pò delle aspettative deluse dei fans della fantascienza. Girato con cura, ma senz'anima e senza particolare freschezza, il film è il classico kolossal apprezzabile nella confezione, perfettamente perdibile senza drammi per il pubblico.

lunedì 10 novembre 2008

TROPIC THUNDER ( Tropic Thunder, USA 2008)
DI BEN STILLER
Con BEN STILLER, ROBERT DOWNEY Jr., JACK BLACK, Tom Cruise.
COMMEDIA/AZIONE

La carriera di regista di Ben Stiller si era interrotta più di dieci anni or sono per il disastroso risultato commerciale de "Il rompiscatole" con Jim Carrey, film non riuscito bene, ma che tuttavia abbozzava una critica non stupida e discretamente intelligente sulla televisione: oggi che è una star comica da diversi milioni di dollari, ha ripreso un progetto impolverato che probabilmente covava dai primi anni Novanta, la parodia del filone sulla guerra in Vietnam. Certo, lo spunto di "Tropic Thunder" è notevole: cinque attori di action movie spersi in una jungla, convinti di star girando un kolossal molto realista, che invece si ritrovano sotto il tiro di un esercito di narcotrafficanti asiatici veri. E la realizzazione, vistosamente ad alto budget, è concepita con i crismi di un cinema altamente spettacolare cui non viene fatto mancare niente per stupire l'occhio della platea. Solo che ciò che difetta è l'umorismo, nel senso che si ride talvolta, ma spesso sceneggiatura e film esagerano, e si fanno inutilmente pesanti e gratuiti: valga per tutte la sequenza in cui il regista fa una sparata militaresca, si volta e calpesta una mina che lo fa saltare in aria. Sulle prime viene da ridere, ma l'insistita ostentazione dello scempio che ne è stato del director, comprensivo di gioco con la testa ritenuta finta, è come un amico simpatico dopo una battuta, ma che la ripete trenta volte facendosi volgare, risultando imbarazzante. Degli attori menzione di merito perlomeno per un Downey jr. in pieno rilancio e un Tom Cruise producer truccatissimo e brutale, forse davvero da nomination per il supporting role. Capace di incassare 100 milioni di dollari in patria, "Tropic Thunder" è ben fatto, ma di qui ad apprezzarlo come nuovo cult comico ne passa...
QUINTET ( Quintet, USA 1979)
DI ROBERT ALTMAN
Con PAUL NEWMAN, Bibi Andersson, Fernando Rey, Vittorio Gassman.
FANTASCIENZA
In un futuro in cui l'Uomo, ovviamente, si è votato ad un'autodistruzione e la specie si è risolta in comunità rade e isolate, circondate da freddo, neve e ghiaccio, il Potere gioca la sua carta definitiva in un gioco impietoso chiamato Quintet, il cui premio finale è ignoto ai giocatori, ma non parteciparvi è un rischio mortale: genere atipico per Robert Altman, la fantascienza offriva nel periodo in cui "Quintet" è stato realizzato ed è uscito visioni di pessimismo puro sul futuro. In uno scenario immerso in un bianco ferale negli esterni, e in un oscuro poverismo negli interni, l'autore de "I compari" prospetta un ennesimo e irrecuperabile senso di cannibalismo della razza umana, con l'insolita, per la sua filosofia, fievole speranza di un atto di rifiuto di un ultimo ribelle delle regole di un gioco ormai inutile, valido solo per perpetuare le vestigia senza motivo di rinnovare ordini di casta e regolamentazione delle cose. Cast altisonante, che vede per la seconda volta sotto la regia altmaniana sia Newman che Gassman, con in più Fernando Rey e Bibi Andersson, per uno dei titoli meno visti e compresi del regista: non sarà tra i suoi risultati più riusciti, può darsi, ma è un esempio di sguardo per niente banale, e, casomai, può essere letto come l'estensione ad un genere non proprio di un autore quasi sempre capace di osservazioni acute ed interessanti.

