mercoledì 31 marzo 2010

LEGION (Legion, USA 2010)
DI SCOTT STEWART
Con DENNIS QUAID, PAUL BETTANY, ADRIANNE PALICKI, Tyrese Gibson.
HORROR
Horror d'azione con forti sottrazioni allo Stephen King di "Desperation", al Romero de "La notte dei morti viventi",al Cameron di "Terminator" e quanti altri titoli venuti prima di questo esordio da regista di Scott Stewart, "Legion" ipotizza un'invasione apocalittica degli angeli che possiedono proprio come di solito si è attribuito ai demoni gli esseri umani, e in una sperduta tavola calda in una zona desertica in cui un gruppo di estranei viene assediato da segnali dell'ira divina, e successivamente si ritrovano a dover difendere il bimbo appena nato della cameriera del locale, individuato come nuovo salvatore dell'umanità, coadiuvati dall'arcangelo Michele in persona. Fin qui, tutto sommato, niente di nuovo, ma in un'ottica da b-movie ancora siamo ad un livello accettabile, nonostante gli evidenti furtarelli da classici di fantascienza e terrore:la cosa diviene ridicola quando, mentre procede l'inevitabile falcidia del nucleo di casuali alleati, è evidente l'ottusità tipica di una tendenza neocon, che sa rispondere a ciò che la spaventa, o al limite non capisce, solo con il linguaggio dei proiettili e delle armi. Che senso ha combattere un'entità con le armi da fuoco,come capitava allo Schwarzenegger di "Giorni contati"?Per non parlare della cialtroneria di certe sviste della sceneggiatura,come la sequenza dell'automobile in fuga che si riempie di milioni di mosche inviate dagli angeli ostili senza praticamente alcun rischio nè di incidente nè altro significato che quello della scena fine a se stessa, ma senza peso narrativo. Mettiamoci un'altra marchetta di Dennis Quaid,sempre meno propenso a trattarsi da buon attore qual'è, e la delusione di vedere un interprete che prometteva bene come Paul Bettany dibattersi in un ruolo di angelico ammazzatutti, e siamo a posto. Tra l'altro, la trama sembra riferirsi anche ad un vecchio e dimenticato film di Michael Winner, "Sentinel", ribaltando il nemico dal Diavolo all'Arcangelo Gabriele, e si è detto davvero tutto di un film fastidiosamente rumoroso e sonoramente sconclusionato.

MONSIEUR VERDOUX ( Monsieur Verdoux, USA 1947)
DI CHARLES CHAPLIN
Con CHARLES CHAPLIN, Martha Raye,Isobel Elson, Marilyn Nash.
COMMEDIA/DRAMMATICO

A guerra appena finita, un apologo acuto che tratta di una vicenda di cronaca nera, sebbene con forte impronta umoristica, ma anche un deciso attacco ad ogni belligeranza che nella base ha una profonda inumanità. Doveva essere un film di Orson Welles, che compare citato come autore del soggetto, e lo ha invece diretto ed interpretato un Charlie Chaplin già incanutito, che si conferma sia un intelligentissimo autore ed anche un grande constatatore della condizione umana, nonchè un umanista profondo. L'ex bancario Verdoux, per scampare all'indigenza, si propone come pretendente di signore sole e facoltose, per poi, come Landru, eliminarle e destinare gli averi delle defunte alla propria famiglia:seguiamo il suo percorso delittuoso ed insieme, malgrado tutto, non privo di cose divertenti, tramite un incontro rinnovato nel tempo con una ragazza che gli dimostra gentilezza quando egli è ridotto sul lastrico. Il gesto solidale in un momento gravissimo viene ricordato da Verdoux come un appiglio di nobiltà d'animo indimenticabile, da tenere sempre a mente nonostante tutto:e l'arringa finale sotto processo del protagonista, con il confronto tra i suoi delitti e quelli delle potenze, ree di mandare a morte schiere di esseri umani per espandersi o mantenere gli equilibri, è di quelli che restano nella mente dello spettatore. Senza dimenticare la sequenza del ricevimento, esilarante, come tanto cinema di quest'uomo,uno dei massimi poeti della settima arte.

lunedì 29 marzo 2010

ALBA ROSSA ( Red dawn, USA 1984)
DI JOHN MILIUS
Con PATRICK SWAYZE, CHARLIE SHEEN, JENNIFER GREY, LEA THOMPSON.
AVVENTURA/GUERRA
Se un film di Norman Jewison si intitolava "Arrivano i russi!Arrivano i russi!", in questo di John Milius sono già arrivati, accompagnati da cubani e nicaraguensi e hanno fatto terra bruciata di buona parte degli States, invadendo e uccidendo sommariamente schiere di americani catturati e massacrati;scritto dal regista assieme a Kevin Reynolds (sì, quello di "Fandango" e "Waterworld"), "Alba rossa" immagina un'invasione a tappeto degli Stati Uniti in quattro e quattr'otto, con la colpevole neutralità dell'Europa, salvo i cugini britannici, e una resistenza partigiana formata da un gruppo di giovanissimi che riescono a contrastare aspramente i malvagi rossi che senza alcun rispetto per un qualsiasi codice di guerra uccidono e umiliano i coraggiosi figli d'America. Se da una parte il film sembra pensato da due ragazzini venuti su in una famiglia di ultraconservatori incattiviti, anche per la faciloneria risibile con cui è descritta la lotta contro gli invasori, e sono caratterizzati gli stessi, è pur vero che è rintracciabile a tratti una mano registica di valore, anche solo per la qualità delle riprese, inimmaginabili in altri prodotti del genere,come "Rambo 2" e "Missing in action". Si dirà che Milius vale dieci volte Cosmatos e Zito messi assieme, ma è difficile non prenderla sul ridere assistendo alla realizzazione di un copione demenziale,seppur messo assieme con una fervida convinzione patriottica, e contemporaneamente notare come certi movimenti della macchina da presa non siano certo da definire dozzinali. E comunque si parla di un film concepito,realizzato ed uscito in piena era reaganiana, un quarto di secolo fa:oggi alla pericolosità stratosferica del comunismo in potenziale agguato ci crede,a parole,solo Berlusconi...

