lunedì 7 febbraio 2011

IL DISCORSO DEL RE ( The king's speech,GB/AUS 2010)
DI TOM HOOPER
Con COLIN FIRTH,Geoffrey Rush,Helena Bonham-Carter,Guy Pearce.
DRAMMATICO
La Storia difficilmente lascia campo alle previsioni:spesso le figure più importanti sembrano capitate quasi per caso al posto giusto nel momento giusto. Giorgio VI d'Inghilterra fu un re salito al trono quasi giocoforza,dopo che il fratello aveva abdicato per amore,e ricevette l'investitura ad un passo dalla II Guerra Mondiale.Però lo affliggeva un problema,la balbuzie,che naturalmente ad una figura che dovrebbe risultare così carismatica figura ancor più che ad altri come uno sfregio:si fece ricorso allora ad un logopedista che in realtà era un attore australiano trasferitosi in Gran Bretagna,fallito come interprete teatrale,ma di aiuto a molti soldati che erano rientrati dalla Grande Guerra con problemi di comunicazione dovuti ai traumi patiti in battaglia.Dalla singolare,ma vera vicenda,hanno tratto un romanzo e quindi un film che si appresta ad essere uno dei protagonisti della prossima notte degli Oscar,essendosi guadagnato ben dodici nominations,tra cui quelle per i premi principali.Diretto da un regista inglese che sembra avviato ad una promettente carriera,Tom Hooper,fotografato con colori densamente plumbei,con inquadrature sovente pittoriche,"Il discorso del re" è un classico film d'attori,che infatti forniscono prove molto convincenti,sia il trepidante e allo stesso tempo fiero Colin Firth,che il sornione Geoffrey Rush. Il racconto di un uomo chiamato a rappresentare il proprio Paese superando le proprie insicurezze e rispondendo ad un appello che,oltre la retorica,tenga unito nell'interesse del bene comune un popolo,anche se ben reso, non di rado tocca il didascalico nell'esposizione del momento storico:il che non vuol dire che questo sia un brutto film,ma neanche il lungometraggio dell'anno,e dodici candidature sembrano anche troppa grazia,tutto sommato. In una stagione in cui,in effetti,non paiono esser comparse grandi pellicole,un'opera ben fatta,ma un pò fredda,che adotta una linea molto "misunderstatement",che tocca l'apice nella pur bella sequenza del prefinale,quando il fatidico discorso via radio alla nazione è accompagnato dall' "Allegretto" beethoveniano.Probabilmente,a Firth sarà consegnata la statuetta come miglior protagonista,che già era stata sfiorata dal bravo attore l'anno scorso con "A single man",difficile dire quante delle altre candidature si tramuteranno in premi:a dirla tutta,se venisse laureato come miglior film dell'anno dall'Academy,non sarebbe uno dei lungometraggi-Oscar più memorabili.

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