domenica 15 marzo 2009

THE CHAMP-Il campione (The champ, USA 1979)
DI FRANCO ZEFFIRELLI
Con JON VOIGHT, RICKY SCHRODER, FAYE DUNAWAY, Jack Warden.
DRAMMATICO/SENTIMENTALE Dopo il grosso successo del "Gesù di Nazareth" televisivo, Franco Zeffirelli volò negli Stati Uniti a dirigere il remake di un film del 1931, con due star sulla breccia al momento come Jon Voight (fresco vincitore dell'Oscar per "Tornando a casa") e Faye Dunaway, aggiungendo il bambino-prodigio dell'epoca, il biondo Ricky Schroder, specializzato nel dare il via a pianti dirotti. Nonostante gli ottimi risultati commerciali raggiunti, "The champ" è un fallimento totale a livello cinematografico: il copione pullula di battute e frasi sconcertanti, tutto il film gronda di un patetismo a prezzo stracciato, e pure l'incontro di boxe, se messo a confronto specialmente con i contemporanei "Rocky" non appassiona mai. Se la sceneggiatura spesso si fa ridicola, la regia non sa portare avanti il racconto, e quanto agli attori, lasciamo perdere:Voight gigioneggia in modo agghiacciante, la Dunaway non sa che pesci prendere, alle prese con un personaggio senza alcuno spessore e addirittura grottesco in diversi momenti, mentre il piccolo Schroder è un piagnisteo perenne.Noioso e inevitabilmente indirizzato ad un finale strappalacrime, è un lungometraggio di esemplare bruttezza, nient'altro.
GANGSTER STORY( Bonnie and Clyde, USA 1967)
DI ARTHUR PENN
Con WARREN BEATTY, FAYE DUNAWAY, Gene Hackman, Estelle Parsons.
DRAMMATICO
Il gangster-movie conobbe un'ondata rivitalizzante da metà anni Sessanta in poi, anche per via dei nomi che dettero nuovo lustro al genere: "Gangster story" è uno degli esempi più memorabili di tale nuovo corso del cinema noir all'americana. La storia, romanzata certo, ma raccontata con stile e in maniera avvincente da un Arthur Penn nella sua fase migliore, della coppia di gangsters Bonnie Parker e Clyde Barrow, ci porta in un'America allo sbando, in cui la Grande Depressione ha riportato lo sviluppo indietro di cinquant'anni, e secondo il film, la stampa gonfiò di molto la leggenda dei due rapinatori. Penn, ed è palese, nutre simpatia per i suoi gangsters, rendendoli più avvenenti di quanto fossero quelli veri, e le dinamiche conflittuali all'interno della banda Barrow sono rese con abilità, coinvolgendo il fratello di Clyde e la sua isterica consorte. Senza negare concessioni allo spettacolo, il film dà conto anche della relazione difficoltosa tra Bonnie, che cova pulsioni sessuali, e Clyde, che cela una probabile omosessualità latente, e rende le scene sentimentali tra i due con rara delicatezza, fino al sanguinario finale che dipinge come brutale la furia dei poliziotti. Beatty-Dunaway attraversano il film con compiaciuto feeling, Gene Hackman è in una delle sue prime apparizioni importanti, Estelle Parsons vinse l'Oscar per il suo insopportabile personaggio. E in una piccola, ironica parte, c'è anche un giovane Gene Wilder.

sabato 14 marzo 2009

MEAN STREETS-Domenica in chiesa, lunedì all'inferno
(Mean Streets, USA 1972)
DI MARTIN SCORSESE
Con HARVEY KEITEL, Robert DeNiro, Amy Robinson, David Proval.
DRAMMATICO

Le "stradacce" di Martin Scorsese sono quelle di Little Italy, dove è cresciuto, nelle quali dettano legge mafiosi di mezza tacca, buoni nemmeno a commettere professionalmente i delitti, dove le processioni sono rituali obbligatori e l'aspirazione a ghetto è consistente, visto che si continua ostinatamente a suonare "Faccetta nera" e "Maruzzella". Per la critica, "Mean streets" fu una vera e propria "botta", questo film di un cineasta nuovo, che lo riempì di riprese isteriche, fotografando sgranatamente, come il probabile basso budget consentiva, e parlando della vita balorda dei suoi antieroi, che vorrebbero ambire a grandi progetti, ma restano invischiati tra le regole della tribù di appartenenza e le poche capacità personali. Ripescato qui da noi dopo il successone di "Taxi driver", il lungometraggio, per il quale si è parlato, non senza ragione, di vera antropologia, ha cadute di ritmo, non tutta la sceneggiatura appassiona, ma la blanda deriva dei personaggi è resa al meglio: tra locali in cui lo squallore la fa da padrone, fregature a chiunque sia fuori dal clan, i giorni dell'aspirante gangster Charlie (Keitel) procedono tra il seguire i consigli dello zio boss che ha progetti per lui, e il cercare di tirar fuori dai guai il dissociato Johnny Boy(De Niro), inaffidabile e pazzoide amico fraterno: come si capisce ad un certo punto della pellicola, il finale non potrà essere che nel sangue, ma appunto data l'imperizia dei killer, non moriranno tutti quelli che nelle intenzioni di chi spara dovrebbero. E quindi, si riprende, la notte scorre, solo un'altra brutta storia delle "mean streets".