CUL-DE-SAC ( Cul-de-sac, GB 1966)
DI ROMAN POLANSKI
Con DONALD PLEASENCE, LIONEL STANDER, FRANCOISE DORLEAC, Jack McGowran.
GROTTESCO
Orso d'Oro a Berlino, "Cul-de-sac" giunse dopo l'affermazione soprattutto critica di "Repulsion", un horror modernissimo e a tutt'oggi uno dei più riusciti film sulla paranoia:molto meno diffuso e conosciuto oggi di altri classici polanskiani,quali ad esempio "Per favore non mordermi...", "Chinatown", "Rosemary's baby", è un lungometraggio a forte impronta grottesca, in cui un'unità di luogo come il maniero abitato da una coppia non molto normale, formata dall'ex abbiente Donald Pleasence e dalla fascinosa non fedele Francoise Dorleac, ospita un gioco dei ruoli a tratti surreale, e virante verso il dramma finale dopo l'arrivo del gangster male in arnese Lionel Stander. L'autore, come riconosciuto da molti spettatori, estrapola da Beckett e Ionesco l'assurdità delle situazioni, imbastendo un gioco al massacro che riguarda sia la coppia messa insieme quasi per sbaglio, che l'ospite indesiderato, in attesa di chi lo dovrebbe venire a prendere ed invece scivolato in quello che appunto è un "cul de sac", una trappola,benchè maestosa come il castello in cui la storia si svolge:e le scene in cui è manifesto lo humour marcato di slavo del regista,come quell'automobile con il bandito ferito che non può muoversi mentre monta la marea intorno, quegli ospiti di riguardo trattati a pesci in faccia, sono le migliori di una pellicola interessante nel percorso dell'autore franco-polacco,ma che non è tra le cose più belle da lui girate. Benchè spesso ispirato, la giravolta drammatica del finale smorza gli entusiasmi circa la cifra raggiunta di nonsense:ottimi gli interpreti, sia il petulante Pleasence, che la selvatica Dorleac, sorella della più celebre Catherine Deneuve, scomparsa purtroppo ancor giovane in un incidente automobilistico, fino al burbero gaglioffo di Stander, tutti stanno al gioco del regista con la disponibilità tipica degli attori di razza.

domenica 28 marzo 2010

FUORI CONTROLLO (Edge of darkness, USA 2009)
DI MARTIN CAMPBELL
Con MEL GIBSON, Ray Winstone, Danny Huston, Jay O.Sanders.
THRILLER
Otto anni senza comparire sullo schermo, seppur contrassegnati da due regie che molto hanno fatto discutere, e pure hanno realizzato grandi incassi per una star come Mel Gibson sono un'era vera e propria:non ci si stupisca se il suo ritorno come protagonista di un film non abbia sbancato, anche per la lavorazione difficoltosa della stessa pellicola, tra un cambio in corsa di un attore in un ruolo importante (Ray Winstone per Robert DeNiro,mica discorsi...) ed un'uscita a lungo rimandata. "Edge of darkness", titolo assai più affascinante del criptico italiano "Fuori controllo" è più un thriller che un film d'azione:ed è facile prevedere stroncature da parte dei recensori per un film in cui regna un'anarchia inguaribile verso Sistema e Politica , in cui è bandito quasi ogni personaggio femminile salvo due vittime sacrificali, e a grandi linee la differenza tra buoni e cattivi è che i primi con il dito sul grilletto chiedono agli altri se lasciano orfani.Però. Però è vero che la pellicola è tendenzialmente rozza nel suo anarchismo maschio e pessimista, che alcuni passaggi di sceneggiatura sono confusi o difficili da definire verosimili (Gibson che fa un pò troppi danni in libertà, una macchina che arriva a velocità pazzesca addosso ad una vittima senza farsi preannunciare da alcun rumore):ma porta dentro di sè immagini potenti, che non lasciano indifferenti, come la vendetta finale del protagonista che arranca come uno zombie,lasciando a terra senza vita coloro che hanno rovinato la sua esistenza, e la scena in cui gli viene uccisa la figlia, in un'accelerazione drammatica incalzante. Mel Gibson, il volto segnato da rughe barbare, interpreta un personaggio che sa di aver perso ma si avvia nella propria corsa all'inferno con l'intento di trascinare con sè il maggior numero di nemici, e l'interpretazione piana, laconica di Ray Winstone, battezzata come svogliata da qualche critico un pò frettoloso, considerando lo sviluppo del personaggio, è coerente con la flemma striata di latente ferocia di uno che per una volta vuole giocare contro il mondo di cannibali da cui proviene. Forse un filmaccio, ma con qualcosa di genuino al proprio interno.

sabato 27 marzo 2010

E' COMPLICATO ( It's complicated, USA 2009)
DI NANCY MEYERS
Con MERYL STREEP, Alec Baldwin, Steve Martin, Hunter Parrish.
COMMEDIA
Triangolo sentimentale tra "over 50", non una novità al cinema, tra una donna ancora affascinante, l'ex-marito sposato con una molto più giovane e un nuovo uomo conosciuto da poco:se la materia non è appunto un guizzo d'originalità, e tutto sommato il film procede per ogni china intrapresa con un buon tasso di prevedibilità,finale compreso, quello che c'è di interessante è il lavoro degli attori e la presentazione dei personaggi. Se la protagonista Meryl Streep è una donna professionalmente realizzata, benestante, divorziata con ricca prole ma malinconicamente sola e apparentemente decisa a non arrischiarsi in nuove relazioni, l'ex-marito Alec Baldwin non si sente a suo agio con la seconda e bella moglie che lo pressa per avere un figlio da lui, e complice la laurea di uno dei loro figli, i coniugi divorziati si ritrovano a bere insieme, divertirsi e ballare finchè non si ritrovano nello stesso letto: nell'insolita situazione subentra l'architetto che sta progettando la ristrutturazione della casa di lei, divorziato da un pò, ma ancora incapace di metabolizzare la fine del proprio matrimonio. Il confronto tra il maschio tendente a prevaricare, eppure simpatico, meno maturo di quanto l'età dovrebbe consentire, e quello più fragile, ironico, discreto, mette la signora in confusione e rende tutto più difficile:un'analisi onesta delle cose porterà a farle decidere cosa scegliere per sè. Solitamente brava,sia nelle incertezze che nell'ostentazione di una femminilità molto viva, la Streep, un pò sacrificato Martin in un ruolo un pò circoscritto dal copione, e Baldwin smentisce se stesso, che in un'intervista recente confessava di non sentirsi un buon interprete, spaziando dallo smargiasso al seducente,con il meglio quando si mostra più debole del previsto.

