DI MARTIN CAMPBELL
Con MEL GIBSON, Ray Winstone, Danny Huston, Jay O.Sanders.
THRILLER
Otto anni senza comparire sullo schermo, seppur contrassegnati da due regie che molto hanno fatto discutere, e pure hanno realizzato grandi incassi per una star come Mel Gibson sono un'era vera e propria:non ci si stupisca se il suo ritorno come protagonista di un film non abbia sbancato, anche per la lavorazione difficoltosa della stessa pellicola, tra un cambio in corsa di un attore in un ruolo importante (Ray Winstone per Robert DeNiro,mica discorsi...) ed un'uscita a lungo rimandata. "Edge of darkness", titolo assai più affascinante del criptico italiano "Fuori controllo" è più un thriller che un film d'azione:ed è facile prevedere stroncature da parte dei recensori per un film in cui regna un'anarchia inguaribile verso Sistema e Politica , in cui è bandito quasi ogni personaggio femminile salvo due vittime sacrificali, e a grandi linee la differenza tra buoni e cattivi è che i primi con il dito sul grilletto chiedono agli altri se lasciano orfani.Però. Però è vero che la pellicola è tendenzialmente rozza nel suo anarchismo maschio e pessimista, che alcuni passaggi di sceneggiatura sono confusi o difficili da definire verosimili (Gibson che fa un pò troppi danni in libertà, una macchina che arriva a velocità pazzesca addosso ad una vittima senza farsi preannunciare da alcun rumore):ma porta dentro di sè immagini potenti, che non lasciano indifferenti, come la vendetta finale del protagonista che arranca come uno zombie,lasciando a terra senza vita coloro che hanno rovinato la sua esistenza, e la scena in cui gli viene uccisa la figlia, in un'accelerazione drammatica incalzante. Mel Gibson, il volto segnato da rughe barbare, interpreta un personaggio che sa di aver perso ma si avvia nella propria corsa all'inferno con l'intento di trascinare con sè il maggior numero di nemici, e l'interpretazione piana, laconica di Ray Winstone, battezzata come svogliata da qualche critico un pò frettoloso, considerando lo sviluppo del personaggio, è coerente con la flemma striata di latente ferocia di uno che per una volta vuole giocare contro il mondo di cannibali da cui proviene. Forse un filmaccio, ma con qualcosa di genuino al proprio interno.
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