IL BUIO OLTRE LA SIEPE (To kill a mockingbird, USA 1963)
DI ROBERT MULLIGAN
Con GREGORY PECK, MARY BADHAM, Philip Alford, Joe Megna.
DRAMMATICO
Oggi che un nero è insediato alla Casa Bianca, è più facile dire che il razzismo è superato( a proposito, qui da noi non mi sembra tanto), ma ancor prima che Sidney Poitier potesse divenire una star, "Il buio oltre la siepe" comportò un'importante riflessione sul problema, e intelligentemente la vicenda che narra è collocata in uno dei periodi più bui, economicamente e quindi socialmente parlando.Sono sempre stato arciconvinto che la questione razzista prosperi dove l'ignoranza e il disagio sociale sono robusti, e che la casta più bassa e quindi vituperata dal resto della società non aspetti che una categoria ancor messa peggio per accanirvisi contro, con il beneplacito delle classi altissime o alte cui tutto ciò fa comodo: detto questo,la versione filmica del romanzo di Harper Lee, sodale di Truman Capote, è realizzata da Robert Mulligan con tutti i crismi del miglior cinema di impegno civile, sottolineando quanto brutta e ingiusta possa essere una società, nel caso l'americana, ma non è questo il punto, e però anche quanto una buona cultura di base e un insegnamento ad accettare il diverso(non solo chi è di un'altra razza, ma anche chi è diversamente abile) possano migliorare la stessa. Mossa decisamente vincente, poi, il fatto che la storia sia filtrata dall'ottica di due bambini, per cui la violenza, o le persone brutali, abbiano una parvenza quasi fiabesca;Gregory Peck, interprete da sempre impegnato in fiere battaglie democratiche, è ottimo nell'impersonare l'avvocato povero ma di altissima dignità ed educazione Atticus Finch e Robert Duvall ha un ruolo brevissimo ma fondamentale.Toccante il momento che vede il "presunto mostro" e la bambina finalmente uno di fronte all'altra e l'adulto con la mente di un bimbo sorride alla piccola.

venerdì 13 marzo 2009

LA FINESTRA SUL CORTILE (Rear window, USA 1954)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con JAMES STEWART, GRACE KELLY, Thelma Ritter, Raymond Burr.
THRILLER
Amatissimo dai cinefili, e non solo dagli appassionati di Hitchcock, che tuttavia rappresentano quasi tutti i citati per primi, "Rear window" rappresenta uno dei punti di riferimento per tantissimo cinema che da qui troverà ispirazione e rappresentazione, sul tema di chi guarda un pò perchè costretto a farlo, un pò perchè è un vizio cui si concede volentieri. L'immobilità che il fotoreporter James Stewart deve tollerare, da uomo d'azione, abituato comunque a dover "guardare" per scelta professionale, diviene il leit motiv di una storia che ricrea un microcosmo composto dalle abitazioni dei vicini del protagonista, che la regia in non molti ma sapienti tratti sa illustrare con abile compiutezza.Eppure, nonostante all'interno vi sia uno dei più atroci delitti (non mostrato, solo suggerito, ma egualmente terribile) il tono usato da Hitch per quasi tutta la pellicola è quello della commedia, colorita, con un confronto lucido e accorato ma volenteroso tra l'eroe e l'eroina sul futuro della coppia da loro formata, La tentazione di "sapere" cosa succede nelle vite delle persone circostanti, "farsi" un film leggendo i loro atteggiamenti e appassionarsi alle prospettive delle loro vite diviene un modo per sopravvivere alla noia e alla depressione, fuor di pettegolezzo: e la curiosità, che da sempre ha mosso l'Uomo verso il domani, diviene capacità investigativa, che porta a scoprire l'autore di un omicidio e a far rischiare la vita ai protagonisti. L'ironia pungente di un film che, per quanto mi piaccia e ritenga per certi versi esemplare ma non il capo d'opera hitchcockiano(quello, per me, è "Psyco") è un ingrediente che l'autore non ha risparmiato: il cast, indovinatissimo, è di eccezionale coesione e contribuisce ad animare un racconto che in altre mani avrebbe potuto mostrare la medesima immobilità del fotografo Stewart. La tensione narrativa ha bisogno di mani sapienti per reggere come si deve, giusto?

giovedì 12 marzo 2009

LE MILLE LUCI DI NEW YORK(Bright lights, big city, USA 1988)
DI JAMES BRIDGES
Con MICHAEL J.FOX, Kiefer Sutherland, Phoebe Cates, Swoosie Kurtz.
DRAMMATICO
Jay McInerney è stato uno degli scrittori della generazione che ha raccontato i giovani yuppies ambiziosi,ben vestiti e senza saper vivere,persi nelle notti di grandi metropoli americane senza cercare niente di particolare,solo le conferme di se stessi.Da un suo romanzo il regista James Bridges("Sindrome cinese") ha tratto questo film che fu anche l'occasione per dare un ruolo "adulto" a Michael J.Fox:che,nell'interpretare il giovane piantato dalla moglie modella,accompagnato da un amico balordo che non si lascia sfuggire qualsiasi tipo di sballo,si barcamena in lunghe notti tuffandosi nell'alcool.Il film è volenteroso senz'altro, anche se non convince del tutto come spaccato sociologico,Fox è alla sua migliore interpretazione "seria", e Phoebe Cates è sempre un gran bel vedere.