giovedì 6 novembre 2008

IO VI TROVERO' ( Taken, F 2008)
DI PIERRE MOREL
Con LIAM NEESON, Famke Janssen, Katie Cassidy, Xander Berkeley.
AZIONE
Un tempo i film in cui il protagonista si armava di pistola o altro e regolava i suoi conti con il piombo o mandando al Creatore, possibilmente nel modo più violento possibile chi aveva leso o cercato di ledere la sua famiglia o altri innocenti erano interpretati da Charles Bronson, Chuck Norris o comunque altri attori che in pratica giravano solo pellicole del genere, e i soggetti glieli cucivano praticamente addosso. Fa quindi effetto assistere a Liam Neeson, di solito specializzato in cameo di lusso, o in ruoli di mentore doc ( però effettivamente, da quanto non gira un film da protagonista?) farsi largo a suon di pistolettate, usare ogni crudeltà di rimando verso chi gli ha rapito la figlia e vuole venderla sul mercato della tratta delle bianche, sparare al braccio della moglie ( inconsapevole della situazione) di un nemico, ficcare degli elettrodi nelle gambe di uno sgherro e torturarlo con l'elettricità, in sostanza un giustiziere anche peggiore degli infami e turpi individui cui dà la caccia. Anni fa la logica del vendicatore senza alcuna pietà era ristretta ad un pubblico affezionato, di nicchia ma in senso rozzo e grossolano, oggi è preoccupante che un attore altrove capace di buone interpretazioni e cinema di altro livello ceda ad interpretare un film visivamente ben curato, ma ignobile dal punto di vista etico ed ideologico: dietro l'operazione c'è Luc Besson, a testimonianza di un marcato declino di un talento, o forse della consistente sopravvalutazione passata del medesimo...

mercoledì 5 novembre 2008

BLACK CHRISTMAS- Un natale rosso sangue
( Black Christmas, CAN 1974)
DI BOB CLARK
Con Olivia Hussey, Margot Kidder, John Saxon, Keir Dullea.
THRILLER

Dai fans del genere è considerato il vero e proprio archetipo dello "slasher-movie", sottofilone del thriller sanguinario all'americana, vedi i vari "Venerdì 13" e "Halloween": rifatto negli ultimi anni, "Black Christmas" è una produzione canadese praticamente quasi del tutto girata nello stabile che ospita un dormitorio femminile per universitarie, con diverse uccisioni per mano di un maniaco che riesce ad entrarvi in prossimità del Natale. Benchè ci sia qualche punto morto, e non sempre l'obbiettivo-suspence sia centrato appieno, va detto che Bob Clark, anni dopo giunto ad un grande successo con "Porky's", non lesina qualche finezza registica e particolarità, rendendo "Black Christmas" un film pauroso non banale. Per esempio, la scelta di non fornire motivazione alcuna alle efferatezze del killer, salvo confuse divagazioni mentali in chiave sonora, e il suo folle impazzare nelle stanze vuote come un bambino pazzo, il gioco perverso delle telefonate fatte da un posto impensabile, il finale che avvia ad una chiusa senza speranza, in un silenzio mortale. Il cast annovera la futura Maria di "Gesù di Nazareth" di zeffirelliana conduzione, la Lois Lane del "Superman" che sarebbe giunto, l'astronauta di "2001" e John Saxon poliziotto inutile: raro che il film ricorra all'effettaccio, preferendo sfruttare atmosfera e assenza di luce.