mercoledì 24 marzo 2010

L'AMARO SAPORE DEL POTERE (The best man, USA 1964)
DI FRANKLIN J.SCHAFFNER
Con HENRY FONDA, CLIFF ROBERTSON, Lee Tracy, Edie Adams.
DRAMMATICO
Sceneggiato da Gore Vidal, che nell'analisi della scena politica americana romanzandola è stato un campione, "L'amaro sapore del potere" si inserisce a pieno titolo nella grande tradizione del cinema di impegno civile. Secondo lungometraggio per Franklin J.Schaffner, che trovò ampio successo anni dopo a partire da "Il pianeta delle scimmie", con un Oscar vinto per "Patton", il film mescola una critica acuta ad un sistema tendenzialmente corruttibile come quello politico ad un'analisi dei meccanismi che portano i candidati alla presidenza a essere presentati al popolo e alle sfide interne per le lotte di potere e potenziale affermazione, senza dimenticare un elogio dell'onestà e del dovere di scavalcare convenienze e accordi che tradiscono la fiducia degli elettori. Henry Fonda e Cliff Robertson si affrontano,l'uno rappresentante una coscienza ed un'etica che il Potere tende a voler soffocare per poter vivere meglio, l'altro uomo di facciata fondamentalmente marcio e privo di scrupoli: "Lei non ha rispetto per il prossimo: in un uomo è una tragedia,in un presidente un disastro." Ricco di dialoghi ficcanti e sciolti, "The best man" trova un altro ottimo interprete come Lee Tracy nel ruolo del presidente uscente, misto di durezza ,cinismo, e senso pratico:uno dei migliori lavori di un regista capace ma discontinuo.

lunedì 22 marzo 2010

SIERRA CHARRIBA ( Major Dundee, USA 1964)
DI SAM PECKINPAH
Con CHARLTON HESTON, RICHARD HARRIS, Senta Berger, James Coburn.
WESTERN

Uno dei cinemassacri, come anche "Il disprezzo" di Godard, più celebri della storia del cinema. E, visto che si parla di un film di Peckinpah, non si discute di quello che vediamo sullo schermo, ma di quello che ne è restato fuori: maltrattato da produttori, distribuzione americana e italiana, gira oggi in più versioni, perchè molto minutaggio è stato strappato via, dieci minuti qua, otto di là, peggiorando di fatto la fruizione del racconto e dell'intero film. Oltre tutto, quello che ne rimane è un western notevole,denso di sfide, rapporti di odio e amicizia intensissimi, in un'ottica volta al buio della sfiducia nel comportamento umano: se il protagonista, il maggiore Dundee, è un uomo fondamentalmente vile, i cui piani escogitati non troveranno la via dell'affermazione, e coraggiosa è la scelta di un american hero per eccellenza nell'interpretare un ruolo così venato di negatività e debolezze, le simpatie di regista e pubblico vanno piuttosto al perdente di classe Richard Harris, che in una perfetta parabola peckinpahiana, odia l'ex-amico Dundee quanto gli è affezionato e, sebbene debba prestare aiuto,lui sottufficiale sudista, a un plotone malmesso di nordisti. Le troppe ellissi narrative che soprattutto nella seconda parte evidenziano i rimaneggiamenti e i colpi di cesoia allo scorrere del racconto condizionano il giudizio sul film, che rimane comunque un classico maledetto e pieno di pagine di grande cinema:i difficili rapporti di Peckinpah con produttori e collaboratori vari sottolineano comunque la forza di un non allineato,che al terzo film già girava con forza e epica dell'immagine rare da trovare in giro.
GENITORI E FIGLI:AGITARE BENE PRIMA DELL'USO ( I,2010)
DI GIOVANNI VERONESI
Con SILVIO ORLANDO, LUCIANA LITTIZZETTO, Michele Placido, Margherita Buy.
COMMEDIA Se otto milioni di euro incassati sembran pochi, agli studiosi di settore cercare di capire come negli ultimi anni la formula dei vari nomi messi insieme in un film a episodi su un certo tema e risolto in chiave di commedia con l'occhio al fenomeno di costume e alla registrazione dei mutamenti sociali abbia funzionato, da un punto di vista commerciale, alla grande: Giovanni Veronesi, da "Manuale d'amore" in poi ha sempre azzeccato i gusti del grande pubblico, che lo ha premiato con alte postazioni nella graduatoria stagionale dei maggiori incassi. Però, se qualcuno dei titoli precedenti aveva funzionato, entro certi limiti, questo "Genitori e figli..." è uno dei suoi lavori meno ispirati e divertenti. A fronte di genitori che fanno i moderni oppure predicano bene e poi razzolano incertamente, le nuove generazioni vivono per registrare qualcosa da mandare su Youtube, si approcciano al sesso come un rituale da superare, e viaggiano su una sostanziale aggressività per farsi largo nelle esperienze sentimentali. Nonostante qualche sporadica nota e osservazione su ciò che ci circonda sia ben resa, il film non suscita gran simpatia, anche se di attori bravi certo non manca: è che siamo in una superficialissima e pretenziosa, seppur dichiaratamente leggera, lettura dei tempi che non va mai a fondo di ciò che solleva, non suscita nello spettatore moti di riflessione e a dirla tutta annoia spesso, perdendosi in dialoghi che perlopiù girano a vuoto. Il pubblico versa il prezzo del biglietto, ma ci sarebbe da chiedere quanti che abbiano visto il film si sentano convinti di consigliarlo, perchè si sono davvero divertiti o ci hanno trovato cose che rispecchiano le proprie esperienze di figli, o genitori.