WATCHMEN(Watchmen, USA 2009)
DI ZACK SNYDER
Con MALIN AKERMAN,PATRICK WILSON, BILLY CRUDUP, JACKIE EARLE HALEY.
FANTASCIENZA/AZIONE
Quella che è considerata la massima opera fumettistica degli ultimi trent'anni, assieme a "Il ritorno del cavaliere oscuro", dopo anni di progetti andati in fumo e nomi altisonanti appassionatisi all'idea e poi declinatori dell'intento per motivi di budget e pratici( il più insistito è stato per molto Terry Gilliam) è adesso film, affidata al "nuovo" Zack Snyder, reduce da due grossi risultati commerciali come "L'alba dei morti viventi" e "300". La graphic-novel di Moore & Gibbons trova quindi una traduzione visiva, come è accaduto sia al film sulle Termopili e a "Sin city" di Rodriguez-Miller, capace di riportare fedelmente la straordinaria plasticità dell'originale. Detto questo, ho diverse perplessità sul compimento dell'operazione. Se la sequenza dei titoli di testa è una cavalcata di gran smalto visivo su una realtà parallela o diversa da quella che è stata di quarant'anni di storia americana e quindi mondiale( siamo nel 1985,Nixon ha tramutato gli USA in una semidittatura, Kennedy è stato ucciso da uno degli Watchmen per conto di interessi governativi, e Bernstein e Woodward, quelli del Watergate, non hanno conosciuto fine migliore), e la prima metà esplora con interessante approccio un blocco narrativo difficoltoso, intenso e stimolante, il film diviene via via verboso e sempre meno capace di gestire le tesi sostenute dalla sceneggiatura.Facendosi didascalico e probabilmente non ghermendo la chiave di lettura degli autori del fumetto, accantona l'amara ironia indispensabile per andare in profondità nel senso della storia e si chiude su una forte ambiguità ideologica, per nulla piacevole. Infatti, se l'affermazione della pax americana deve tradursi in un "meglio qualche milione di morti che la strage dell'umanità intera", da due personaggi che si sostituiscono alle superpotenze USA/URSS allora sul piede se non di guerra, ma di duro confronto, la soluzione scelta è piuttosto arbitraria. Quasi tre ore di spettacolo non sempre all'altezza delle premesse, le caratterizzazioni degli interpreti sono tutto sommato buone( su tutti i personaggi apertamente meno positivi, Rohrschach-Jackie Earle Haley e Il Comico-Jeffrey Dean Morgan), ma la i produttori dovevano scegliere, con meno grossolanità un altro director: non un regista abile sì con le immagini, ma troppo connotato politicamente come Zack Snyder (e dopo questo chi non lo ha riconosciuto come più a destra di Bush, visto "300" forse non vuol vedere o gli fa comodo non pronunciarsi), che saprà creare sequenze spettacolari, ma per diventare un autore che rimarrà gli mancano parecchie cose, tipo il voler ragionare di massimi sistemi con meno arroganza e un poco più di sfumature .

mercoledì 11 marzo 2009

STARDUST (Stardust, USA 2007)
DI MATTHEW VAUGHN
Con CHARLIE COX, CLAIRE DANES, Michelle Pfeiffer, Robert De Niro.
FANTASTICO
Nell'effluvio di celluloide dedicata al fantasy, che dal 2001 riempie gli schermi ad ogni stagione, visti i risultati delle saghe di "Harry Potter" e "Il signore degli anelli", qualche titolo merita visione e addirittura di essere ricordato, ma come per ogni macro-sfruttamento, le idee si fanno scarse e per uno che incassa miliardi, molti vanno in perdita o nel dimenticatoio brevemente: oppure si progettano trilogie, e serie ancor più lunghe, sulla base di un libro appartenente al genere (vedi "La bussola d'oro" e "Narnia", che rischiano di tramutarsi in progetti bloccati), e al primo episodio che non raggiunge i traguardi attesi si annulla il prosieguo."Stardust", che annovera nel cast nomi di serie A recentemente avvezzi a partecipazioni de luxe, molto remunerative ma abbastanza dimenticabili, ha perlomeno il dono dell'ironia, e di un ricorso ad un humour macabro che rende il tutto bevibile, anche se il dejà vu non manca di certo. Probabilmente la dispendiosa pellicola non ha raccolto ciò che chi l'ha prodotta sperava, ma De Niro pirata ruvido in pubblico ed effeminato in privato è una trovata simpatica, e così gli spettri che parlano cordialmente, nella loro condizione, delle dispute che li vedevano nemici in vita. Una favoletta, neanche troppo originale, ma non irrita.

MATRIMONI ( I/F, 1998)
DI CRISTINA COMENCINI
Con DIEGO ABATANTUONO, FRANCESCA NERI, Stefania Sandrelli, Claude Brasseur.
COMMEDIA Tenere insieme una famiglia sembra cosa scontata, ed è invece assai difficile, si sa: in questa commedia diretta da Cristina Comencini i rapporti che sembravano saldi saltano e i componenti si rincorrono fino ad una resa dei conti definitiva in una ricompattata per fortuna niente affatto scontata. Certo, la Comencini dirige molto bene un cast di cui è bene ricordare , oltre ai nomi principali, un bravo Emilio Solfrizzi nel ruolo del cognato di Abatantuono; e la sceneggiatura, come spesso succede nelle commedie più riuscite, giova molto al risultato finale. L'annosa questione sul matrimonio, la sua realizzazione e ciò che comporta, anche a livello di responsabilità, per chi lo contrae, e la riflessione sulle strade intraprese e le occasioni non colte non vogliono trovare qui risposta definitiva, e meno male: però ci si diverte, si segue la vicenda sorridendo, e non è poco.

martedì 10 marzo 2009

NOTTURNO BUS (I, 2007)
DI DAVIDE MARENGO
Con GIOVANNA MEZZOGIORNO, VALERIO MASTANDREA, Francesco Pannofino, Ennio Fantastichini.
COMMEDIA/NOIR
Ecco un piccolo caso cinematografico italiano:non avrà fatto sfracelli al botteghino, non avrà occupato per settimane editoriali di giornalisti anche extra-settore, però ha ottenuto un buon successo progressivamente sempre più consistente, il passaparola ne ha espanso i consensi, e si può dire che il film di Marengo sia un'operina da tenere presente, in un panorama in cui ci si spertica nel dire che il cinema italiano è indolente,ripetitivo, senza idee. Avviato come una commedia giovanile, e lentamente inclinato verso un esempio di racconto noir con parentele transalpine, al quale non fa difetto un insaporimento di gustosa ironia, "Notturno bus" ha dalla sua un cast eterogeneo e molto funzionale, che oltre ai due intonatissimi protagonisti Giovanna Mezzogiorno( finalmente in una parte sganciata dai troppi ruoli intensi ma eccessivamente simili tra loro delle ultime stagioni) e Valerio Mastandrea, la miglior faccia da schiaffi di casa nostra di questi tempi, unisce gli sdruciti Ennio Fantastichini e Francesco Pannofino, con partecipazioni di serie A. Curioso e accattivante, il film potrebbe essere, si spera, non l'unico caso di noir all'amatriciana partorito qui da registi che hanno voglia di fare cinema diverso da quello compresso negli abituali schemi.