martedì 4 novembre 2008

MONTECARLO GRAN CASINO' ( I, 1987)
DI CARLO VANZINA
Con MASSIMO BOLDI, CHRISTIAN DE SICA, EZIO GREGGIO, PAOLO ROSSI.
COMICO Tra i primi prototipi di panettoni in celluloide, ecco "Montecarlo Gran Casinò", che verifica la coppia Boldi-De Sica dopo il doppio abbinamento nei due "Yuppies". Ancora una volta a dirigere la banda sta Carlo Vanzina, come sempre c'è un corollario di comici e belle figliole, tra l'altro si segnala l'incongrua presenza di Paolo Rossi, recidivo qui per aver già preso parte all'ancor peggior "Via Montenapoleone" dei Vanzina's.Che dire? Che non si ride mica tanto, anche se siamo ancora a un livello non così scadente come i "Vacanze di Natale" a venire di lì a poco, che mancando la neve si imbastiscono zoppe gags su yacht e tavoli verdi da gioco.Mi pare che ci sia in mezzo anche Beruschi, se non erro...ma non siamo a "Drive in".

lunedì 3 novembre 2008

LUCKY LUCIANO ( I, 1973)
DI FRANCESCO ROSI
Con GIAN MARIA VOLONTE', Rod Steiger, Vincent Gardenia, Silverio Blasi.
DRAMMATICO

Film particolare nella filmografia di Francesco Rosi, visto che comporta una diversificazione, pur non radicale, nel suo modo di fare cinema: il taglio da inchiesta, o se si vuole l'apparente scarna riproposizione dei fatti senza un tradizionale iter drammaturgico, qui varia riferendosi al gangster movie, ovviamente conciliante con il proprio stile. La storia di Salvatore Lucania, detto "Lucky Luciano", boss affermatosi con metodica sanguinarietà negli Usa, dal 1931 in poi, e successivamente rispedito a Napoli dove mantenne un basso profilo, pur essendo tenuto sott'occhio dagli investigatori e considerato la mente dell'esplosione del traffico di droga tra gli oceani. Impostato con freddezza di ricostruzione, "Lucky Luciano" è un buon film, che senza enfatizzare le azioni dei malavitosi, come è sempre stato il rischio del cinema quando mette al centro delle storie dei mafiosi: presentato da Gian Maria Volontè con una cura millesimale nel definire un introverso attento alle relazioni interpersonali, il personaggio principale emerge come una mente fina e infida, e Rosi concede il meno possibile alla spettacolarizzazione della violenza. Sempre un modo interessante di raccontare certe tragiche realtà.

sabato 1 novembre 2008

ARRIVA LA BUFERA ( I, 1993)
DI DANIELE LUCHETTI
Con DIEGO ABATANTUONO, SILVIO ORLANDO, MARGHERITA BUY, Marina Confalone.
COMMEDIA Va ammesso che certe scene riscuotono il sorriso con la cinica precisione della satira grottesca, e momenti come quello in cui il giudice interpretato da Abatantuono che sventola un mandato davanti a un Silvio Orlando con la patetica pignoleria di chi si arrampica sugli specchi, raggiungono l'obbiettivo-ilarità.Ma c'è una ricerca di un sibolismo metaforico francamente un pò astrusa.Peccato che Luchetti, comunque autore di un discreto film abbia ceduto ad un eccesso di fervore registico, nel voler complicare una sceneggiatura che ha il suo punto di forza nella conduzione dei dialoghi tra uno stranito Diego Abatantuono, di musurata pacatezza, veramente molto bravo ed esprimere una comprensibilissima perplessità, l'effervescente Margherita Buy e il ciarliero Silvio Orlando.Meno risolto de "Il portaborse", è forte di un cast omogeneo, dove spicca una bravissima Marina Confalone, buffa versione sicula delle dark ladies chandleriane.
INSTINCT ( Instinct, USA 1999)
DI JOHN TURTELTAUB
Con CUBA GOODING Jr., ANTHONY HOPKINS, Maura Tierney, Donald
Sutherland.
DRAMMATICO Diretto da John Turteltaub, ben visto dalle majors dopo aver piazzato due o tre titoli sopra i 100 milioni di dollari d'incasso,"Instinct" è un film che vuole mettere troppa carne al fuoco, ci sono tracce di "Gorilla nella nebbia", spruzzate del "Silenzio degli innocenti", e persino un'atmosfera da "Fuga da Alcatraz".Qualche tempo morto, e un ricorso abbastanza fuori luogo a un happy end all'americana, in cui il dottore ritenuto folle riesce a scappare e a rifugiarsi tra i primati(e chissà come fa a giungere in Africa senza cambiarsi d'abito e in salute, scampando a ovvi controlli).Però l'intento naturalista sembra sincero, gli attori si prestano bene, soprattutto Hopkins a prestare le giuste sfumature ad un personaggio anarcoide, inquietante e umanissimo nell'esporre la propria etica:pur con qualche passaggio sommario le scene tra i gorilla sono girate con sensibilità e buona mano.Non è una novità, ma una voce in più ad ammettere l'avidità e la ferocia dell'Uomo sulle altre specie e sui propri simili non guasta.
LA NOTTE NON ASPETTA ( The street kings, USA 2008)
DI DAVID AYER
Con KEANU REEVES, Forrest Whitaker, Hugh Laurie, Chris Evans.
POLIZIESCO