sabato 20 marzo 2010

I SETTE SAMURAI ( Shichi-nin no Samurai, NP 1954)
DI AKIRA KUROSAWA
Con TAKASHI SHIMURA, TOSHIRO MIFUNE, Yoshio Inaba, Seiji Miyaguchi.
AVVENTURA

Quanto cinema, e quante inquadrature sono scaturite da questo lungometraggio, oltre ai due remakes riconosciuti e prodotti ad Hollywood: l'impaginazione delle immagini, di una ricerca estetica impressionante, colpisce a fondo a tutt'oggi. Kurosawa crea un classicissimo che potrebbe essere il film che non ti aspetti, perchè vi sono sia l'ironia che modera l'enfasi della messa in scena, e un senso tragico della sostanziale caducità dell'avventura, che porta l'Uomo ad una delle sue massime aspirazioni ed estensioni, ma che, destinata a finire, rende la normalità meno accettabile e difficile da affrontare. I samurai coinvolti nella difesa del villaggio di contadini dai predoni, sono consapevoli della diversità sia di prospettive che di responsabilità presenti e future da coloro che difendono, e che questo è determinato dalla storia passata delle loro relazioni, colpevoli di aver consolidato la diversità e a tratti una differenziazione sociale che rasenta l'inimicizia:tuttavia, sia il senso del dovere e l'etica del servizio a tutti i costi che è una delle basi della natura della loro casta, li porterà sia ad affrontare ogni scontro che li falcidii, sia alle considerazioni finali,con un senso di sconfitta,nonostante tutto, crepuscolare che rifinisce un film di una modernità ragguardevole. Unica pecca il doppiaggio dell'edizione in vhs, che raffredda un pò l'atmosfera,ma sono particolari.
L'ACCHIAPPASOGNI ( Dreamcatcher, USA 2003)
DI LAWRENCE KASDAN
Con THOMAS JANE, DAMIAN LEWIS, Morgan Freeman, Jason Lee.
FANTASCIENZA/HORROR
Leggendo "L'acchiappasogni", notai che il tema di un'amicizia eterna tra cinque giovani uomini cresciuti insieme straziata da eventi fantastici,forse simboleggianti i traumi e i dolori della vita adulta, si percepiva, ed era anche toccante:peccato,era la considerazione appena successiva,che spesso il racconto si facesse effettistico, grottesco (i sintomi della contaminazione aliena, che richiamano le prodezze de "Il petomane"), forzato. Il film trattone, che porta una firma d'autore (non troppo considerato tale,ma lo è) come quella di Lawrence Kasdan, non si può dire riuscitissimo, ma traduce in immagini alcune parti oggettivamente difficili da trasporre sullo schermo (tutta la parte della lotta mentale contro l'invasore alieno da parte di Jonesy, ha un cast di prima categoria, e qualche scena sospesa tra l'orripilante e l'assurdo resa con la dovuta atmosfera. Certo, siamo appunto alle prese non con uno dei migliori testi di Stephen King, spesso troppo dilungato e probabilmente non con abbastanza fiato per reggere la dimensione di romanzo:la citazione da "Apocalypse now" rimane,con il comandante ossessionato e folle Curtis di Morgan Freeman che rimanda al Brando fanatico eppur in qualche modo custode di alcune verità orrende, a livello filosofico. Non così brutto come spesso è stato etichettato dai recensori, certo non il vertice dell'opera kasdaniana, ma per un intrattenimento un pò prevedibile e tecnicamente valido può risultare bene,anche se le lamprede aliene non sono il massimo degli effetti speciali concepibili nei primi anni Duemila.

NAPOLI VIOLENTA (I, 1976)
DI UMBERTO LENZI
Con MAURIZIO MERLI, John Saxon, Barry Sullivan, Elio Zamuto.
AZIONE Figuriamoci se nella raccolta delle grandi città italiane usate come sfondo per il poliziottesco, dopo Milano,Torino,Roma, Bologna,Palermo, poteva mancare Napoli (Venezia e Firenze ispiravano più i thriller o i film a tinte horror...)? Torna sulle scene il commissario Betti, alias Maurizio Merli, con tanto di baffo scuro e ciuffo biondo, giacca a quadretti e maglia a collo alto sotto, pronto a menar sganassoni e pistolettate proibite alla massa di malviventi particolarmente efferati che tormentano la popolazione, con tanto di particolari macabri in primo piano (vedi le bruttissime fini di una poverina sequestrata su un treno e quella di un collaboratore del commissario, massacrato con una palla da bowling):la regia,non nuova alla ricerca dell'effetto-shock, è quella di Umberto Lenzi, che mestiere ne ha sempre avuto ma putroppo,come ben risaputo,non ha disdegnato nessuna mossa per scuotere gli spettatori( la serie dei cannibali,con le uccisioni vere di animali,che cosa assurda...). La cosa curiosa è che nonostante il gran agitarsi di Betti, la mala riesce sempre a perpetrare le nefandezze più triste, quasi a sottolineare che l'inevitabile sporcarsi le mani oltrepassando la legge sia l'unica risposta da dare alla delinquenza:le scene d'azione non sono affatto male, ma la sceneggiatura va avanti a balzelli, preoccupandosi più che altro di strapazzare il pubblico,fino a giungere ad un finale in cui il protagonista rischia di alzare le mani dinanzi a tanta degenerazione e crudeltà. Salvo cambiare idea nell'ultimissima sequenza, incrociando gli occhi di un bambino, e continuando la battaglia.