DILLINGER (Dillinger, USA 1973)
DI JOHN MILIUS
Con WARREN OATES, Ben Johnson, Michelle Phillips,Harry Dean Stanton.
DRAMMATICO/AZIONE
L'esordio alla regia di uno sceneggiatore di successo e connotato politicamente a destra come John Milius venne stroncato, probabilmente in larga parte appunto per certe affermazioni a fil di reazionarietà del barbuto regista e per l'atteggiamento abbastanza tracotante avuto nelle interviste di presentazione della pellicola. E' vero che contrariamente ai cineasti della sua generazione, l'autore di "Addio al re" andò in controtendenza proclamandosi sempre di certe idee, ma se spesso nei suoi lavori è affiorata una robusta retorica ultraconservatrice, è vero anche che è stato molto in gamba nello scrivere cinema e piuttosto parco nel dirigerlo. "Dillinger", versione action-movie delle gesta del "Nemico pubblico numero 1", dà una versione piuttosto arbitraria, probabilmente, della vera storia di John Dillinger, gangster famosissimo nell'America post-Depressione: numerosi i nomi di spicco nel cast, in cui, oltre che al versatile Oates, c'è spazio per un durissimo Ben Johnson, e per i gaglioffi Geoffrey Lewis, Harry Dean Stanton e Richard Dreyfuss, in una ricostruzione d'epoca che non ha niente da invidiare a similari operazioni quali "Gangster story", "Gang" e "Grissom gang". Quello che preme a Milius è sottolineare quanto la violenza degli uomini della legge non sia affatto minore, anzi, dei banditi, e la spietatezza con cui viene condotta la lotta ai malviventi concede di poter esercitare il diritto di poter eliminare fisicamente chiunque senza il minimo scrupolo: più che a destra, siamo in perfetta zona anarchia, mi pare.

AMMAZZAVAMPIRI (Fright night, USA 1985)
DI TOM HOLLAND
Con WILLIAM RAGSDALE, Chris Sarandon, Amanda Bearse, Roddy McDowall.
HORROR/COMMEDIA
Uscito da noi alla chetichella nella tarda primavera del 1986, anche se aveva avuto un buon successo di pubblico in patria, da generare tre anni dopo un sequel, "Fright night"( "Notte spaventosa", comunque il titolo italiano non è dei peggiori) conquistò diversi giovani cinefili, che ne parlarono benissimo, e lo elevarono a livello di piccolo oggetto di culto. Rivisto oggi, è invecchiato davvero tanto: il ritmo narrativo, la sceneggiatura piena di dialoghi adolescenziali, gli effetti speciali e pure il finale con inevitabile riaffacciarsi della minaccia in questione(all'epoca era altamente di moda per il genere) ne fa un prodotto tipicissimo degli anni Ottanta, e se è apprezzabile il frequente ricorrere ad un registro ironico da parte di Tom Holland, è altrettanto evidente che ad un certo punto le idee cominciano a farsi vaghe, che il filmetto la tira troppo per le lunghe, e che Roddy McDowall e Chris Sarandon a parte, gli interpreti non sono esattamente da Oscar. Il modello è probabilmente "Un lupo mannaro americano a Londra", ma il confronto con un Landis d'annata, quasi al suo meglio, è davvero impari.

NIRVANA (I/F, 1997)
DI GABRIELE SALVATORES
Con CHRISTOPHER LAMBERT, Sergio Rubini, Stefania Rocca, Diego Abatantuono.
FANTASCIENZA

Il cinema italiano ha una tradizione fantascientifica scarsa, gli appassionati del genere hanno dovuto accontentarsi degli innesti splatter di Lenzi, Fulci, Massaccesi e Castellari:si può dire che "Nirvana", progetto-kolossal di Gabriele Salvatores sia una felice combinazione delle storie intecciate del programmatore Jimi Dini(analogie con James Dean, forse?) che riscopre la propria umanità in un mondo sempre più caotico eppure freddo e del personaggio da lui creato che scopre di avere una vita avventurosa, ma inutile e senza scopo reale.Sulle note della bella colonna sonora di Mauro Pagani, in qualche momento riecheggiante i Led Zeppelin, si ha modo di inoltrarsi in un universo afflitto da una neve perenne, denso di umani che si sfiorano in maniera impermeabile:ma il finale sembra indicare che l'Uomo,vinca, almeno moralmente.Nel DNA di"Nirvana" c'eè molto del fumetto nostrano "Nathan Never", anche se le contaminazioni dai vari "Blade runner" e "Strange days" si fanno sentire, per tacere di "2001":uno dei titoli più coraggiosi degli ultimi anni,che ha un felice tramite nell'affollato cast dove si distinguono lo scalmanato Sergio Rubini, hacker senza occhi, Abatantuono in versione cibernetica(che ha i momenti più divertenti), e Christopher Lambert, che qui recita discretamente, e questo risulta il miglior effetto speciale.
IL MISTERO DELLE PAGINE PERDUTE
(National Treasure:The Book of Secrets, USA 2007)
DI JOHN TURTELTAUB
Con NICOLAS CAGE, Helen Kruger, Jon Voight, Ed Harris.
AVVENTURA
A tre anni dal primo episodio, tornano le avventure dello studioso-avventuriero Ben Gates, che analogamente all'archetipo Indiana Jones ed al "collega" Robert Langdon de "Il codice Da Vinci" uniscono sequenze d'azione, un riferimento storico-archeologico, e un chiarissimo intento di cinema per famiglie, visto che quasi anacronisticamente la serie "National treasure" punta ad essere una versione più spettacolare, e più costosa, dei classici prodotti dalla Disney diretti da Robert Stevenson negli anni Sessanta. Il plot del dittico di Turteltaub-Cage ( e visto che il successo del secondo è stato maggiore del primo, vogliamo che non si trasformi in una trilogia,come minimo?) è così buonista che perfino la serie de "La pantera rosa" era più violenta, qui anche i cattivi hanno le loro buone ragioni, ed al dunque si comportano da uomini d'onore. Con questo,niente di male. Però se i due film tuttavia scorrono, e a qualcuno pur piaceranno, visto che il risultato commerciale è di quelli notevoli, siamo di fronte al trionfo della prevedibilità, e viene da chiedersi perchè se il protagonista si lancia in un'impresa che ha i suoi pericoli per una ragione discretamente pretenziosa, come riscattare il nome di un avolo accusato di far parte del complotto che costò la vita a Lincoln, i suoi amici lo seguono con uno zelo ed un impegno encomiabili ma ancor più assurdi.E poi, quel presidente americano che mette al corrente di segreti di Stato l'eroe per poi mettersi a fare l'autostop di notte, ma a chi è venuto in mente?Ad ogni buon conto, la pecca principale del film, secondo il sottoscritto, è l'aver sprecato perlomeno quattro attori di livello come Ed Harris,Helen Mirren, Jon Voight ed Harvey Keitel( gli ultimi due più avvezzi a prestazioni di pura convenienza) in ruoli di nessuno spessore e di scarsissima credibilità:per il resto, pazienza.

