DI DARREN ARONOFSKY
Con MICKEY ROURKE, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood,Judah Friedlander.
DRAMMATICO
A sorpresa vincitore del Leone d'Oro all'ultimo festival veneziano, "The wrestler" ha conquistato parole entusiastiche, ed è andato vicinissimo a consegnare l'Oscar per il miglior attore 2009 ad un interprete che fino all'anno scorso era regolarmente stroncato dai recensori: si scopre l'acqua calda dicendo che è Mickey Rourke il motivo per vedere la quarta pellicola di Darren Aronofsky, inizialmente indicato come un nuovo giovane genio del cinema, e bocciato successivamente ad ogni nuovo lavoro, peraltro non poco ambizioso, vedi "The fountain". In realtà, e lo dico a titolo personale, sul talento interpretativo di Rourke non ho mai avuto dubbi, si riguardi "Rusty il selvaggio","L'anno del dragone", "Angel Heart" e pure "Sin City" per trovare quella miscela tra fragilità ed irruenza, da sommare ad un carisma effettivo rintracciabile anche nei pochissimi minuti che lo vedono in scena ne "L'uomo della pioggia" coppoliano. Certo, di peccati all'anima, l'ex idolo delle donne ne ha non pochi, anche solo cinematograficamente, gli ultimi quindici anni lo hanno visto spesso buttarsi via in prove mediocri in film inutili: per essere un bel film davvero, a "The wrestler" è mancata una regia che gestisse al meglio il racconto, ed evitasse il rischio-retorica che viene fuori nel combattimento finale al grido di "U-S-A!" del pubblico intorno, mentre è in atto la lotta tra il protagonista e un avversario che agita la bandiera iraniana. E se si vuole, la storia pone in parallelo due attività baracconesche, il wrestling e la lap-dance, che sono infine fasulle perchè, a differenza di boxe ed effettiva prostituzione, montano le aspettative dando un'illusione al pubblico pagante di quel che non sarà, combattimento e sofferenza da un lato, sesso consumato davvero dall'altro. Però il resoconto della vita allo sfacelo di un narcisista sbandato che vive ancora di ricordi vent'anni dopo il suo momento d'oro ha sapore di verità, e la prova di Rourke è "bigger than life", una confessione, di un'onestà impressionante. Non è da meno Marisa Tomei, nelle due ultime stagioni riemersa con forza in ruoli difficili,e si esce dalla sala con la sensazione, se non di appunto aver visto non un grande film, ma una gran prova di forza di un signor attore.
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