Guerra nelle strade di Los Angeles tra poliziotti e malviventi, ma non è che tra piedipiatti sia meno violento lo scontro: l'agente Ludlow, fresco vedovo e attaccato alla bottiglia, si ritrova male nella vischiosa rete di compromessi e affari loschi fiorente all'interno del dipartimento, e quando viene coinvolto nel falso omicidio casuale durante una rapina di un mastino degli Affari Interni che gli sta addosso i guai arriveranno, e comincia una sfida mortale in cui emergerà che nessuno è pulito. C'è la mano di James Ellroy tra gli sceneggiatori, e si sente per il clima di sfiducia nelle istituzioni di giustizia, e ancor più negli uomini: stroncato praticamente da tutta la stampa di settore, "La notte non aspetta" è un poliziesco ordinario, semmai un pò banale nelle conclusioni e discretamente improbabile nel modo di giungere al finale di un protagonista più volte ridotto in condizione d'impotenza e poi invece giustiziere spietato. Cast al di sotto delle proprie possibilità, ma a qualche appassionato del genere il film può non dispiacere.
L'ORA DI RELIGIONE ( Il sorriso di mia madre) ( I, 2002)
DI MARCO BELLOCCHIO
Con SERGIO CASTELLITTO, Jacqueline Lustig, Gigio Alberti, Chiara Conti.
DRAMMATICO

Che colpo di reni, Bellocchio! Quando oramai il cinema del regista piacentino sembrava aver consumato i suoi giorni migliori, e molta critica parlava dei suoi lavori più recenti con la deferenza vagamente pregiudiziale di un modo di fare film per pochi, troppo cerebrali o impregnati di intellettualismo obsoleto, ecco una sferzata impressionante, un trattato morale densissimo, che resta nel tempo e costringe lo spettatore ad una serissima riflessione sul senso (anche) della propria epoca e del suo essere dentro o fuori dalle cose. Il protagonista è un Sergio Castellitto di straordinaria bravura nell'impersonare un imperfetto di impagabile coerenza, la sua lotta con se stesso e con una realtà di convenienze, l'ingerenza di nuovi e antichi dogmatismi, vaticani e non solo, nella vita reale cui basterebbero pochi gesti di convinta semplicità per ridefinirla libera, l'accondiscendenza generale che tutto opprime e tutto regola: e un personaggio grottesco benchè non stupido come il conte Bulla (Toni Bertorelli, al solito ottimo) che probabilmente rappresenta una minaccia, ma pure ciò che obbliga a scrollarsi da una devastante ripulsa per combattere l'indolenza mentale e morale che grava su una società troppo disposta ad accettare ciò che viene dall'alto. Le due bestemmie gridate piangendo dal fratello folle ed assassino, che fecero discutere
velenosamente sono funzionali alla potenza dell'immediatamente successiva immagine dell'abbraccio, disperato perdono mai cercato prima: un film che non può lasciare indifferenti.