domenica 8 marzo 2009

TI AMERO' SEMPRE (Il y a longtemps que je t'aime, F 2008)
DI PHILIPPE CLAUDEL
Con KRISTIN SCOTT THOMAS, Elsa Zyrberstein, Serge Hazanavicius, Laurént Grevill.
DRAMMATICO
A volte un interprete di valore, vedi il caso Rourke con "The wrestler", ha bisogno di staccarsi dallo star-system per tornare a farsi apprezzare e riprendersi l'attenzione sulle sole doti recitative che ha. Kristin Scott Thomas per qualche anno è stata coinvolta in progetti importanti, recitando al fianco di grossi calibri del box-office e lavorando sotto la regia di autori di prima fama: negli ultimi tempi si era defilata, ed è stata scelta per il ruolo di protagonista del film d'esordio di uno scrittore passato alla regia, Philippe Claudel. Debutto, va detto, all'insegna della misura e dell'eleganza, considerato che il tema di una donna uscita di prigione e chiusasi in una discrezione vicina all'isolamento, nonostante sia stata ripresa in casa dalla sorella più giovane e dalla sua famiglia, che conserva un segreto pesantissimo, poteva risolversi in un trionfo lacrimevole da feuilleton di bassa qualità. La Scott Thomas, nel dipingere l'afflizione perpetua di una donna fascinosa ma quasi scostante nella sua chiusura, lascia esplodere il dramma personale che le sta dentro in sottofinale, con una notevole bravura nel saper cambiare i toni dell'interpretazione:e in questo dramma borghese, che non stravolge, però fa pensare molto, anche dopo la ripugnante baraonda sorta attorno al caso Englaro, colpisce la sobrietà della regia nel trattare la materia difficoltosa e ricca di inciampi morali ed etici scelta.

ANATOMIA DI UN OMICIDIO (Anatomy of a murder, USA 1959)
DI OTTO PREMINGER
Con JAMES STEWART, Lee Remick, Ben Gazzara, George C.Scott.
THRILLER/DRAMMATICO
Due ore e quaranta minuti di proiezione non sono certo poche, ma quando quel che scorre davanti ai nostri occhi sullo schermo è interessante, pesano relativamente: Otto Preminger realizzò un legal thriller ante litteram toccando argomenti scottanti per l'epoca in cui il film è uscito, visto che non sono ancora conclusi gli anni Cinquanta, e nel processo che occupa larga parte della pellicola ci si occupa di argomenti scabrosi con un omicidio commesso in seguito ad uno stupro, con tutto ciò che ne consegue. Sul filo di un'ambiguità che riguarda anche l'eventuale colpevolezza del militare assistito dal legale James Stewart, il film procede meticoloso nell'esposizione dei fatti e della battaglia sempre più accesa tra gli avvocati per dimostrare alla giuria( e agli spettatori) chi possa condurre alla vittoria in aula il processo. Scritto con buon dosaggio drammaturgico, venato da un sarcasmo morale che attraversa tutta la storia, "Anatomia di un omicidio" è a giusta ragione un classico del genere.

THE WRESTLER (The wrestler, USA 2008)
DI DARREN ARONOFSKY
Con MICKEY ROURKE, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood,Judah Friedlander.
DRAMMATICO
A sorpresa vincitore del Leone d'Oro all'ultimo festival veneziano, "The wrestler" ha conquistato parole entusiastiche, ed è andato vicinissimo a consegnare l'Oscar per il miglior attore 2009 ad un interprete che fino all'anno scorso era regolarmente stroncato dai recensori: si scopre l'acqua calda dicendo che è Mickey Rourke il motivo per vedere la quarta pellicola di Darren Aronofsky, inizialmente indicato come un nuovo giovane genio del cinema, e bocciato successivamente ad ogni nuovo lavoro, peraltro non poco ambizioso, vedi "The fountain". In realtà, e lo dico a titolo personale, sul talento interpretativo di Rourke non ho mai avuto dubbi, si riguardi "Rusty il selvaggio","L'anno del dragone", "Angel Heart" e pure "Sin City" per trovare quella miscela tra fragilità ed irruenza, da sommare ad un carisma effettivo rintracciabile anche nei pochissimi minuti che lo vedono in scena ne "L'uomo della pioggia" coppoliano. Certo, di peccati all'anima, l'ex idolo delle donne ne ha non pochi, anche solo cinematograficamente, gli ultimi quindici anni lo hanno visto spesso buttarsi via in prove mediocri in film inutili: per essere un bel film davvero, a "The wrestler" è mancata una regia che gestisse al meglio il racconto, ed evitasse il rischio-retorica che viene fuori nel combattimento finale al grido di "U-S-A!" del pubblico intorno, mentre è in atto la lotta tra il protagonista e un avversario che agita la bandiera iraniana. E se si vuole, la storia pone in parallelo due attività baracconesche, il wrestling e la lap-dance, che sono infine fasulle perchè, a differenza di boxe ed effettiva prostituzione, montano le aspettative dando un'illusione al pubblico pagante di quel che non sarà, combattimento e sofferenza da un lato, sesso consumato davvero dall'altro. Però il resoconto della vita allo sfacelo di un narcisista sbandato che vive ancora di ricordi vent'anni dopo il suo momento d'oro ha sapore di verità, e la prova di Rourke è "bigger than life", una confessione, di un'onestà impressionante. Non è da meno Marisa Tomei, nelle due ultime stagioni riemersa con forza in ruoli difficili,e si esce dalla sala con la sensazione, se non di appunto aver visto non un grande film, ma una gran prova di forza di un signor attore.