mercoledì 17 marzo 2010

LEGEND (Legend, GB 1985)
DI RIDLEY SCOTT
Con TOM CRUISE,MIA SARA, Tim Curry, Alice Playten.
FANTASY
Primo vero e proprio tonfo della carriera di Ridley Scott, incursione netta nel fantasy e colosso prodotto a Pinewood, Inghilterra, dopo che "Blade Runner" era già stato investito dello status di cult-movie:Tom Cruise non aveva ancora sfondato con "Top Gun",di un anno successivo, Mia Sara alla fine non è divenuta una star, e l'ambiguo Tim Curry nella rossa pelle di un diavolone che rappresenta la Tenebra assoluta non dà nè carisma nè mefitica personalità alla creatura maligna che vorrebbe spazzare via la purezza dal mondo descritto inizialmente come un bucolico paradiso in cui una coppia di unicorni bianchi simboleggia il Bene assoluto. Troppo dalla parte paurosa delle fiabe per poter piacere ai bambini, troppo inciampante in lazzi rumorosi e vocine e vociaccie per non stuccare il pubblico adulto, azzarda visivamente tra buio e luci sofisticate eppure non dà epica nè aria al racconto, come se Scott avesse in mente di stupire e reinterpretare un canovaccio classico del fantastico, ma si fosse impelagato in situazioni già viste e avesse corteggiato troppo gli spettatori giovanissimi, con strizzate d'occhio troppo insistite per non stancare. Frenò non poco la carriera del suo autore,che riprese solo dopo un film di transizione come "Chi protegge il testimone" e si rilanciò con il noir a tutte luci "Black rain".

I GUERRIERI (Kelly's heroes, USA 1970)
DI BRIAN G.HUTTON
Con CLINT EASTWOOD,TELLY SAVALAS, Donald Sutherland, Don Rickles.
GUERRA

Accompagnato sia sui titoli di testa che su quelli di coda dallo scanzonato tema "Burning bridges",di un complesso denominato The Mike Curb Congregation, ecco un film di guerra sui generis, sospeso tra il piglio picaresco alla Sergio Leone de "Il buono,il brutto, il cattivo" (ampiamente citato sia nelle musiche che verso il finale) e l'avventurona collettiva in stile "La grande fuga", diretto dal Brian G.Hutton che tre anni prima aveva ottenuto un ottimo successo con "Dove osano le aquile":c'è ancora Clint Eastwood, che funge da catalizzatore e torna protagonista nella seconda parte, si aggiungono vari caratteristi, e spiccano il duro Telly Savalas e il pazzoide che conduce un tank Donald Sutherland. Già dall'avvio è evidente che il film non disdegna toni da commedia,soprattutto nella caratterizzazione del generale in vestaglia rosso scuro con tanto di stellette anche in veste da camera: lascia un pò perplessi il fatto che in piena guerra del Vietnam i tedeschi siano praticamente birilli da abbattere, incapaci di contrattattaccare il plotone di soldati che va a caccia di un ingente carico d'oro in Francia, prima che venga trasferito in Germania, però è nel solco di molto cinema bellico USA grossolano e senza complicazioni etiche,senza offrire al nemico alcuna potenziale caratterizzazione psicologica o etica. Tutto sommato divertente, anche se i commenti entusiastici di molti che lo hanno amato e lo considerano tra i film di guerra migliori che siano stati realizzati sembrano proprio esagerati.

martedì 16 marzo 2010

FULL MONTY-Squattrinati organizzati (The Full Monty, GB 1997)
DI PETER CATTANEO
Con ROBERT CARLYLE, Mark Addy, Tom Wilkinson, Paul Barber.
COMMEDIA
E' uno dei film inglesi di maggior successo internazionale di sempre, e, sebbene interpretato da facce perlopiù sconosciute all'epoca, e diretto da un regista esordiente (che comunque non ha mai ripetuto exploit simili), scatenò un caso fatto di articoli giornalistici ed editoriali su un fatto, in un'era in cui si dibatteva moltissimo negli spazi culturali di quotidiani e riviste, la guerra dei sessi, con quello femminile in largo vantaggio su quello maschile. Ed in effetti, in una commedia intinta dell'amarognolo dell'attualità, ciò che maggiormente si evince dal racconto è una crisi del Maschio, che può risolversi solo rimettendosi in gioco, magari con l'ironia, magari smettendo di avere paura dei propri limiti, perchè in fondo le Donne sono più intelligenti, disponibili a accettare e a sostenere gli uomini,nonostante tutto. Imbastito su un buon cast corale, dal quale spiccano lo smilzo Robert Carlyle, il compunto Tom Wilkinson e il robusto Mark Addy, il film fila via spedito,simpatico, con qualche venatura drammatica (si parla anche di disoccupazione e mesi duri da sfangare con pochi soldi in tasca) e citazioni pure da "Flashdance", con la scena più bella, e ricordata, del gruppetto di protagonisti in fila per riscuotere il sussidio di disoccupazione che non riescono a resistere,ognuno a suo modo, ad accennare passi di danza.Se qualcuno diceva balliamo sul mondo, un motivo ci sarà stato....

domenica 14 marzo 2010

PINK FLOYD-THE WALL ( Pink Floyd-The wall, GB 1982)
DI ALAN PARKER
Con BOB GELDOF, Christine Heargraves, James Laurenson, Bob Hoskins.
MUSICALE

Da uno degli album più leggendari della storia della musica leggera, e del rock 'n'roll, "The Wall",un film che all'epoca della sua uscita, e negli anni che vennero dopo, divenne un cult tra i giovani che, ad esempio qui a Firenze, tornavano spesso a vederlo al leggendario "Universale",che proiettava durante la settimana titoli amati e richiesti dagli spettatori :affidato ad un regista britannico che aveva realizzato due film molto apprezzati dai giovani come "Fuga di mezzanotte" e "Saranno famosi", un lungometraggio musicale che presenta le canzoni contenute nell'Lp come traccia portante ,commento e nel nascente stile da videoclip (ma non sembra che le immagini si amalghimino sempre bene alla musica) narra una storia di crisi personale attraverso brani intramontabili come "Hey you", "Another Brick in the wall" e "Confortably numb". La scena in cui, in un delirio completo, il protagonista sogna l'escalation di un regime nazistoide in terra d'Albione come conseguenza di traumi personali e collettivi e di un'educazione repressiva è quella migliore della pellicola. Ma lo spessore tragico, l'epica rock, la magnificenza di quella musica così profonda, intensa e portatrice di emozioni tali da segnare più generazioni non trovano sullo schermo adeguata compensazione, in una tendenzialmente fredda e cerebrale impaginazione senza troppa anima.
CRAZY HEART ( Crazy heart, USA 2009)
DI SCOTT COOPER
Con JEFF BRIDGES, Maggie Gyllenhaal, Colin Farrell, Robert Duvall.
DRAMMATICO