LE ETA' DI LULU' (Las edades de Lulu, ES 1991)
DI BIGAS LUNA
Con FRANCESCA NERI, Oscar Ladoire, Maria Barranco, Fernando C.Cuervo.
EROTICO Non è capitato a molte attrici, ma Francesca Neri venne lanciata da un ruolo da protagonista in un film straniero:Bigas Luna la volle come interprete principale per "Le età di Lulù", melò erotico in chiave piuttosto spinta,verso il finale soprattutto, che cede volentieri ad un voyeurismo, che tuttavia fa parte da sempre del genere, qui particolarmente ostentato. Luna ci dà dentro e mette nella sua pellicola ogni oltre sessuale, dal feticismo all'incesto, dal rapporto plurimo alle escursioni gay e trans, fino all'orgia sadomaso a rischio violenza estrema: se voleva lasciare lo spettatore a bocca aperta, ha sbagliato notevolmente uscio, perchè il film non funziona, nè,nonostante il suo daffare pruriginoso solletica i sensi e l'immaginazione. Spesso noioso nell'elencare l'escalation sessuale della protagonista, "Le età di Lulù" procede per capriole di logica, chiudendosi su una sorta di ipocrita moraletta semifamilista, che sembra suggerire che basta che succeda in famiglia, tutto va bene. Che importa se il maritino, in vena di trasgressione, ha fatto partecipare il cognato, fratello di sangue, ad un gioco a tre erotico abbastanza laido? Vogliamo mettere con quegli sozzoni di pederasti sado-maso e violentissimi? In un simile assemblamento di sciocchezze,nessun interprete brilla, e l'unico personaggio con un potenziale spessore tragico, il trans Ely, è maltrattatissimo da una sceneggiatura che non gli concede gran sviluppo.

venerdì 6 marzo 2009

FUORI IN 60 SECONDI (Gone in 60 seconds, USA 2000)
DI DOMINIC SENA
Con NICOLAS CAGE, ANGELINA JOLIE, Giovanni Ribisi, Robert Duvall.
AZIONE
Per l'industria hollywoodiana accettare un atipico è cosa strana: può andar bene per Terrence Malick, che è uno fuori dagli schemi e chiaramente non diretto alle grandi masse, ma per un regista di action-movies Dominic Sena è davvero un bizzarro. Autore di un "Gone in 60 seconds" nel 1974, non girò altri film fino al 1993 di "Kalifornia", tra quelli che lanciarono l'astro di Brad Pitt, e poi nient'altro sino al remake della pellicola del '74, stavolta con un cast di nomi pesanti al botteghino, per proseguire l'anno seguente con "Codice Swordfish" e poi nuovo fermo. Dei pochi lungometraggi realizzati da Sena, questo è il meno felice: ruota tutto intorno alle capacità di furto d'auto del protagonista, un imbiondito Nicolas Cage, e sa di tirato via in sceneggiatura, salvo qualche brano di cinema d'azione tutt'altro che da buttare via. Credibilità della trama piuttosto scarsa, vedere quando il personaggio di Cage chiede a mammà se deve rubare il gran numero di auto che i suoi ricattatori gli hanno richiesto o lasciare il proprio fratello nelle loro mani (risposta della genitrice: "Sai quello che devi fare"...), e quasi tutti gli interpreti, Duvall compreso, presenti per onor di firma e di riscossione cachet: non esattamente un bel film.

CODICE SWORDFISH (Swordfish, USA 2001)
DI DOMINIC SENA
Con HUGH JACKMAN, JOHN TRAVOLTA, Halle Berry, Don Cheadle.
AZIONE

L'avvio è di quelli buoni davvero, autoironico e visivamente attraente:certo, di lì a poco ci sono le spacconate di prammatica, e prima di arrivare alla fine il meccanismo ha qualche momento in cui fatica a procedere.Però,visto soprattutto il non esaltante "Fuori in 60 secondi", Dominic Sena, l'anno dopo quel successo di pubblico torna a girare un thriller d'azione di buon ritmo, con una storia non banale e qualche colpo di scena efficace.Hugh Jackman è un eroe poco convinto della situazione di forte pericolo in cui è costretto, John Travolta è molto bravo nel delineare l'ambigua natura del proprio personaggio,Halle Berry è davvero una bomba di alto voltaggio ormonale, e chi ha escogitato la scena del "Test" fatto al protagonista che deve decifrare un codice top secret con un mitra puntato addosso in pochi minuti mentre una biondona cerca di distrarlo "oralmente" è una mente perversa ma capace di un umorismo micidiale.

giovedì 5 marzo 2009

8 E 1/2 (I, 1963)
DI FEDERICO FELLINI
Con MARCELLO MASTROIANNI, Anouk Aimèe, Rossella Falk, Claudia Cardinale.
GROTTESCO
Sarò poco canonico, visto di cosa mi accingo a parlare: ma quanti sono i cinefili che effettivamente hanno visto "Otto e mezzo"? Perchè parlando con diverse persone appassionate di cinema mi è capitato di notare che al di là dell'approvazione fatta di un entusiasmo un pò troppo facile e acceso ma accondiscendente, la voglia di parlarne fosse quella poca che si riserva al classico tomo buttato giù per forza di scolastica memoria, un pò come per molti è capitato con "I promessi sposi". Cosa alquanto strana, perchè questo di Fellini è un film che si presta più che mai a personali interpretazioni, valutazioni, quel che si può trovare dentro due ore utilizzate per star dietro ad un lungometraggio. Considerato da sempre un capolavoro assoluto della cinematografia, "Otto e mezzo" è una pellicola che sfugge alle definizioni classiche, una fantasia d'autore dilagante e che ha un tempo narrativo tutto suo, che pone l'alter ego felliniano Mastroianni, che lo rappresenta come un individuo complesso eppur tendente allo zuzzurellone, che cerca di non prendersi sul serio, benchè tutto ciò che sta all'esterno, bocche che chiedono,occhi che fissano, frasi che fluttuano, cerchi da lui spiegazioni che non vuol dare. Nella quasi impensabile dimensione di un sogno, per i tempi dati al film, per la non-logica delle sequenze, per quel rimestare di ricordi,presente e aspirazioni, "Otto e mezzo" è insieme una risposta alle aspettative anche troppo seriose sul regista di Rimini e un raccontarsi analitico con riflessi neanche troppo nascosti di autoreferenzialità:donne, cinema, sogni e personaggi avvinghiati in un progredire senza posa. Con tutto ciò, continuo a preferirgli "La dolce vita".

SONO PAZZO DI IRIS BLOND(I, 1996)
DI CARLO VERDONE
Con CARLO VERDONE, CLAUDIA GERINI, Andrea Ferreol, Mino Reitano.
COMMEDIA
La vetta del box-office stagionale, in tanti anni di pur gloriosa carriera, non era mai stata raggiunta da Carlo Verdone, forte comunque di tanti maiuscoli successi: dopo l'ubriacatura di "Viaggi di nozze", che stracciò avversari temibili come "Braveheart", "Heat" e "Apollo 13", l'autore di "Al lupo, al lupo" virò verso un film più intimista, che viaggiava in Europa, come gli era capitato in altre pellicole precedenti. Incentrato su un'ambizione sentimentale, quella di un uomo oltre la quarantina che si è messo in testa di poter cambiare una ragazza egoista, vitalissima e capacissima di seminar disastri con una scioltezza impressionante quanto la sua noncuranza, "Sono pazzo di..." non funziona moltissimo come commedia vera e propria, risultando artificiosa in alcuni passaggi (il duetto con la Ferrèol sotto la pioggia...) quando non scontata: meglio va sul piano sentimentale, che Verdone narra con la delicatezza e il tatto con cui sa dipingere i fallimenti in quell'ambito. Di buon livello le prove dei due protagonisti praticamente assoluti, del tutto mediocri le canzoni che sembrerebbero aprire le porte dello star-system ad Iris Blond, però è singolare quanto questo film sappia ricordare quanta malinconia possa annidarsi negli angoli di un sorriso.

30 GIORNI DI BUIO (30 days of night, NZ/USA 2007)
DI DAVID SLADE
Con JOSH HARTNETT, MELISSA GEORGE, Danny Huston, Ben Foster.
HORROR
Nemmeno il ghiaccio ferma più i vampiri, sarà un'evoluzione della specie? In "30 giorni di buio", coproduzione american-neozelandese, tratta da una graphic novel di successo, i non-morti invadono e massacrano una cittadina in Alaska, con i disgraziati abitanti capeggiati dal poliziotto in crisi con la moglie Josh Hartnett e con pochissime risorse a disposizione per combattere i mostri e una forzata durata di 30 giorni dell'assedio. Il film, su un argomento sempre più difficile da trattare per usura, ma che non manca di esercitare fascino, viste le affermazioni dei recentissimi "Twilight" e "Lasciami entrare", è nebuloso circa l'origine del clan vampiresco, che parla un dialetto che sembra innuit e però è vestito come gli uomini che assalta e uccide, ha delle ovvietà nella trama,però ha ritmo nel raccontare una vicenda ambientata quasi del tutto senza la luce del giorno, inizio e fine esclusi, e volge allo scioglimento su una nota romantica speculare al secondo "Blade" che non dispiace. Hartnett qui somiglia ad un Tom Cruise di qualche anno fa, i vampiri, in una versione lorda di sangue più che mai, emanano malvagità senza essere ridicoli. In sostanza, un B-movie che non dispiace, anche se probabilmente l'alto budget investito ambiva a proiettare la pellicola tra i blockbuster.

martedì 3 marzo 2009

A SPASSO NEL TEMPO (I, 1996)
DI CARLO VANZINA
Con CHRISTIAN DE SICA,MASSIMO BOLDI,Dean Jones, Ela Weber.
COMICO
Macinatori di miliardi del periodo natalizio(infatti i loro film,anche oggi che li fanno separati, riescono a sbancare in due settimane, poi spariscono dalle sale),Boldi & DeSica si fanno sbatacchiare dal fidato Carlo Vanzina in varie epoche, complice il disneyano Dean Jones:il film è un insieme di scenette alla loro maniera, spesso volgarotte, qualche volta abili nel rubare una sghignazzata."A spasso nel tempo" è leggermente sopra la media del loro consueto standard, ma non di troppo.Ormai sono un caso spesso inesplicabile per chi analizza i gusti del pubblico, ma si nota anche tra la critica più stimata qualche prima crepa di indulgenza verso il duo:più o meno come quelli che per comprare "Le ore" prendono altre due o tre riviste, e mettono l'oggetto proibito in mezzo, anche qualche recensore adotta tale tecnica.