Se l'anno scorso Mickey Rourke era arrivato ad un soffio dal vincere l'Oscar con l'interpretazione-confessione di "The wrestler", Jeff Bridges ci è riuscito dopo quarant'anni di carriera nel ruolo di un altro "dropout", un cantante country una volta di un certo successo ormai sperso nell'alcool e in una vita mandata all'aria:tanto per dire, personalmente potrei indicare perlomeno sei o sette occasioni migliori di questa per consegnare la statuetta nelle mani di un attore di questo livello, già "Una calibro 20 per lo specialista", "Doppio taglio" e,chiaro, "Il grande Lebowski" sono performances più memorabili di questa. In cui tuttavia Bridges fa discretamente il suo dovere, solo che è proprio il personaggio che è ancorato a troppi clichès: l'occasione di rifarsi una vita grazie ad una donna verrà sciupata (ma non è detto) dalla sventatezza di fondo dell'uomo, c'è un figlio in giro che non vuole aver rapporti con lui, l'attaccamento alla bottiglia e troppi altri riscontri di altri tipi borderline cui la sceneggiatura si riallaccia in automatico. Esordio alla regia dell'attore Scott Cooper, il film si pregia della buona prova di Maggie Gyllenhaal che però non è servita del tutto bene dalla regia, e delle partecipazioni di Colin Farrell e di Robert Duvall, che tra l'altro coproduce il film assieme al protagonista Bridges. E' un pò il destino di molti grandi attori con l'Oscar:o non lo vincono mai, o glielo danno molto avanti nella loro carriera, e rimane l'amaro in bocca perchè non se lo sono guadagnato con il miglior ruolo, ma quasi in segno di concessione dovuta. Quello a Paul Newman per "Il colore dei soldi" ce lo ricordiamo eccome.

martedì 9 marzo 2010

RISO AMARO ( I, 1948)
DI GIUSEPPE DE SANTIS
Con SILVANA MANGANO,DORIS DOWLING, Raf Vallone, Vittorio Gassman.
DRAMMATICO

Erotismo piuttosto marcato, soprattutto per l'epoca in cui fu realizzato, clima da noir rurale e quadruplo confronto armato tra due donne e due uomini nelle risaie piemontesi del dopoguerra:"Riso amaro", titolo dal senso sia letterale che figurato, arriva appena prima del Neorealismo, influenzato sia dal cinema sovietico sul lavoro che da quello americano con drammi screziati di nero tratto da libri alla McCain. Oltretutto, l'intreccio prevede sia che i personaggi principali risultino comunque ognuno a modo suo calcolatore, in alcuni frangenti, e quindi del tutto positivi, sia una comunità femminile con sfide al proprio interno,ma che quando conta sa tirare fuori una solidarietà uniforme,compatta. De Santis dona al film una mano registica ispirata,moderna, con conduzione forte degli interpreti:i quali intraprendono la loro danza di seduzione e morte tradendosi e incolpandosi, cambiando alleanze e prospettive. Se Doris Dowling incarna una donna non pulita, ma alla fine segnata dall'onestà, Raf Vallone è un potenziale avventuriero che incarna il "buono", ma sentimentalmente gioca ambiguo,mentre il villain è un Vittorio Gassman maligno e strafottente. Sulla presenza della Mangano si è detto di tutto, resta una vera icona dell'eros e della femminilità del cinema italiano, qui giovane e formosa, comunque stupenda e seducente ragazza avvezza ad innamorarsi dei ribaldi.

lunedì 8 marzo 2010

LA BANDA DEL GOBBO ( I, 1977)
DI UMBERTO LENZI
Con TOMAS MILIAN, Pino Colizzi, Isa Danieli, Guido Leontini.
AZIONE Attacca la colonna sonora, e già si entra nel "filmaccio", con sound in perfetto stile da "poliziottesco". Tomas Milian stavolta si sdoppia addirittura nei ruoli sia del meccanico di borgata Monnezza e del fratello, il rapinatore gobbo Vincenzo: meno d'azione di altri titoli del filone, con molto spazio concesso alla duplice performance della star "cubbana" che qui, con i dialoghi dei propri personaggi da lui scritti di persona, tende un bel pò a parlarsi addosso e gigioneggiare a spron battuto. Gli fanno coro il commissario democratico Pino Colizzi, che in una sequenza ricorda a giornalisti che invocano il ritorno alla pena di morte che in uno stato democratico tale iniziativa è impresentabile (bravo), e Isa Danieli nelle insolite vesti di una prostituta che si innamora del malavitoso Vincenzo. Montato con abilità, scade in battute di alcun gusto anche per un "trashone" e resta abbastanza prevedibile ed inerte. Certo che con questo profluvio di romanesco nel copione,potevano intitolarlo anche "La banda DER gobbo".....
SHUTTER ISLAND (Shutter Island, USA 2009)
DI MARTIN SCORSESE
Con LEONARDO DICAPRIO, Ben Kingsley, Mark Ruffalo, Max Von Sydow.
THRILLER
Da noi reintitolato "L'isola della paura", "Shutter Island" è il più bel romanzo di un grande scrittore di gialli come Dennis Lehane, autore anche dei testi da cui furono tratti "Mystic River" che "Gone,baby,gone", storie in cui la componente della suspence si miscela ad un'introspezione dei personaggi e ad un'elaborazione di sentimenti, angosce, dolori e sensibilità come capita con pochi altri autori del genere. Presentato all'ultimo festival di Berlino, rinviato dalla fine del 2009 ad oggi, il film, che vede Leonardo DiCaprio tornare sotto la direzione dell'autore di "Cape Fear", non è all'altezza delle aspettative:c'è un'ottima messa in scena, i tempi,benchè la pellicola abbia un minutaggio robusto, sono elaborati con il passo lungo ma specie nella prima parte la proiezione scorre, però non viene resa come dovuta la tensione che nel libro monta sordamente fino alla rivelazione finale,che ribalta tutto ciò che si era seguito fino ad allora. Nel film Scorsese, e più che altro la sceneggiatura su cui lavora, scopre troppe carte precipitosamente lasciando intuire largamente allo spettatore l'esito del racconto, che invece è uno dei pregi maggiori di un romanzo densissimo, doloroso, memorabile. C'è il riferimento del trauma degli orrori sia della guerra mondiale che di quella fredda, dato che il protagonista è uno dei soldati americani che entrarono nel mattatoio di Dachau, e che nell'isola si insinui vengano condotti esperimenti atroci su soggetti da utilizzare nella fase più dura del conflitto "nascosto" tra USA e URSS, ma non si viene mai coinvolti nel dramma che cresce a spirale di un uomo che svela sempre di più la propria fragilità a mano a mano che il terreno gli scivola via sotto i piedi. Rimane la delusione, a titolo personale, dalla constatazione che un grande libro più un grande regista e un cast di valore,non sempre possano tramutarsi in un ottimo film.