lunedì 2 marzo 2009

LA SPADA A TRE LAME (The sword and the sorcerer,USA 1982)
DI ALBERT PYUN
Con LEE HORSEY, Kathleen Beller, Simon McCorkindale, George Maharis.
AVVENTURA/FANTASTICO
Eccolo il Tanio Boccia di livello mondiale, Albert Pyun, riconosciuto re del trash americano, i cui film però non ottengono alcuna simpatia nemmeno dai recensori che difendono i peggiori prodotti con un entusiasmo che al sottoscritto pare anche un pò snob. Il regista, attivo dai primi anni Ottanta, ha spaziato dall'action alla fantascienza, all'horror, tenendo a battesimo cinematograficamente Jean-Claude Van Damme, ma è da dubitare che anche un suo solo titolo rimanga in mente a qualcuno: qui, sull'onda di una stagione che presentò numerosi film in cui gli eroi erano barbari o simil-tali come "Conan","Scontro di titani", c'è un violento conflitto in cui il guerriero al centro del racconto combatte con l'arma del titolo italiano, che tra l'altro lancia le lame come gli istrici gli aculei. Girato senza verve nè criterio registico, il film si traduce in una serie scombinata di scene montate insieme per giungere al risolutivo scontro finale , con precedente passione dell'eroe inchiodato come Franco Nero in "Keoma"(ora, citare Cristo qui sembrava un pò troppo perfino ad un ben distante dalla Chiesa come me...):è talmente infarcito di dejà-vu che sarebbe eccessivo regalargli anche una visione in dormiveglia.

TURISTA PER CASO (The accidental tourist,USA 1988)
DI LAWRENCE KASDAN
Con WILLIAM HURT, Geena Davis, Kathleen Turner, Bill Pullman.
COMMEDIA/DRAMMATICO
Sopravvivere ad un lutto non è cosa facile, se è quello di un figlio, per di più andatosene in una circostanza assurda e all'improvviso:"Turista per caso" imbocca la corsia rischiosa della commedia drammatica su un tema del genere,ponendo il protagonista William Hurt in un'impasse sentimental-psicologico ristagnante, anche per la particolarità amorfa del carattere del personaggio, venuto da una famiglia di asociali,che si guadagna da vivere scrivendo libri che danno suggerimenti a chi viaggia per lavoro . Sospeso tra il divorzio dalla moglie Kathleen Turner che non regge più la situazione e nemmeno l'apatia del coniuge, e la prospettiva di una nuova esistenza spinta dal rapporto amoroso con l'istruttrice di cani Geena Davis, il personaggio vive una forma di catalessi emotiva che fa confluire nel suo consigliare chi intraprende un viaggio, anche svolto per questioni pratiche, a come non sentirsi mai in gioco, nè fuori dalle sicurezze appiccicose della quotidianità."Turista per caso" è l'evidente lavoro di uno sceneggiatore che è passato alla regia: il piatto forte del lungometraggio sono le annotazioni psicologiche e caratteriali conferite ad ogni personaggio, anche quelli che si vedono meno, che rendono una storia altrove non originalissima più interessante e avviatrice di riflessioni sul proprio vissuto e su quello che si mette in conto, sbagliando per difetto, sul cosa ci aspetterà. Degli interpreti, molto bravo Hurt, ma sono le due donne, l'elegantissima Turner e la bizzarra Davis a riscuotere maggiori consensi.

CINQUE GIORNI UN'ESTATE (Five days one summer,USA 1982)
DI FRED ZINNEMANN
Con SEAN CONNERY,Betsy Brantley, Lambert Wilson.
SENTIMENTALE Oramai anziano, Fred Zinnemann tornò a girare in Europa produzioni americane:l'autore di numerosi titoli che sono rimasti nella storia del cinema e nel cuore di noi cinefili concluse una carriera durata mezzo secolo con un film che a diversi parve elegiaco ed anacronistico, racconto sentimentale ambientato in una Svizzera montuosa,verde d'erba e bianca di neve. C'è un attempato medico con la molto più giovane compagna che, in una vacanza di cinque giorni, intende compiere escursioni e scalate, grazie anche all'aiuto di un giovane del posto assunto come guida:in realtà le cose non sono affatto semplici, perchè tra l'uomo più anziano e la ragazza i rapporti sono obbligatoriamente nebulosi, e il giovane del posto non è indifferente alla donna, con la complicazione della scoperta di un cadavere sepolto nel ghiaccio. Per la verità "Cinque giorni un'estate" è concepito e girato come fosse un film di quarant'anni prima, per dialoghi e modo di narrare, ma Zinnemann conduce con coerenza il racconto, e si fregia delle buone prove dello scafato Sean Connery, in uno dei suoi ruoli più misurati ed atipici, e degli esordienti Betsy Brantley( poi vista quasi più per niente) e Lambert Wilson, che ha il phisyque du role per essere un credibilissimo maestro di montagna e guida alpinistica.
LARA CROFT TOMB RAIDER(Lara Croft:Tomb Raider, USA 2001)
DI SIMON WEST
Con ANGELINA JOLIE, Iain Glein, Jon Voight, Noah Taylor.
AVVENTURA/FANTASTICO
Il successo macroscopico del videogame "Tomb Raider" e della sua eroina Lara Croft aveva assunto proporzioni quasi inedite per un prodotto del genere, anche più dei Mario Bros., cui era stato dedicato all'inizio degli anni Novanta un film di scarsissima qualità: cosa logica che venisse scritturata la diva più glamour (e fisicamente tonica) del momento per farne una trasposizione su schermo. Lampo di genio, deve esser sembrato ai produttori, accoppiare la bellissima Angelina Jolie al padre Jon Voight per riproporre la parentela anche nel film:affidato ad un regista venuto da due film oltre i 100 milioni di dollari di incasso solo in America ("Con Air" e "La figlia del generale"), ecco il kolossal abbattersi sul pubblico nel Dicembre del 2001. Bene, il film è, oltre che pieno di incongruenze narrative e uggioso, fatto male sia a livello di azione, che di cinema fantastico, gli attori sono spersi in ruoli nemmeno bidimensionali, si prova una gran voglia di mollare la visione e ci si ripromette di non sorbirselo più in vita propria. E ci hanno fatto pure un numero due, nonostante i non sbalorditivi risultati commerciali...