venerdì 5 marzo 2010

PORKY'S III-La rivincita ( Porky's revenge, USA 1985)
DI JAMES COMACK
Con DAN MONAHAN, WYATT KNIGHT, Tony Ganios, Mark Herrier.
COMMEDIA

Aprì con discreto successo la stagione 85/86,ed è l'inutile e noioso proseguimento di una serie che già al termine della prima pellicola sembrava avere ormai esaurito ogni sua risorsa(già erano poche...).Si cambia regista,questo James Comack non darà praticamente più notizia di sé,nel cast non c'è nessuno di minimamente decente,e si dimentica per fortuna abbastanza alla svelta il tutto.


STAR SYSTEM-Se non ci sei non esisti ( How to lose friends and alienate people, GB 2008)
DI ROBERT B.WEIDE
Con SIMON PEGG, Kirsten Dunst, Jeff Bridges, Megan Fox.
COMMEDIA
Il titolo originale era troppo più bello ed ironico di quello italiano, "Come perdere amici ed alienarsi la gente". L'esperienza del gaglioffo britannico Simon Pegg come provocatore su una piccola rivista che viene reclutato da un grande magazine patinato (alla Vanity Fair per capirsi) e messo alla prova da un direttore che anni prima era come lui, ma si è imborghesito e, pur rimanendo personaggio, sa bene di dover attenersi a meccanismi e regole ben precisi e definiti. Per la prima metà le disavventure del protagonista, sospeso tra l'innamoramento per la collega graziosa e inizialmente ostile Kirsten Dunst e la cantonata per l'attrice splendida e felina Megan Fox sembrano la versione migliore de "Il diavolo veste Prada", e un'irridente commedia su un mondo fatuo ma anche governato da status plumbei:va peggio quando nella seconda parte il copione vira verso una prevedibile presa di coscienza del personaggio principale che in un certo senso richiama, ma vedi il caso, pure l'Alberto Sordi di "Una vita difficile", e si giunge ad una conclusione che premia i buoni sentimenti,nonostante tutto. Pegg è un commediante di un certo talento, se impara a limitare le smorfie potrebbe essere un nome su cui puntare,e se Kirsten Dunst si conferma un mix di simpatia e graziosità notevole, è Jeff Bridges il migliore in campo,basti citare la brevissima risata che si concede quando il suo "erede" si ribella,salvo rapidamente recuperare l'aria tra lo scocciato e il critico che adopera come maschera impermeabile al tintinnante agitarsi di lussuosa pochezza dentro al quale vive.

PORKY'S II-Il giorno dopo (Porky's II-The next day, USA 1983)
DI BOB CLARK
Con DAN MONAHAN,WAYNE KNIGHT, MARK HERRIER.
COMMEDIA Ad un anno soltanto dall'incredibile successo internazionale di "Porky's", ecco pronto il sequel che cronologicamente parte da dove finisce il primo film, quindi il giorno seguente:tornano le questioni pruriginose di Pipino,Pilone e la loro banda, in un clima repressivo in cui l'unica via di fuga è cercare esperienze sessuali e mescolarvi goliardia e un minimo di resistenza umana, tra fanatici ultraconservatori alla Sarah Palin e un quadro amministrativo scolastico che non ha senso del ridicolo. Clark, nel secondo capitolo, alza il tiro, e vorrebbe dipingere come anarcoidi i suoi pischelloni sempre in via di eccitazione e recidivi, un pò come la banda di matti di "Animal House": però, se ovviamente si fa il tifo per i ragazzi di fronte all'ipocrisia balorda dei "potenti" locali, e tra l'altro ci si mette pure il Ku Klux Klan di mezzo, la satira è sgonfia, l'aria che tira è di quelle un pò superficiali, da affrontare problemi radicati in un'America profonda e spesso immune a cambiamenti e immota storicamente con burle sguaiate e niente più. Per cui si ride sempre meno, anche se i propositi erano anzi a loro modo più elevati, e ci si domanda se forse non era meglio limitare "Porky's" ad un solo e finito film singolo,invece che farlo diventare una serie in caduta qualitativa.
AL DI LA' DELLA VITA ( Bringing out the dead, USA 1999)
DI MARTIN SCORSESE
Con NICOLAS CAGE, Patricia Arquette, John Goodman, Ving Rhames.
DRAMMATICO

Chi fa mestieri come infermieri,medici,pompieri,e perchè no, anche quelli della polizia stradale, con impegno e serietà merita qualcosa in più del normale e dovuto rispetto per tutti quegli altri che lavorano:perchè nel preventivo della loro giornata quotidiana è probabile confrontarsi con la morte di un altro essere umano, con il dolore di chi ha perso una persona, con la tragedia che deve scorrere via sulla pelle per poter esercitare con la imprescindibile "neutralità" quello che a me come a moltitudini di persone riuscirebbe assai difficile fare. Martin Scorsese girò un film che esula piuttosto dalla sua filmografia per le tematiche scelte, mettendo in scena la disgregazione sia mentale che spirituale dell'infermiere Nicolas Cage che non riesce più a sopprimere i ricordi delle persone trovate morte in incidenti o altre disgrazie,dovendo fare i conti anche (o il tutto accade per via di questo?) con una crisi di coppia che gli farebbe perdere la compagna Patricia Arquette: i suoi dubbi e tormenti via via li confronta con tre diversi approcci a quel tipo di vita che si è scelto, Ving Rhames, Tom Sizemore e John Goodman. La questione è importante, il problema è che il film soffre una sceneggiatura dispersiva, episodica, non abbastanza fluida da tramutarsi in storia vera e propria, e se i comprimari fanno buona figura,così non è per Cage,che offre un'inebetita smorfia di contrizione per tutto il film, con un personaggio che percorre un personale calvario senza porre reazione al malessere che lo divora. Non uno dei lavori più riusciti di Martin Scorsese, non lascia la voglia di rivederlo di nuovo.
PORKY'S- Questi pazzi,pazzi porcelloni ( Porky's , USA 1982)
DI BOB CLARK
Con DAN MONAHAN, MARK HERRIER,Kim Cattrall, Scott Colomby.
COMMEDIA

ragazzi del passato e i loro tempi:il cinema americano li ha riproposti in vari film famosi,da "L'ultimo spettacolo" a "American Graffiti",da "Grease" a "Un mercoledi'da leoni",senza contare il dittico coppoliano di Tulsa,"I ragazzi della 56°strada" e "Rusty il selvaggio".Bob Clark ambienta questa commedia ridanciana con numerose battute sul sesso ai tempi di "Happy days",prendendo come protagonisti un gruppo di studenti svogliati e dediti piu'a mettere le mani sotto le gonnelle che a passare ore sui libri.Il film ha i suoi momenti divertenti,anche se concede troppo alla sboccataggine,e non è velocissimo:fu un successo straordinario,pruriginoso e sguaiato.Oggi ,rivederlo fa quasi tenerezza.
GANDHI ( Gandhi, GB 1982)
DI RICHARD ATTENBOROUGH
Con BEN KINGSLEY, Rohini Attangady, John Gielgud, Candice Bergen.
DRAMMATICO/STORICO

Guadagno'Otto oscar nel 1983,fu un buon successo di pubblico,ed effettivamente il lavoro di Sir Richard Attenborough ha dell'interessante,Ben Kingsley e'un grande attore e merita la statuetta vinta in questa occasione.Ben girato,anche spiegato bene per quanto riguarda l'aspetto storico,"Gandhi" e'un kolossal di ispirazione democratica,che comunque ,come queste operazioni spesso rischiano, ha un po'di superficialita' non presentando abbastanza la personalita'del Mahatma,ogni tanto limitandosi a elencare i fatti.Elegante,professionale, non vibra abbastanza.



PARANORMAL ACTIVITY ( Paranormal activity, USA 2009)
DI OREN PELI
Con KATHIE FEATHERSTON, MICAH SLOAT, Michael Bayouth.
HORROR
Uno dei casi cinematografici della presente stagione, e probabilmente, a livello di indagine sociologico-statistica, è "Paranormal activity",film costato pochissimo per gli standard sia americani che internazionali, girato in digitale e tutto in una villetta, con tre interpreti soltanto in scena, che ha incassato diversi milioni di dollari un pò dappertutto. Già sentito questo andazzo?Eccome, fu "The Blair Witch Project" a far nascere questo tipo di fenomeni giocati completamente sul passaparola cibernetico, insinuando la veridicità dei fatti narrati, e curiosamente, quando escono dagli Stati Uniti, esordienti al botteghino con il botto, e in picchiata dalla seconda settimana di programmazione. Perchè l'idea di fondo di "Paranormal activity" non è niente male, e come Tullio Kezich riscontrava recensendo "Lo squalo" trentacinque anni fa, l'aver centrato una paura inconscia collettiva, lì il timore di cosa possa contenere l'acqua, qua quel che possa celare il luogo sicuro per eccellenza, la propria abitazione, quando si è assenti o presenti e vulnerabili come quando si dorme: ma il film, se si possa chiamare tale, è spesso dilettantesco, a tratti uggioso, fatto meglio del sopra citato "BWP", ma sfrutta male le potenzialità dello spunto. Il protagonista maschile poi, si atteggia a sbruffone e pretenderebbe di attaccar briga con l'entità presente nella casa dove vive ("Che problema hai?" dice furibondo a "quella cosa" che assilla sempre più minacciosamente lui e la sua partner...), senza alcuna credibilità di sorta concessa al personaggio. Fatti salvi i due minuti finali, che portano in sala il giusto spessore di inquietudine e relativo turbamento, un'ennesima operazione furba che evidentemente ha ben fruttato, dato che il regista Oren Peli è già al lavoro con una produzione in grande, finanziato da una major.

giovedì 4 marzo 2010

FUOCO CAMMINA CON ME! ( Twin Peaks-Fire walks with me, USA 1992)
DI DAVID LYNCH
Con SHERYL LEE, JAMES MARSHALL, Kyle Mac Lachlan, Michael Ontkean.
THRILLER/FANTASTICO

Quando nel '91,mentre infuriava nel mondo reale la prima Guerra del Golfo,irruppe nel nostro mondo televisivo il serial tv "Twin Peaks",che formulò la domanda "Chi ha ucciso Laura Palmer?",ideata da David Lynch, e divenne un caso.Effettivamente le prime puntate avevano un pathos di un certo livello,e per un pò la serie resse bene la tensione che aveva creato:ma alla lunga si fece noiosa e spesso impelagata in deliranti e schizofreniche dispersioni narrative,spesso più di maniera che ispirate.Ecco,il film che narra ciò che è successo prima degli eventi di "Twin Peaks",realizzato dallo stesso David Lynch,è una cosa del genere:sconclusionato nel racconto,eccessivo e narcisista nella messinscena,con personaggi costretti in dialoghi assurdi e senza personalità consistenti.Recitato malissimo,tra l'altro,"Fuoco cammina con me" è l'inutile estremizzazione di un gioco cinematografico messo su da un cineasta di talento in versione ultrasnob.